Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24089 del 17/11/2011

Cassazione civile sez. III, 17/11/2011, (ud. 27/10/2011, dep. 17/11/2011), n.24089

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – rel. Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20813-2009 proposto da:

ALPI ASSICURAZIONI S.P.A. IN LCA (OMISSIS) in persona del

Commissario liquidatore p.t., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PAGANINI 1, presso lo studio dell’avvocato CLARIZIA RENATO, che la

rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

R.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CRESCENZIO 43, presso lo studio dell’avvocato CELLA

STEFANO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NARDONE

ELISABETTA giusta delega in atti;

– controricorrente –

e contro

B.E.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1516/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/04/2009 R.G.N. 4748/2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/10/2011 dal Consigliere Dott. PAOLO D’AMICO;

udito l’Avvocato STEFANO CELLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio che ha concluso con il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

R.C. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma B.E. e la società Alpi Assicurazioni s.p.a. chiedendo il risarcimento dei danni che asseriva di aver subito a seguito di un incidente stradale.

La Alpi eccepiva la carenza di legittimazione passiva sostenendo che non era stata data prova del rapporto assicurativo inter partes.

A seguito della liquidazione coatta amministrativa della società il giudizio era interrotto e quindi riassunto dal Commissario liquidatore.

Con sentenza n. 5163 del 19 aprile 2001 il Tribunale di Roma rigettava la domanda del R. per improcedibilità, rilevando d’ufficio la mancanza agli atti di una raccomandata con avviso di ricevimento inviata alla impresa assicuratrice posta in l.c.a. e condannava il R. alle spese del giudizio.

Quest’ultimo proponeva appello avverso la suddetta decisione chiedendone la riforma con la dichiarazione dell’esclusiva responsabilità di B..

Contumace quest’ultimo, la Alpi Assicurazioni s.p.a. ribadiva l’insussistenza di qualsiasi rapporto assicurativo relativo all’auto del B. e che il contrassegno assicurativo era stato falsificato.

La società assicuratrice proponeva querela di falso.

La Corte d’Appello dichiarava non esperibile tale querela e che B. era l’unico responsabile condannandolo in solido con la Alpi Assicurazioni s.p.a. in l.c.a. al pagamento in favore di R. di Euro 30.864,00 a titolo di risarcimento dei danni.

Propone ricorso per cassazione la Alpi Assicurazioni s.p.a. in l.c.a.

con tre motivi e presenta memoria.

Resiste con controricorso il R..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo parte ricorrente denuncia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e della L. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 18 che regolano l’onere della prova”.

Secondo parte ricorrente, ai sensi dell’art. 2697 c.c. spetta al danneggiato, che vuole far valere direttamente contro la compagnia assicuratrice il proprio diritto al risarcimento del danno, l’onere di provare l’esistenza del contratto di assicurazione che la compagnia contesta.

Il motivo è infondato.

In forza del combinato disposto della L. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 7 (attuale del D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, art. 127) e dell’art. 1901 c.c., il rilascio del contrassegno assicurativo da parte dell’assicuratore della r.c.a. vincola quest’ultimo a risarcire i danni causati dalla circolazione del veicolo, quand’anche il premio assicurativo non sia stato pagato, ovvero il contratto di assicurazione non sia efficace, giacchè, nei confronti del danneggiato, quel che rileva, ai fini della promovibilità dell’azione diretta nei confronti dell’assicuratore del responsabile è l’autenticità del contrassegno, non la validità del rapporto assicurativo. Tuttavia, posto che la disciplina del citato art. 7 mira alla tutela dell’affidamento del danneggiato e copre, pertanto, anche l’ipotesi dell’apparenza del diritto, per escludere la responsabilità dell’assicuratore, in ipotesi di contrassegno contraffatto o falsificato, occorre che questi provi l’insussistenza di un proprio comportamento colposo, tale da ingenerare l’affidamento erroneo del danneggiato stesso (Cass., 13 dicembre 2010, n. 25130).

Nel caso in esame la Corte d’Appello ha accertato che dal rapporto dei Vigili Urbani risulta l’esistenza di un contrassegno apparentemente valido sull’autovettura in quanto i dati del rapporto assicurativo furono dettagliatamente indicati. Non risulta invece che la società assicuratrice abbia informato il R. che il B. non avesse alcuna copertura assicurativa.

Con il secondo motivo si denuncia “insufficiente e contraddittoria motivazione per aver considerato non decisive, ai fini della dichiarazione di inesistenza del rapporto assicurativo, le prove fornite dall’impresa assicuratrice”.

Secondo parte ricorrente la Alpi Assicurazioni s.p.a. si è adoperata con ogni mezzo a sua disposizione per dimostrare l’inesistenza del rapporto assicurativo, soprattutto rilevando che la serie della numerazione identificativa della polizza assicurativa che poteva leggersi sul contrassegno non corrispondeva a quella ordinariamente utilizzata dalla compagnia.

Il motivo è infondato perchè la Corte ha adeguatamente motivato mentre parte ricorrente attraverso la critica della motivazione tenta di proporre una diversa soluzione nel merito.

La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza o contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (Cass., 9 agosto 2007, n. 17477).

Con il terzo motivo si denuncia “insufficiente e contraddittoria motivazione per aver dichiarato non esperibile la querela di falso in mancanza del documento falsificato”.

Secondo parte ricorrente la querela di falso può esprimersi non soltanto per far rilevare la difformità di un documento rispetto all’originale, ma anche per far rilevare l’inattendibilità di un documento a provare un rapporto giuridico inesistente.

Il motivo è infondato.

L’impugnata sentenza sostiene che, in mancanza dei documenti impugnati e mai prodotti e nell’impossibilità di acquisirli, non può essere esperita la querela di falso ai sensi dell’art. 222 c.p.c..

Nel caso in esame, alla luce dell’accertata esistenza di un contrassegno formalmente valido, non è stata mai raggiunta la prova dell’inesistenza del rapporto assicurativo, prova il cui onere era a carico dell’assicuratore.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato con condanna di parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 4.000,00 per onorari, oltre rimborso forfettario delle spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2011

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