Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6524 del 09/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 09/03/2020, (ud. 22/01/2019, dep. 09/03/2020), n.6524

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4243/2013 proposto da:

EUROMEAT S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa in forza di procura speciale rilasciata in

calce al ricorso dagli avv.ti Gianni Marongiu, Andrea Bodrito e

Francesco D’Ayala Valva, elettivamente domiciliata presso lo studio

di quest’ultimo in Roma, viale Parioli 43;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore

pro-tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici domicilia in Roma alla Via dei Portoghesi

n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 105/27/11 della Commissione tributaria

regionale del Piemonte, depositata il 21 dicembre 2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22

gennaio 2019 dal Consigliere Gianluca Grasso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Tassone

Kate che ha concluso per l’inammissibilità dei motivi dal primo al

quinto, infondati i motivi sesto e settimo, in subordine infondato

il primo motivo;

uditi gli Avvocati dello Stato Giulio Bacosi e Francesca Subrani.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – La Euromeat s.p.a. ha impugnato l’integrazione dell’avviso di rettifica dell’accertamento n. 14220/2006, notificata il 17 giugno 2006, con il quale l’Ufficio delle dogane di (OMISSIS), sulla scorta di due p.v.c. della Guardia di Finanza Comando Nucleo Regionale Polizia Tributaria Emilia Romagna, il primo a carico della società ricorrente e l’altro a carico della società Sud. Am. Trade, s.r.l., nonchè sulla base di un avviso di rettifica notificato a quest’ultima, rilevava in capo alla Sud. Am. Trade s.r.l. l’assenza dei requisiti prescritti per richiedere e ottenere nel periodo 01.07.2002 – 30.06.2003 e nel periodo 01.07.2003 – 30.06.2004 il rilascio di titoli Agrim validi per l’importazione di carne bovina congelata (sub quota II) a dazio agevolato (20%) ai sensi dei Reg. CE n. 954/02 e n. 780/03, in quanto legata, ai sensi dell’art. 143 Reg. CEE n. 2454/93, a un “gruppo” di imprese tutte riconducibili ai membri della famiglia S. di (OMISSIS). L’amministrazione, pertanto, revocava i benefici daziari goduti dalla Sud. Am. Trade s.r.l. in relazione ad alcune operazioni di importazione di carne bovina congelata, scortate dai suddetti certificati, a motivo della violazione dell’art. 9 Reg. CE n. 954/02 e Reg. CE n. 780/03, che prevedono il rigetto delle domande tese all’ottenimento dei predetti certificati, allorchè i richiedenti siano “legati l’uno all’altro ai sensi dell’art. 143 Reg. CE 2454/93”, invitando la società ricorrente, come coobbligato in solido (avendo “partecipato alla irregolare introduzione nel territorio doganale della comunità delle partite di merce in questione”) al pagamento dei conseguenti maggiori dazi ed Iva, coi relativi interessi.

Si costituiva in giudizio l’Ufficio delle dogane.

La Commissione tributaria provinciale di Alessandria ha respinto il ricorso con sentenza n. 40/06/09, depositata il 20 marzo 2009.

2. – La Commissione tributaria regionale del Piemonte ha respinto l’appello della contribuente.

3. – La Euromeat s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione affidato a sette motivi.

L’Agenzia delle dogane e dei monopoli si è costituita con controricorso.

In prossimità dell’udienza l’Agenzia delle dogane e dei monopoli ha depositato una memoria difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – In via preliminare va dichiarata l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità dei motivi primo, quinto, sesto e settimo per omessa formulazione del momento di sintesi, perchè la sentenza è del 2011.

L’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, e contenente la previsione della formulazione del quesito di diritto, come condizione di ammissibilità del ricorso per cassazione, si applica ratione temporis ai ricorsi proposti avverso sentenze e provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2 marzo 2006 (data di entrata in vigore del menzionato decreto), e fino al 4 luglio 2009, data dalla quale opera la successiva abrogazione della norma, disposta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47 (Cass. 19 novembre 2014, n. 24597).

2. – Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, art. 11, e del principio di obbligatorietà del contraddittorio amministrativo doganale (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Parte ricorrente, in particolare, deduce che la rettifica non sia stata preceduta da alcun contraddittorio con la società esponente, non essendovene traccia nell’avviso di rettifica nè, più in generale, negli atti di causa.

