Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7006 del 11/03/2020

Cassazione civile sez. un., 11/03/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 11/03/2020), n.7006

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente di Sez. –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 30259-2018 proposto da:

ITALGEN S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA E.Q. VISCONTI 99, presso lo

studio dell’avvocato ERNESTO CONTE, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati MARIA SIMONETTA ANNA STRANEO MOLLICA ed

ILARIA CONTE;

– ricorrente –

contro

REGIONE LOMBARDIA, in persona del Presidente pro tempore della

Regione, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE

II 229, presso lo studio dell’avvocato GIULIANO MARIA POMPA,

rappresentata e difesa dall’avvocato MARCO CEDERLE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 82/2018 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE

PUBBLICHE, depositata il 10/05/2018.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/01/2020 dal Consigliere ANTONIO PIETRO LAMORGESE;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale CAPASSO LUCIO, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso;

uditi gli avvocati Ilaria Conte e Giuliano Maria Pompa per delega

orale dell’avvocato Cederle.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Italgen s.p.a., titolare di tre concessioni di grandi derivazioni ad uso idroelettrico, in relazione alle quali pendevano procedimenti amministrativi volti a differirne la scadenza oltre il 31 dicembre 2010, impugnava dinanzi al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche la Delib. Giunta Regionale Lombardia 29 dicembre 2010, n. 1205 con la quale: a) veniva consentita la prosecuzione temporanea dell’esercizio delle derivazioni, a decorrere dal i gennaio 2011 e non oltre il 1 gennaio 2016, nelle more del completamento delle procedure di assegnazione delle concessioni, L.R. 12 dicembre 2003, n. 26, ex art. 53 bis; b) veniva rinviata a una successiva deliberazione la definizione del canone aggiuntivo dovuto a decorrere dal 10 gennaio 2011 e delle condizioni tecniche ed economiche concernenti l’esercizio degli impianti; c) si dava atto che i concessionari uscenti erano tenuti alla esecuzione dei lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria degli impianti di competenza.

Il ricorso, imperniato su cinque motivi, era rigettato dal Tribunale Superiore con sentenza n. 149 del 9 luglio 2014, cassata dalle Sezioni Unite con sentenza n. 22229 del 2016, per motivazione apparente sulle ragioni del rigetto del ricorso.

Nel giudizio riassunto dinanzi al TSAP la Italgen ha rinunciato ai primi due motivi riguardanti la mancata proroga legale delle concessioni ed ha insistito negli altri motivi. In particolare, con il terzo motivo ha contestato la legittimità del provvedimento impugnato, deducendo che la Regione non poteva pronunciarsi sulla data di scadenza delle tre concessioni prima della formale conclusione dei procedimenti pendenti, introdotti da tre distinte note del 2009, dirette a fare prorogare la scadenza delle concessioni oltre il 31 dicembre 2010; con il quarto motivo ha contestato la legittimità della previsione del “canone aggiuntivo” posto a carico della concessionaria uscente, cui era “consentita” la prosecuzione temporanea degli impianti di derivazione a decorrere dal 1 gennaio 2011; con il quinto ha dedotto la immediata lesività e, quindi, impugnabilità della previsione che rinviava a una successiva deliberazione la definizione del canone aggiuntivo.

Il Tribunale Superiore, con sentenza n. 82 del 10 maggio 2018, ha dichiarato inammissibile il ricorso: in ordine al terzo motivo, ha osservato che alle tre suindicate note della Italgen la Regione Lombardia aveva risposto negativamente con note del 24 dicembre 2009 che erano state impugnate separatamente con ricorsi rigettati dal Tribunale Superiore con sentenze n. 145, 146 e 157 del 2014 che avevano acclarato la legittimità dell’impugnata Delib. 29 dicembre 2010; in ordine al quarto e quinto motivo, relativi al canone aggiuntivo, il Tribunale ha giudicato la deliberazione non immediatamente lesiva e quindi non impugnabile, non potendosi ritenere che detto onere graverà sicuramente sulla società ricorrente, essendo anche possibile che uno o più impianti possano essere per motivate ragioni esentati, in tutto o in parte, dall’onere di corrispondere il canone aggiuntivo; non risultava che la Regione avesse effettivamente chiesto alla società il canone aggiuntivo nè che questo fosse stato corrisposto o la sua restituzione negata; inoltre la deliberazione impugnata rimetteva la definizione del canone a una “successiva deliberazione” da assumere “sentite le Province interessate”.

