Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19712 del 27/09/2011

Cassazione civile sez. lav., 27/09/2011, (ud. 10/05/2011, dep. 27/09/2011), n.19712

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 15835/2007 proposto da:

D.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA GIULIANA

44, presso lo studio dell’avvocato NIGRO Saverio, che lo rappresenta

e difende unitamente agli avvocati BERTI PAOLO, RAFFONE NINO, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

BANCA INTESA S.P.A.;

– intimata –

sul ricorso 19820/007 proposto da:

INTESA SANPAOLO S.P.A. (già Banca Intesa S.P.A.), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA LEONE IV N. 99, presso lo studio dell’avvocato FERZI CARLO, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato CHIELLO ANGELO

GIUSEPPE, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

D.B.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2062/2006 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 16/01/2007 r.g.n. 1384/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/05/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO DI CERBO;

udito l’Avvocato FERZI CARLO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale,

assorbito l’incidentale.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

La Corte d’appello di Torino ha rigettato il gravame proposto da D.B. avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva dichiarato la legittimità del licenziamento intimato al lavoratore da parte di Banca Intesa s.p.a., sua datrice di lavoro.

Il D., dipendente dell’istituto bancario dal luglio 1974 ed inquadrato da ultimo come quadro direttivo di secondo livello, era stato licenziato con effetto dal 1 aprile 2004 – all’esito di una complessa procedura di riduzione di personale regolata, in particolare, dalla L. n. 449 del 1997, art. 59, dal D.M. n. 158 del 2000, art. 8 e dall’accordo sindacale del 15 maggio 2003 – in quanto prossimo al raggiungimento dei requisiti per il diritto a pensione e potendo fruire, quindi, medio tempore delle prestazioni a carico del Fondo di solidarietà per il settore del credito e, in particolare, dell’assegno straordinario per il sostegno al reddito.

La Corte territoriale respingeva preliminarmente la tesi, sostenuta da Banca Intesa s.p.a., secondo cui il lavoratore, avendo rinunciato al preavviso ed alla relativa indennità sostitutiva ed avendo formulato la domanda di adesione al Fondo di solidarietà al fine di ottenere l’assegno straordinario per il sostegno al reddito, avrebbe accettato lo scioglimento del rapporto di lavoro.

Riteneva peraltro corretto il licenziamento respingendo motivatamente tutte le censure, proposte dal lavoratore ed aventi ad oggetto la legittimità dello stesso.

Per la cassazione di tale sentenza D.B. propone ricorso affidato a sei motivi. Banca Intesa s.p.a resiste con controricorso e propone ricorso incidentale. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente principale denuncia violazione o falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 5, e degli artt. 17 e 18 c.c.n.l. per i quadri direttivi e per il personale delle aree professionali dipendenti aziende di credito, nonchè vizio di motivazione su fatti decisivi della controversia (art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5). Il D., nel censurare l’impugnata sentenza, ripropone i rilievi, già esposti in sede di appello contro la decisione di primo grado, sostenendo che la procedura legale conclusa con l’accordo sindacale del 15 gennaio 2003 aveva avuto carattere meramente rituale, finalizzato a attribuire veste giuridica all’Accordo di programma del 5 dicembre 2002 col quale erano stati effettivamente pattuiti qualità, tempi modalità e criteri di scelta del personale in esubero. Si sarebbe assistito ad una inammissibile sostituzione della procedura prevista dalla L. n. 223 del 1991, con l’esclusione dei legittimi protagonisti (come le RSA), che si erano limitati a ratificare quanto pattuito pochi giorni prima dall’azienda con una delegazione sindacale ad hoc prima dell’invio della lettera di avvio della procedura di consultazione sindacale.

2. Con il secondo motivo il ricorrente principale denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, nonchè vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia.

Censura, in particolare, l’impugnata sentenza nella parte in cui ha affermato che “non vi era alcun contrasto tra la comunicazione di avvio della procedura (5.700 esuberi, con esclusione dei dirigenti) ed il c.d. Accordo di Programma (5.700 esuberi, compresi i dirigenti)”. Deduce che la sentenza in esame avrebbe introdotto una sorta di applicazione flessibile dei dettami della L. n. 223 del 1991, non avendo dato rilievo all’omessa indicazione degli esuberi al netto dei dirigenti nonchè del numero, della collocazione aziendale e dei profili professionali del personale eccedente in sede di lettera di avvio della procedura.