2.1. – Il motivo è infondato.

In materia doganale, il principio del rispetto del contraddittorio anche nella fase amministrativa, pur non essendo esplicitamente richiamato dal Reg. (CEE) 12 ottobre 1992, n. 2913/92 (Codice Doganale Comunitario), si evince dalle previsioni espresse del D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, art. 11, e costituisce un principio generale del diritto comunitario che trova applicazione ogni qualvolta l’Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo (cfr. Corte di Giustizia CE, sent. 18 dicembre 2008, in causa C349/07). Ne deriva che la denuncia di vizi di attività dell’Amministrazione capaci di inficiare il procedimento è destinata ad acquisire rilevanza soltanto se, ed in quanto, l’inosservanza delle regole abbia determinato un concreto pregiudizio del diritto di difesa della parte, direttamente dipendente dalla violazione che si sia riverberata sui vizi del provvedimento finale (Cass. 23 maggio 2018, n. 12832; Cass. 15 marzo 2013, n. 6621).

Parte ricorrente non ha tuttavia specificato quale pregiudizio concreto sarebbe derivato dall’inosservanza del principio del contraddittorio ((ndr. Testo originale non comprensibile) alla fase amministrativa, per cui il motivo di doglianza deve essere respinto.

3. – Con il secondo, il terzo e il quarto motivo si denuncia l’omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Parte ricorrente evidenzia l’esistenza di una motivazione del tutto ambigua e perplessa con riferimento all’esistenza del gruppo di imprese nel ruolo di capogruppo svolto dalla Euromeat, nella parte in cui ritiene a un tempo la veridicità dei fatti affermati dalla società ricorrente, e di quelli (indicati in modo assolutamente generico) risultanti dal p.v.c. In tal modo, la motivazione si risolverebbe in una mera, semplicistica e parziale, descrizione delle contrapposte allegazioni delle parti, inidonea a far comprendere le ragioni per cui la /missione tributaria regionale si sarebbe decisa a prestar fede alle risultanze del p.v.c., disattendendo la sentenza del GUP di Piacenza del 2009 e omettendo ogni esame del contenuto della perizia contabile e della lettera-parere del Ministero. In altro punto, la Commissione tributaria regionale finisce per dare implicitamente atto che la Euromeat e la Sud. Am. Trade erano indipendenti.

Si deduce, inoltre, che la Commissione tributaria regionale si astiene dall’indicare da quali elementi ha tratto la convinzione che il Ministero ignorasse il p.v.c., quando la contribuente aveva fatto notare (e riportato nell’appello) che la lettera-parere del Ministero esordiva proprio facendo un preciso riferimento al p.v.c., “in relazione” al quale riportava le osservazioni successive, nè si comprenderebbe donde derivi la convinzione per cui davanti al GUP i fatti descritti nel p.v.c. “apparvero” solo “in parte”.

Parte ricorrente evidenzia, inoltre, che la revoca dei benefici per l’esistenza di collegamenti societari postula che tali collegamenti intercorrano tra soggetti che abbiano entrambi partecipato al contingente, donde la decisività dell’allegata mancata partecipazione di Euromeat. La sentenza impugnata ha dato atto che il fatto rispondeva al vero, precisando che ciò era dovuto alla impossibilità giuridica di Euromeat di partecipare al contingente sub quota II, ma ne ha completamente travisato la valenza, nel momento in cui ha arbitrariamente assunto che la circostanza fosse stata dedotta “per dimostrare che non esisteva legame tra le società partecipanti all’assegnazione dei contingenti”. La Commissione tributaria regionale avrebbe dovuto valutare se la mancata partecipazione di Euromeat rendesse irrilevanti i supposti legami, come lamentato dalla ricorrente, e non da quale ragione dipendesse.

3.1. – I motivi, da trattarsi congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono inammissibili.

Anche nel vigore del vecchio testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, è inammissibile la revisione del ragionamento decisorio del giudice, non potendo mai la Corte di cassazione procedere ad un’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa (Cass. n. 91/2014; Cass. S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 5024/2012) e non potendo il vizio consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (Cass. n. 11511/2014; Cass. n. 25608/2013; Cass. n. 6288/2011; Cass. n. 6694/2009; Cass. n. 15489/2007; Cass. n. 4766/2006).

