Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21376 del 15/10/2011

Cassazione civile sez. VI, 15/10/2011, (ud. 17/06/2011, dep. 15/10/2011), n.21376

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 21496/2010 proposto da:

REGIONE PUGLIA – UFFICIO STRALCIO EX ERSAP, in persona del Presidente

in carica, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

PARROCCHIA DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO, in persona del parroco

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso

la CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato ALIANI Angela

giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1071/2009 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 04/11/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/06/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONINO SCALISI;

udito l’Avvocato Aliani Angela, difensore della ricorrente che si

riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. PIERFELICE PRATIS che ha

concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che il Consigliere designato, Dott. A. Scalisi, ha depositato in data 4 maggio 2011, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., la proposta di definizione del giudizio che, corretta dagli errori materiali, viene qui integralmente riportata.

“Preso atto che la Regione Puglia conveniva davanti al Tribunale di Bari la Parrocchia dei Santi Apostoli Pietro e Paolo di Gravina in Puglia, chiedendone la condanna al risarcimento del danno da inadempimento di una disposizione modale inserita in un contratto di donazione di un compendio immobiliare. Premetteva la Regione Puglia che l’Ente di sviluppo agricolo della Puglia con contratto perfezionatosi attraverso un atto di cessione gratuita del 5 novembre 1992 e un atto di accettazione del 19 settembre 1997 aveva alienato a titolo gratuito alla Parrocchia dei Santi Apostoli Pietro e Paolo di Gravina in Puglia un complesso immobiliare con la specificazione che quel complesso immobiliare sarebbe stato destinato esclusivamente all’esercizio del culto cattolico e di un centro di accoglienza per tossicodipendenti e per il recupero la rieducazione e il reinserimento nel mondo del lavoro dei giovani. Sennonchè la donataria con vari atti perfezionatesi nel corso degli anni 2000 e 2001 aveva alienato larga parte degli immobili oggetto di donazione i quali, per effetto di alienazione a terzi, avevano cessato di essere destinati alle finalità indicate nell’atto di donazione.

Il Tribunale di Bari rigettava la domanda perchè riteneva che il vincolo di destinazione impresso ai beni dal donante non si risolveva in un vincolo d’inalienabilità dei beni.

Proponeva appello al Regione Puglia. La Corte di appello di Bari rigettava l’impugnazione riconfermando quanto aveva evidenziato il Tribunale di Bari e precisando che la volontà del donante doveva ritenersi rispettata tutte le volte in cui la vendita degli immobili fosse servita ad assicurare il fine che muoveva il donante, merce l’opposizione del modus.

La cassazione della sentenza n. 1071 del 2009 della Corte di appello di Bari è stata chiesta dalla Regione Puglia con ricorso affidato ad un unico motivo. La Parrocchia dei Santi Apostoli Pietro e Paolo di Gravina in Puglia ha resistito con controricorso.

Considerato che:

1..= Con l’unico motivo la Regione Puglia lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1367 cod. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Avrebbe errato la Corte di appello di Bari, secondo la ricorrente, nell’aver ritenuto che la volontà delle parti sottesa all’inserimento della disposizione modale fosse volta ad attuare una generica elargizione alla Parrocchia con il solo vincolo di destinazione, per così dire quantitativa delle utilità patrimoniali trasferite, alla finalità indicata nel contratto. Piuttosto la possibilità di alienare i beni donati era limitata dalla condizione implicita del mantenimento della destinazione esclusiva dei beni. Qualora l’intenzione delle parti fosse stata quella ritenuta dalla Corte territoriale esse avrebbero riferito il vincolo di destinazione genericamente, all’attribuzione patrimoniale e non agli immobili. La Corte territoriale non avrebbe considerato, ritiene ancora il ricorrente, neppure il fatto che il trasferimento avveniva ai sensi della L. 30 aprile 1976, n. 386, art. 11, comma 4, e per ciò stesso, l’effettiva destinazione degli immobili trasferiti assumeva rilievo determinante.

1.1. – Il motivo non può essere accolto perchè la Corte territoriale ha correttamente applicato i principi giuridici, nonchè la normativa che governa l’interpretazione del contratto.

1.2. – Correttamente, la sentenza impugnata ha condiviso la qualificazione di modo e non di condizione data dai giudici di primo grado alla clausola inserita dalla Regione Puglia nell’atto di donazione, non per l’impossibilità di vincolare in modo reale i beni allo scopo prefissosi dalla donante, ma perchè non era previsto un obbligo di restituzione, ove le finalità non fossero state realizzate. Di qui, la sentenza correttamente ha escluso, intanto, che la clausola di cui si dice avesse identificato un vincolo di inalienabilità e, dunque, che la domanda risarcitoria proposta dal donante potesse trovare fondamento in un vincolo di inalienabilità.

1.3. – A parte questa considerazione, appare corretta l’interpretazione della clausola contrattuale, di cui si dice, proposta dalla Corte di appello di Bari e, cioè, che il donante con quella clausola modale intendeva vincolare i beni al fine, ma non anche quello di creare sia pure indirettamente un vincolo di inalienabilità, sicchè la volontà del donante, espressa con quella clausola, si doveva ritenere rispettata tutte le volte in cui il ricavato di un’eventuale vendita di una parte o di tutti gli immobili (come era avvenuto nel caso in esame) fosse stato destinato a realizzare opere per il raggiungimento del fine indicato dal donante, e, dunque, fosse servito ad assicurare il fine che muoveva il donante, essenzialmente: a) perchè un vincolo di inalienabilità non è stato espressamente previsto, e sarebbe stato necessario considerato che quel vincolo avrebbe creato un limite incisivo dei poteri del proprietario, b) e, soprattutto, perchè attribuire alla clausola di cui si dice il significato indicato dalla ricorrente vorrebbe dire attribuire un significato non voluto (o comunque escluso) dalla legge in particolare dall’art. 1379 cod. civ. (e sia pure in assenza dell’originario testo dell’art. 692 cod. civ.). Non vi è dubbio, infatti, che la disposizione dell’art. 1379 cod. civ., con riguardo alle condizioni di validità del divieto convenzionale di alienare (limite temporale di durata; rispondenza ad apprezzabile interesse di una parte) si applica, essendo espressione di un principio di portata generale, anche a pattuizioni che, come quelle contenenti un vincolo di destinazione, seppur non puntualmente riconducibili al paradigma del divieto di alienazione, comportano, comunque, limitazioni altrettanto incisive del diritto di proprietà.

1.4. – Tenuto conto, pertanto, del principio espresso dall’art. 1379 cod. civ., la Corte territoriale non poteva attribuire alla clausola di cui si dice, o alla comune intenzione delle parti, un significato diverso da quello indicato ed espresso con la sentenza impugnata. PQM si propone il rigetto del ricorso perchè palesemente infondato”.

Tale relazione veniva comunicata al PM ed ai difensori delle parti costituite.

Il Collegio, condividendo argomentazioni e proposte contenute nella relazione ex art. 380 bis c.p.c., alla quale non sono stati mossi rilievi critici.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e, in applicazione del principio di soccombenza ex art. 91 c.p.c., condanna il ricorrente, al pagamento, a favore della Parrocchia dei Santi Apostoli Pietro e Paolo di Gravina in Puglia, delle spese del giudizio di cassazione che liquida in Euro 2.500,00 oltre Euro 200,00 per esborsi e oltre a spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera del consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2011

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