3. Con il terzo motivo il ricorrente principale denuncia violazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1, nonchè vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia. Ad avviso del ricorrente il giudice di appello avrebbe erroneamente disatteso la norma sopra richiamata avendo affermato, con riferimento alla indicazione dei lavoratori da collocare in mobilità, la legittimità della individuazione effettuata con esclusivo riferimento al criterio della maggiore prossimità alla pensione. Ciò costituirebbe, in particolare, violazione della norma inderogabile di cui al citato art. 5 secondo cui l’individuazione dei lavoratori da collocare i mobilità deve avvenire in relazione alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale.

4. Con il quarto motivo il ricorrente, denunciando “violazione o falsa applicazione del D.M. n. 158 del 2000” nonchè “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia”, sostiene che egli sarebbe dovuto comunque rimanere escluso dal programma di riduzione del personale quantomeno a motivo del fatto incontestato ed incontestabile che, alla date del loro licenziamento (1 aprile 2004), Banca Intesa aveva già ampiamente superato, per quanto riguarda i Quadri Direttivi, i limiti numerici da essa stessa indicati nella tabella allegata alla lettera del 19 dicembre 2002 di avvio della procedura.

5. Con il quinto motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia. La censura investe l’impugnata sentenza per avere con motivazione “sbrigativa” e “superficiale” rigettato la doglianza dell’appellante, secondo cui la “datrice di lavoro non aveva rispettato nemmeno il limite numerico globale di 5700 unità dichiarato prima e riportato nei suddetti accordi”.

6. Con il sesto motivo il ricorrente principale denuncia violazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, nonchè vizio di motivazione su un punto decisivi della controversia con riferimento alla statuizione con la quale l’impugnata sentenza ha rigettato la doglianza secondo cui la Banca avrebbe omesso totalmente ogni indicazione delle modalità di applicazione del criterio di scelta.

7. Con l’unico motivo del ricorso incidentale, Intesa Sanpaolo s.p.a.

denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2113, 2118 e 1324 cod. civ., del D.M. n. 158 del 2000, artt. 6, 7, 10 e 11 e dell’art. 24 Cost., nonchè di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, ed in particolare con riferimento alla statuizione con la quale la Corte territoriale ha escluso che il lavoratore avesse prestato acquiescenza al recesso.

8. Il ricorso principale è infondato. Questa Corte (cfr., in particolare, Cass. 15 marzo 2011 n. 6030; Cass. 11 dicembre 2010 n. 24343) ha già esaminato la fattispecie in esame su ricorso proposto da altri dipendenti di Intesa Sanpaolo s.p.a. coinvolti nello stesso licenziamento per riduzione di personale e su cui la Corte d’appello di Torino si era già pronunciata sulla base di motivazioni sostanzialmente simili a quella contenuta nella sentenza in esame.

Non emergono dal presente ricorso introduttivo ragioni per mutare gli orientamenti espressi dalle citate decisioni che devono essere pertanto confermate e che vengono in questa sede riportate limitatamente ai profili più significativi.

9. Quanto al primo motivo, lo stesso deve essere ritenuto infondato avendo la Corte territoriale motivato in modo del tutto corretto le proprie conclusioni sull’assenza del denunciato carattere fittizio nella procedura seguita e sulla conseguente legittimità della stessa. In particolare, come già rilevato da questa Corte di legittimità nelle sentenze sopra citate, la Corte territoriale ha tenuto nella debita considerazione le norme collettive invocate in ricorso, le quali prevedono espressamente che, prima di ricorrere all’applicazione delle norme di cui alla L. n. 223 del 1991, si deve procedere al confronto a livello di gruppo tra una delegazione sindacale ad hoc e la capogruppo. Deve inoltre osservarsi, analogamente a quanto ritenuto dalla giurisprudenza prima citata, che anche per il caso di specie, la Corte territoriale – dopo avere osservato correttamente che la prima fase della procedura risultava non solo legittima, ma anzi doverosa, nel pieno rispetto dei dettami contrattuali – ha accertato, con motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici, che comunque la procedura di cui alla L. n. 223 del 1991, era stata espletata attraverso tutti i passaggi scanditi dalla legge, con la precisazione – e ciò al fine di dare riscontro al corrispondente rilievo del ricorrente – che il fatto che un mese e dieci giorni dopo il primo accordo si fosse concluso il secondo non poteva certo significare che non vi fosse stata alcuna trattativa tra le parti. Del resto – continua condivisibilmente l’impugnata sentenza – quand’anche le r.s.a. di Banca Intesa si fossero limitate a ratificare quanto statuito nella precedente sede negoziale, non si ravviserebbe alcun motivo giuridicamente rilevante (non certo un vizio del consenso, o addirittura un’incapacità negoziale delle parti) capace di inficiare l’accordo in questione.