Pertanto, con riguardo alle prove, mai può essere censurata la valutazione in sè degli elementi probatori secondo il prudente apprezzamento del giudice (Cass. n. 24155/2017; Cass. n. 1414/2015; Cass. n. 13960/2014).

Relativamente alla denunciata omessa valutazione da parte della Commissione tributaria regionale delle prove offerte dalla società contribuente, la ricorrente tende, in realtà, a ottenere, sotto il velo della denuncia di omessa e insufficiente motivazione, una inammissibile e diversa valutazione dei fatti e un nuovo apprezzamento delle risultanze istruttorie, che spetta solo al giudice di merito compiere. Risulta, infatti, dalla sentenza impugnata che la Commissione tributaria regionale ha preso in esame sia la sentenza penale del GUP di Piacenza del 24 giugno 2009 sia la nota del 5 dicembre 2005 del Ministero delle attività produttive.

Quanto alla decisione del Tribunale di Piacenza ha ritenuto che la stessa, avendo ad oggetto profili della vicenda – attinenti alla effettiva presenza commerciale e regolarità della società satellite – non perfettamente corrispondenti con quelli oggetto del giudizio tributario, non fosse idonea a scalfire le risultanze del p.v.c. della Guardia di finanza dal quale si evinceva che sussistevano le condizioni di irregolarità di cui all’art. 143 Reg. n. 2454 del 1993, essendo emersa la presenza di un Gruppo di imprese – tutte riconducibili ai membri della famiglia S., strettamente controllate dalla Euromeat s.p.a. – che aveva determinato l’assegnazione di contingenti agevolati attraverso un comportamento costruito ad arte con intento fraudolento, in cui la Euromeat s.p.a. aveva rivestito un ruolo fondamentale.

Quanto alla nota del 5 dicembre 2005 del Ministero delle attività produttive, il giudice di appello ha affermato la sostanziale irrilevanza della constatazione del Ministero circa la inesistenza, in base alla documentazione prodotta, di alcun elemento per ravvisare il “legame” tra le società richiedenti la partecipazione al sub-contingente II e la Euromeat s.p.a. che non aveva partecipato alla sottoquota II, per avere già partecipato al contingente I.

In ogni caso, la censura è inammissibile per difetto di specificità, quanto al requisito di decisività, richiesto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, delle prove valutate con asserita insufficienza dalla Commissione tributaria regionale.

Premesso che il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento dalle risultanze probatorie che ritenga più attendibili ed idonee, essendo sufficiente, ai fini della congruità della relativa motivazione, che risulti che l’accertamento dei fatti si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi probatori acquisiti al giudizio, considerati nel loro complesso, la quale non richiede la discussione di ogni singolo elemento o la confutazione di tutte le deduzioni difensive (cfr. Cass. 9 aprile 2001, n. 5235; Cass. 23 maggio 2007, n. 12052; Cass. 4 marzo 2011, n. 5229), difetta del tutto il requisito di “decisività” del fatto probatorio omesso od inesattamente valutato dal giudice, occorrendo, ai fini della ammissibilità della censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che la prova o il documento pretermesso sia tale da inficiare la ricostruzione dei fatti compiuti dal giudice di merito determinando un quadro probatorio idoneo, da un lato, a demolire le ragioni poste a fondamento della decisione impugnata e, dall’altro, a sovvertire con grado di certezza l’esito del giudizio in senso favorevole alla ricorrente.

Tale requisito difetta del tutto nel caso di specie in quanto:

a) la mera invocazione della formula assolutoria della sentenza penale – che, ove anche irrevocabile, non spiega alcuna efficacia vincolante automatica nel giudizio tributario – appare del tutto inadeguata (in difetto di specifica e puntuale indicazione dei fatti materiali accertati ritenuti dimostrativi della assenza di un collegamento societario) a fornire quella prova decisiva cui è subordinata la ammissibilità del motivo con il quale si denuncia il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, infatti, tenuto conto che “nessuna automatica autorità di cosa giudicata può più attribuirsi nel separato giudizio tributario alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente” e che, pertanto, “il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.), deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare” (Cass. 21 giugno 2002, n. 9109; Cass. 8 marzo 2001, n. 3421; Cass. 25 gennaio 2002, n. 889; Cass. 19 marzo 2002, n. 3961; Cass. 24 maggio 2005 n. 10945; Cass. 12 marzo 2007, n. 5720; Cass. 18 gennaio 2008, n. 1014, in materia di fatturazione per operazioni inesistenti: ribadisce che la efficacia del giudicato concerne solo circostanze fattuali specifiche, ma non può estendersi anche agli elementi di valutazione di quei fatti; Cass. 17 febbraio 2010, n. 3724; Cass. 8 ottobre 2010, n. 20860; Cass. 27 settembre 2011, n. 19786; Cass. 23 maggio 2012, n. 8129). Ne consegue che, corrispondentemente, anche il contribuente che intenda avvalersi nel giudizio tributario della pronuncia penale concernente fatti rilevanti per la obbligazione tributaria – a lui favorevole, non può limitarsi ad invocare, con il motivo di ricorso, la applicazione di tale pronuncia, ma è tenuto, per non incorrere nella dichiarazione di inammissibilità della censura, ad esplicitare quali tra i fatti materiali accertati in sede penale debbano ritenersi determinanti ai fini dell’accertamento da compiersi nel giudizio tributario;

