Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7805 del 14/04/2020

Cassazione civile sez. I, 14/04/2020, (ud. 31/01/2020, dep. 14/04/2020), n.7805

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 5326/2019 r.g. proposto da:

C.S., (cod. fisc.), rappresentato e difeso, giusta procura

speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Giuseppina

Marciano, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in

Milano, Via Fontana n. 3.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro, rappresentato ex lege da

Avvocatura generale dello Stato;

– resistente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Milano, depositata in

data 17.12.2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

31/1/2020 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Milano ha rigettato l’appello proposto da C.S., cittadino del (OMISSIS), avverso l’ordinanza emessa in data 17.12.2018 dal Tribunale di Milano, con la quale erano state respinte le domande volte ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato e la richiesta protezione sussidiaria ed umanitaria.

La corte del merito ha, in primo luogo, ricordato la vicenda personale del richiedente, secondo il racconto svolto da quest’ultimo; il ricorrente ha infatti narrato: a) di essere stato costretto ad abbandonare il suo paese perchè ingiustamente accusato della infibulazione della figlia, pratica vietata in Senegal; b) di aver attraversato di versi paesi africani, sino ad approdare in Italia nel 2015.

La corte territoriale ha dunque ritenuto che: 1) non era fondata la doglianza relativa alla mancata traduzione del provvedimento di diniego della richiesta protezione internazionale, posto che il provvedimento era stato tradotto in lingua veicolare conosciuta dallo straniero; 2) il pericolo prospettato (carcere per l’accusa di infibulazione della figlia) non integrava un atto di persecuzione in suo danno, tale da legittimare la sua domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato; 3) non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a e b, in quanto il ricorrente non aveva rappresentato il pericolo della pena di morte ovvero di un trattamento disumano; 4) non poteva essere accolta la domanda di protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. c, medesimo decreto da ultimo citato, perchè il Senegal non è interessato da un conflitto generalizzato; 5) non era fondata neanche la domanda di protezione umanitaria, in assenza della prova di una situazione di soggettiva vulnerabilità del richiedente.

2. La sentenza, pubblicata il 17.12.2018, è stata impugnata da C.S. con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo della controversia, in relazione alla condizione esistente nel suo paese di origine. Si evidenzia che non era stata adeguatamente considerata la vicenda personale del ricorrente che era stato ingiustamente accusato di aver ordinato la infibulazione della figlia (condotta invece ascrivibile alla suocera) e che non era stato valutato il pericolo di essere incarcerato per una condotta ritenuta illecita nel suo paese e per la quale il ricorrente si professava innocente.

2. Con il secondo mezzo si articola sempre vizio di omesso esame di un fatto decisivo, in riferimento alla effettiva situazione sociale, politica ed economica e alla pericolosità interna del Senegal.

3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, vizio di violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e comunque vizio di omesso esame di un fatto decisivo della controversia.

4. Il quarto motivo denuncia sempre vizio di violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e comunque vizio di omesso esame di un fatto decisivo della controversia, in relazione al diniego del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

5. Il ricorso è inammissibile.

5.1 Il primo motivo di censura è inammissibile, in quanto il ricorrente non coglie la ratio decidendi sottesa alla pronuncia di diniego della richiesta di protezione internazionale, la cui motivazione si fonda sulla mancanza di un atto di persecuzione in danno del ricorrente stesso. Ed invero, la richiesta di protezione, in relazione alla vicenda della ingiusta accusa relativa alla infibulazione della figlia, avrebbe dovuto essere prospettata sotto l’egida normativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b, prospettazione invece non dedotta da parte del ricorrente.

5.2 Anche il secondo motivo è inammissibile.

5.2.1 E’ pur vero che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, in tema di protezione sussidiaria dello straniero, ai fini dell’accertamento della fondatezza di una domanda proposta sulla base del pericolo di danno di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato determinativa di minaccia grave alla vita o alla persona), una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto, il giudice del merito è tenuto, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, a cooperare nell’accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente. Al fine di ritenere adempiuto tale onere, il giudice è tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 11312 del 26/04/2019).

Tuttavia, osserva la Corte come l’indicazione delle fonti di conoscenza sia rintracciabile, nel caso di specie, tramite la relatio alla motivazione del primo giudice, di talchè non è fondata la dedotta violazione di legge, nei termini sopra ricordati.

5.3 Il terzo motivo è invece inammissibile in ragione della sua genericità di formulazione e perchè confonde i piani di tutela rispettivamente della protezione sussidiaria e di quella umanitaria, che invece presuppongono presupposti applicativi del tutto diversi.

Inammissibile perchè nuova la doglianza relativa al danno grave cagionato da “soggetti privati”.

5.4 Il quarto motivo è del pari inammissibile, atteso che la parte ricorrente non intercetta, con la proposizione delle censura, la ratio decidendi relativa al diniego della reclamata protezione umanitaria, e cioè l’affermata mancanza di una condizione di soggettiva vulnerabilità del ricorrente, circostanza quest’ultima che rende palesemente irrilevanti le ulteriori riflessioni sulla dimostrata integrazione sociale da considerarsi nell’ottica di quella valutazione comparativa tra la odierna situazione della ricorrente e la possibile compressione del nucleo dei suoi diritti fondamentali, in caso di rimpatrio (cfr. Cass. 4455/2018, per come confermata anche da Cass., ss.uu., sent. 29459/2019).

Ne consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2020

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