9. Anche il secondo motivo deve essere disatteso. Va osservato, con riguardo al dedotto contrasto tra la lettera di avvio della procedura e l’accordo di programma (sottoscritto a conclusione della procedura ex artt. 17 e 18 del c.c.n.l. in data 11 luglio 1999), che il giudice di appello ha accertato che gli esuberi per la Banca Intesa sono stati indicati in 5700 sia nell’accordo di programma sia nella comunicazione del 19 dicembre 2002. Lo stesso giudice ha sottolineato che la comunicazione precisa è stata fornita con l’atto di apertura della procedura ed ad essa bisogna riferirsi per verificare la correttezza dell’agire aziendale. Nella delineata situazione il giudice di appello ha correttamente ritenuto privo di decisiva rilevanza il dedotto contrasto con l’Accordo di programma, che, oltre a non essere oggettivamente riscontrabile, non avrebbe potuto determinare invalidità di un atto autonomo successivamente assunto.

In relazione alla censura concernente la mancata indicazione della collocazione aziendale e dei profili professionali del personale eccedente deve condividersi l’orientamento espresso dalla giurisprudenza prima citata secondo cui deve escludersi qualsiasi invalidità della procedura seguita nel caso di specie, dovendosi ritenere, conformemente a quanto affermato dalla Corte territoriale, sufficiente il contenuto della comunicazione e, in particolare, privo di profili di indeterminatezza, giacchè il criterio della prossimità alla pensione era idoneo ai fini dell’individuazione del personale in esubero. Per le ragioni fin qui esposte deve ritenersi, infine, del tutto infondata la critica mossa dal ricorrente circa l’introduzione di una sorte di applicazione flessibile della L. n. 223 del 1991.

10. Il terzo motivo non è fondato. Analogamente a quanto già affermato nella giurisprudenza citata deve ritenersi corretta la statuizione del giudice del merito nella parte in cui non ha ravvisato, sulla base di adeguata e logica motivazione, la violazione nel caso di specie della richiamata norma di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1, avendo ritenuto il criterio della prossimità alla pensione idoneo sia ai fini dell’individuazione delle eccedenze sia ai fini della selezione dei dipendenti da licenziare; ed infatti si tratta di un criterio di natura oggettiva e compatibile con le ragioni che avevano determinato le scelte aziendali – volte ad ottenere il complessivo abbattimento del costo lavoro – comunicate alle organizzazioni sindacati e da esse condivise e attuate attraverso il successivo accordo del 15 gennaio 2003.

11. Anche il quarto motivo deve essere rigettato sul rilievo, evidenziato nella giurisprudenza sopra citata, che gli accordi aziendali hanno legittimamente determinato il numero complessivo delle uscite con riferimento all’intero complesso aziendale e non anche il numero di uscite per i singoli livelli di inquadramento e per le singole posizioni aziendali, sicchè la censura del ricorrente sul maggiore numero di uscite di quadri direttivi appare de tutto irrilevante.

12. Il quinto motivo è infondato, in quanto il giudice di appello ha accertato, con esauriente motivazione, che al momento del licenziamento l’appellante rientrava sicuramente – in relazione alla sua anzianità – nel numero complessivo dei lavoratori interessati dalla procedura di riduzione del personale, ossia in quei 5700 esuberi più volte riconfermati anche in sede di accordo sindacale e che quindi erano e restavano l’oggetto della complessiva procedura.

13. infine anche il sesto motivo deve essere rigettato. Secondo il costante insegnamento di questa Corte di legittimità (cfr., ad esempio, Cass. 16 febbraio 2010 n. 3603) correttamente richiamata nella sentenza impugnata, la L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, è dirette a rendere trasparente la scelta operata così da porre i lavoratori interessati, le organizzazioni sindacali e gli organi amministrativi in condizioni di controllare la correttezza della operazione e la rispondenza degli accordi raggiunti. Nel caso di specie la Corte di merito ha osservato che le comunicazioni della Banca avevano soddisfatto i requisiti di legge, alla stregua di un accertamento riservato al giudice di merito e che non è sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione esauriente ed immune da vizi logici (cfr. Cass. 24 marzo 2004 n. 5942). In particolare, in linea con un consolidato indirizzo giurisprudenziale, ha ritenuto perfettamente legittima, nell’ambito delle misure idonee a ridurre l’impatto sociale dei licenziamenti collettivi, l’adozione del criterio di scelta, in accordo tra datore di lavoro e sindacati, della vicinanza al pensionamento, come in precedenza si è evidenziato (cfr., ex plurimis, Cass. 6 ottobre 2006 n. 21541).

14. In conclusione il ricorso principale è destituito di fondamento e va quindi rigettato con conseguente assorbimento del ricorso incidentale.

15. Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentate; condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in Euro 70,00 oltre Euro 3.500,00 (tremilacinquecento) per onorari e oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2011

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