a) la lettera in data 5 dicembre 2005 del Ministero delle Attività Produttive si limita a rilevare come al momento della presentazione delle domande di registrazione, dalla documentazione relativa all’assetto societario delle società non emergevano elementi di sospetto circa un collegamento societario: ebbene risulta evidente come l’esame meramente documentale condotto dal Ministero non sia risultato – come rilevato dalla Commissione tributaria regionale – dirimente nell’accertamento della responsabilità solidale della Euromeat s.p.a., in quanto, come evidenziato all’Agenzia delle dogane, il Ministero non era in possesso di alcun elemento per poter ravvisare il legame tra le società richiedenti e la Euromeat s.p.a., posto che quest’ultima non risultava tra i richiedenti in quanto non aveva partecipato subcontingente II. La Euromeat s.p.a., come indicato in sentenza, non avrebbe potuto partecipare al contingente II, avendo già partecipato al contingente I riservato agli importatori tradizionali;

c) stessa sorte deve riservarsi anche alla “perizia tecnico-contabile” depositata nel giudizio penale: nella esposizione del motivo la parte ricorrente si limita esclusivamente ad affermare che il giudice di appello non ha tenuto conto delle risultanze di tale atto. Orbene, indipendentemente dalla inefficacia probatoria di un documento a contenuto valutativo formato a iniziativa della stessa parte che intende avvalersene, qualora in ipotesi dalla perizia fossero emersi fatti non contestati dalla Amministrazione doganale – e tali da potersi pertanto ritenersi dimostrati in giudizio-, bene avrebbe dovuto la parte ricorrente individuarli in modo chiaro e preciso, specificandone il carattere dirimente sotto il profilo probatorio, in quanto idonei ad escludere i “legami” di cui all’art. 143 reg. CEE n. 2454/1993 o comunque tali da inficiare la congruenza delle altre prove valorizzate dalla Commissione tributaria regionale ai fini dell’accertamento della organizzazione del sistema fraudolento di riconoscimento delle quote dei contingenti di importazione oltre i limiti consentiti dai regolamenti comunitari. Non avendo la ricorrente assolto a tale onere, rimane preclusa ogni ulteriore verifica da parte della Corte della decisività della prova.

In ogni caso, parte ricorrente, incorre anche nel difetto di specificità, avuto riguardo al condivisibile insegnamento di questa Corte, secondo cui il ricorrente per cassazione che intenda dolersi dell’annessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, il duplice onere, imposto a pena di inammissibilità del ricorso, di indicare esattamente nell’atto introduttivo in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, e di evidenziarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nei suoi esatti termini, al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo, senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte (Cass. n. 743 del 2017; Cass. n. 26174/14; Cass., Sez. Un., n. 28547/08; Cass., Sez. Un., n. 23019/07; Cass., Sez. Un., n. 7161/10).

4. – Con il quinto motivo di ricorso si prospetta la nullità della sentenza per omessa pronuncia (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4). Parte ricorrente evidenza di aver dedotto nel ricorso introduttivo l’insussistenza dei presupposti per procedere alla rettifica D.Lgs. n. 374 del 1990, ex art. 11, e che tale motivo era stato riproposto espressamente nell’atto di appello, oltre al suo omesso esame da parte del giudice di prime cure. La sentenza impugnata si è astenuta dall’esaminare tale questione, incorrendo nella violazione ex art. 112 c.p.c..