Avverso questa sentenza la Italgen ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, illustrati da memoria, cui si è opposta la Regione Lombardia con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denuncia l’erroneità in diritto dell’impugnata sentenza che, dichiarando inammissibile il terzo motivo di ricorso, si era limitata a fare generico riferimento a “quanto emerso dagli atti di questo Tribunale Superiore”, omettendo di indicare le fonti probatorie a sostegno dell’affermazione secondo cui la Regione aveva risposto negativamente alle istanze di proroga delle concessioni con note impugnate con ricorsi rigettati dal Tribunale Superiore; assume inoltre che le suddette note regionali non riguardavano le istanze di proroga della Italgen e che le indicate sentenze del Tribunale Superiore (n. 145, 146 e 157 del 2014) erano state cassate dalle Sezioni Unite con sentenze n. 22231, 22230 e 22232 del 2016.

Il motivo è inammissibile.

Come rilevato dal Procuratore Generale, la censura di violazione dell’art. 115 c.p.c. non è deducibile per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice oppure per lamentare l’omessa indicazione delle fonti probatorie dalle quali il giudice avrebbe tratto le informazioni poste a base della pronuncia, potendosi con la suindicata censura essere dedotta unicamente la violazione delle regole disciplinanti l’acquisizione e la valutazione delle prove, ossia allegando che il giudice abbia fondato la pronuncia su prove non dedotte dalle parti, o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso prove legali ovvero abbia considerato come facenti piena prova elementi di prova soggetti invece a valutazione critica (tra le più recenti in tal senso, vd. Cass. n. 1229 del 2019).

Non è dunque riconducibile alla tipologia di censura in esame l’erronea valutazione di elementi documentali in cui consiste il fraintendimento, imputato al Tribunale Superiore, del contenuto delle tre note della Regione del 24 dicembre 2009 che, secondo la ricorrente, non riguarderebbero le istanze di proroga o rinnovo della concessione.

Il motivo in esame, inoltre, contestando anche la legittimità delle suddette note regionali, rivela un mutamento di linea difensiva rispetto al tema decisorio sottoposto al Tribunale Superiore tramite la doglianza di mancata risposta alla richiesta di proroga della concessione di derivazione. L’effetto è di introdurre un novum in questa sede, tanto più inammissibile in quanto implicante un sindacato da parte delle Sezioni Unite della legittimità di atti amministrativi sulla quale, in tesi, sarebbe pendente il giudizio dinanzi allo stesso Tribunale Superiore (in sede di rinvio a seguito delle citate sentenze cassatorie del 2016).

Con il secondo motivo è denunciata violazione degli artt. 100 e 112 c.p.c., art. 35 c.p.a., L.R. Lombardia n. 26 del 2003, art. 53 bis e L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 486, per avere dichiarato inammissibile il quarto e quinto motivo di ricorso, confondendo il canone aggiuntivo previsto dalla L.R. n. 26 del 2003, art. 53 bis correlato alla gestione temporanea delle concessioni scadute da parte del concessionario uscente, con il canone aggiuntivo unico correlato alla proroga decennale ed erroneamente richiamato dal TSAP.

Il motivo è infondato.

La sentenza impugnata resiste alle censure proposte. Il Tribunale Superiore ha osservato che mancava la prova della richiesta del canone aggiuntivo, oltre che del versamento dello stesso da parte del concessionario uscente, o che fosse stata negata dalla Regione la restituzione richiesta. Ne consegue che, essendo l’obbligo di pagamento del canone aggiuntivo di cui alla L.R. n. 26 del 2003 rimesso, nell’an e nel quantum, ad un successivo provvedimento, frutto di concertazione con le Province interessate, risulta confermata – e non scalfita dall’erroneo richiamo al diverso canone di cui alla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 486, – la ratio decidendi secondo la quale la deliberazione non è immediatamente lesiva e quindi non impugnabile.

Il ricorso è rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, liquidate in Euro 7200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2020

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