4.1. – Il motivo è infondato.

Pur essendovi stata omessa pronuncia sulla questione, il motivo va respinto nel merito poichè il requisito formale della motivazione dell’atto impositivo di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 7 e, per quanto specificamente attiene agli avvisi di rettifica in materia doganale, di cui al D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, art. 11, comma 5 bis (“la motivazione dell’atto deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto non conosciuto nè ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale ai fini della difesa…”), deve ritenersi assolto anche attraverso la motivazione per relationem alle risultanze dell’indagine (Cass. 5 aprile 2013, n. 8399).

Nella specie, l’avviso di rettifica motivava rinviando a due processi verbali della Guardia di Finanza. Tanto appare sufficiente ad individuare la causa giustificativa del recupero daziario in relazione al “contenuto essenziale” dell’atto richiamato ed a porre la società in grado di apprestare le proprie difese, dovendosi, al riguardo, distinguere nettamente la questione relativa alla esistenza della motivazione dell’atto impositivo, quale “requisito formale di validità” dell’avviso di accertamento (L. n. 212 del 2000, art. 7; l’obbligo dei requisiti motivazionali richiesti a pena di nullità dell’atto impositivo è stato attuato con il D.Lgs. 26 gennaio 2001, n. 32, che ha introdotto al D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, comma 5 bis), dalla questione attinente, invece, alla indicazione ed alla effettiva sussistenza di elementi dimostrativi dei fatti costitutivi della pretesa tributaria (Cass. 17 gennaio 1997 n. 459; Cass. 5 giugno 1998, n. 5544; Cass. 1 agosto 2000, n. 10052), indicazione che non è richiesta quale elemento costitutivo della validità dell’atto impositivo, e che rimane disciplinata dalle regole processuali proprie della istruzione probatoria che trovano applicazione nello svolgimento dell’eventuale giudizio introdotto dal contribuente con il ricorso di opposizione all’atto impositivo.

5. – Con il sesto motivo di ricorso si prospetta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 8, 9 e 10 Reg. CE n. 954/2002 e Reg. CE n. 780/2003 della Commissione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). La sentenza impugnata ha ritenuto di confermare l’avviso di rettifica impugnato nonostante il fatto che la revoca del provvedimento del Ministero delle attività produttive spetti al ministero medesimo (art. 10, Reg. CE 4 giugno 2002, n. 954, comma 2).

5.1. – Il motivo è infondato.

In tema di tributi doganali, il provvedimento formale di rilascio del certificato di origine AGRIM (rappresentativo della quota) della merce importata non preclude il potere dell’Ufficio doganale di contestare la irregolarità e illiceità dell’importazione, sulla base di elementi accertati in sede di verifica o di revisione a posteriori, attesa l’assenza di norme che subordinino il recupero del dazio alla previa revoca dei titoli AGRIM, che, alla stregua della disciplina comunitaria (art. 10 Reg. n. 954/2002/CE), può essere effettuata, unitamente ai benefici fiscali accordati, solo se siano stati concessi in base a documentazione falsa o fraudolenta (Cass. 10 dicembre 2014, n. 25974).

Non è dato individuare alcuna norma statale o comunitaria che espressamente subordini il recupero del dazio alla previa revoca dei titoli AGRIM, limitandosi le norme dei regolamenti comunitari a disporre che “il riconoscimento” (che costituisce una condizione di legittimazione per la presentazione da parte della impresa della domanda di partecipazione alla assegnazione del contingente tariffario) ed i benefici eventualmente già accordati in virtù del riconoscimento debbono essere revocati qualora il titolo di legittimazione sia stato concesso “in base a documentazione falsa o fraudolenta” (art. 10 reg. CE n. 954/2002), senza che venga anche disciplinato uno specifico procedimento per il recupero del maggiore dazio doganale dovuto o vengano individuate le autorità competenti.

La norma dell’art. 10 Reg. CE n. 954/2002 si colloca, infatti, nell’ambito della disciplina del procedimento amministrativo di “riconoscimento” degli operatori che richiedono di partecipare alla assegnazione del contingente, ed i provvedimenti previsti da tale art., par. 2, “qualora venga stabilito che il riconoscimento è stato concesso in base a documentazione falsa o fraudolenta, esso viene revocato unitamente agli altri benefici già concessi in virtù del riconoscimento”), indiscutibilmente riservati alla competenza dello stesso Ministero che ha rilasciato i titoli AGRIM, costituiscono attuazione del rapporto di diritto amministrativo tra i predetti soggetti e presuppongono che il contingente sia ancora aperto, ossia non siano decorsi i termini finali previsti per ciascun periodo in cui è suddiviso il contingente e non siano già stati utilizzati i titoli AGRIM rilasciati al soggetto non avente diritto, essendo funzionale la revoca alla attribuzione dei medesimi titoli al soggetto legittimato utilmente collocato in graduatoria, così da consentire lo sfruttamento delle relative quote da parte di altri operatori che, altrimenti, rimarrebbero non assegnate.

Definite le operazioni di importazione della merce, il titolo AGRIM ha esaurito la sua funzione e viene quindi restituito alla Amministrazione statale emittente, venendo in questione soltanto il rapporto tributario, il cui accertamento è demandato alla esclusiva competenza dell’Amministrazione doganale, tenuta a verificare se sussistono i presupposti per la fruizione del trattamento daziario agevolato, controllo che non è limitato dal mero possesso da parte dell’importatore del titolo AGRIM (rappresentativo della quota), ma dall’accertamento delle effettive condizioni legittimanti l’applicazione del dazio, bene potendo emergere in tale sede che il soggetto importatore non aveva diritto alle quote in quanto aveva agito in collegamento con altri operatori e dunque in violazione dei limiti stabiliti dai regolamenti comunitari (Cass. 10 dicembre 2014, n. 25974).

In proposito è sufficiente rilevare come la onnicomprensiva formulazione del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, comma 5 (sostanzialmente riprodotta nell’art. 78 C.D.C., par. 3, “quando dalla revisione…risulti che le disposizioni che disciplinano il regime doganale considerato sono state applicate in base ad elementi inesatti od incompleti…”) si estende a qualsiasi ipotesi di mancata od inesatta contabilizzazione dei diritti doganali, dovendo ritenersi in essa unificate tutte le ipotesi attinenti sia agli “errori di calcolo nella liquidazione o di erronea applicazione delle tariffe” che quelle concernenti “l’erroneo od inesatto accertamento della qualità, della quantità, del valore o della origine della merce”, originariamente tenute distinte – quanto allo svolgimento del procedimento amministrativo – dall’art. 84 T.U.L.D., comma 1 e 4, (D.P.R. n. 43 del 1973), conclusione che trova dirimente conferma nella disposizione dell’art. 220 C.D.C., par. 1, secondo cui si procede al recupero del dazio risultante da una obbligazione doganale tutte le volte che il relativo importo “non sia stato contabilizzato…o sia stato contabilizzato ad un livello inferiore all’importo legalmente dovuto”, indipendentemente quindi se ciò sia o meno dipeso da un errore od una inesattezza della Amministrazione doganale inerente al calcolo ovvero inerente alla individuazione e classificazione della merce.

6. – Con il settimo motivo di ricorso si prospetta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 38 T.U.L.D. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Secondo parte ricorrente, il fatto che la carne, regolarmente importata dall’operatore, sia stata successivamente da questi venduta alla Euromeat, operante professionalmente nel campo del commercio delle carni, non integra l’ipotesi di obbligazione solidale descritta nell’art. 38 T.U.L.D., così come la circostanza che il prezzo eventualmente benefici dell’agevolazione daziaria fruita dal venditore. Quest’ultima disposizione, infatti, non considera sufficiente un nesso qualsiasi tra un soggetto e l’operazione di importazione, ma stabilisce che la merce deve essere stata importata per conto di taluno, che diviene per ciò responsabile solidalmente con l’importatore.

6.1. – Il motivo è infondato.

Come emerge dalla pronuncia della Commissione tributaria regionale, la società ricorrente ha partecipato all’operazione, traendone vantaggi illeciti. Il D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 38, in linea con la regolamentazione comunitaria tesa a salvaguardare l’interesse pubblicistico all’adempimento dell’obbligazione daziaria Reg. C.e.e. 2913/1992, vincola all’obbligazione tributaria tutti coloro comunque ingeritisi nell’operazione (Cass. 2 marzo 2012, n. 3285).

7. – Il ricorso va pertanto respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

8. – Sussistono le condizioni per dare atto della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte rigetta ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona del Direttore pro tempore, delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 7000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quinta Sezione civile, il 17 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2020

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