Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6170 del 05/03/2020

Cassazione civile sez. III, 05/03/2020, (ud. 07/11/2019, dep. 05/03/2020), n.6170

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 664 del ruolo generale dell’anno 2017,

proposto da:

T.G., (C.F.: (OMISSIS)) rappresentata e difesa dall’avvocato

Saverio Cosi (C.F.: CSO SVR 60L02 B842C);

– ricorrente –

nei confronti di:

INTESA SANPAOLO S.p.A., (C.F.: (OMISSIS)), in persona del

rappresentante per procura P.B. rappresentata e difesa

dall’avvocato (OMISSIS);

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza del Tribunale di Roma n. 16760/2016,

pubblicata in data 13 settembre 2016;

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data 7

novembre 2019 dal consigliere Dott. Augusto Tatangelo;

uditi:

il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale

Dott. Soldi Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

l’avvocato Sara Cistriani, per delega dell’avvocato Saverio Cosi, per

la ricorrente;

l’avvocato Roberto Catalano, per delega dell’avvocato Benedetto

Gargani, per la società controricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Intesa Sanpaolo S.p.A. ha proposto opposizione all’esecuzione, ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 2, nel corso di un processo di esecuzione forzata promosso nei suoi confronti da T.G. sulla base di titolo esecutivo costituito da una ordinanza di assegnazione dei crediti pignorati pronunciata in suo favore in un precedente processo esecutivo nel quale la banca esecutata aveva assunto la posizione di terzo pignorato.

L’opposizione è stata accolta dal Giudice di Pace di Roma, che ha ritenuto fondata l’eccezione di prescrizione del credito fatto valere in via esecutiva, sollevata dall’opponente.

Il Tribunale di Roma ha confermato la decisione di primo grado.

Ricorre la T., sulla base di due motivi.

Resiste con controricorso Intesa Sanpaolo S.p.A..

Il ricorso è stato inizialmente trattato in camera di consiglio, in applicazione dell’art. 375 c.p.c. e art. 380 bis.1 c.p.c..

La Corte, all’esito dell’adunanza camerale del 17 maggio 2019, ha peraltro disposto la trattazione alla pubblica udienza. La società controricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Violazione e falsa applicazione degli artt. 334 – 112 – 100 c.p.c. – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Il motivo è infondato.

Il giudice di pace aveva accolto l’opposizione all’esecuzione della banca debitrice, ritenendo prescritto il credito fatto valere in via esecutiva dall’intimante T. e aveva disposto la compensazione delle spese del giudizio.

La T. ha proposto appello avverso il merito della decisione.

La banca ha proposto appello incidentale tardivo, chiedendo la condanna alle spese della T. anche in relazione al giudizio di primo grado.

Il tribunale ha rigettato l’appello principale e accolto l’appello incidentale tardivo, condannando la T. a pagare le spese del doppio grado del giudizio.

Secondo la T., l’appello incidentale tardivo avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile perchè avente ad oggetto un capo autonomo della decisione di primo grado, l’interesse a contestare il quale non era sorto dalla sua impugnazione principale, attinente solo al merito della decisione stessa.

Non è necessario, nella specie, prendere posizione sulla discussa questione dell’ammissibilità dell’appello incidentale tardivo riguardante un capo della decisione di primo grado diverso da quello impugnato con l’appello principale (l’orientamento prevalente sembra in realtà ammettere tale possibilità; cfr. ad es., tra le più recenti: Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 29593 del 16/11/2018, Rv. 651287 – 01; Sez. 5, Ordinanza n. 18415 del 12/07/2018, Rv. 649766 – 01; Sez. 5, Ordinanza n. 13651 del 30/05/2018, Rv. 649085 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 23396 del 16/11/2015, Rv. 637855 – 01: Sez. L, Sentenza n. 14609 del 27/06/2014, Rv. 631635 – 01; in senso apparentemente contrario, cfr. peraltro: Cass., Sez. L, Sentenza n. 6156 del 14/03/2018, Rv. 647499; Sez. 3, Sentenza n. 12387 del 16/06/2016, Rv. 640322 – 01).

E’ sufficiente rilevare che l’orientamento restrittivo non sarebbe comunque applicabile nella specie, dal momento che il capo della decisione di primo grado relativo alle spese di lite risultava sostanzialmente anch’esso in discussione nel giudizio di appello, proprio in dipendenza dell’impugnazione principale: in caso di accoglimento di quest’ultima, avente ad oggetto il merito della decisione del giudice di pace (di accoglimento dell’opposizione), infatti, sarebbe stata necessaria una nuova decisione sulle spese del primo grado, il che avrebbe comportato (salvo eccezionali motivi in senso contrario) la necessità di valutare, ai fini della pronuncia al riguardo, la soccombenza dell’opponente.

Di conseguenza, è evidente, da una parte, che il capo della decisione di primo grado relativo alle spese non poteva affatto ritenersi autonomo e indipendente rispetto a quello sul merito, oggetto dell’impugnazione principale (essendo invece un capo accessorio e dipendente da quest’ultimo) e, dall’altra parte, che l’interesse all’impugnazione incidentale della banca deve ritenersi insorto proprio a seguito dell’impugnazione principale, la quale ha rimesso in discussione il merito del giudizio e, di conseguenza, anche la regolamentazione delle spese relative al primo grado dello stesso.

2. Con il secondo motivo si denunzia “Violazione o falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 con riguardo agli artt. 553 – 339 c.p.c. – art. 2697 c.c. – art. 326 c.p.c. – artt. 115 e 116 c.p.c. – art. 530 c.p.c. – art. 617 c.p.c.”.

Anche questo motivo è infondato.

L’ordinanza di assegnazione posta in esecuzione dalla T. era stata pronunciata fuori udienza dal giudice dell’esecuzione in data 19/20 dicembre 2000 e mai comunicata alle parti. L’atto di precetto è stato notificato in data 30 giugno 2011.

Il tribunale ha ritenuto che la prescrizione dovesse farsi decorrere dalla data di deposito dell’ordinanza di assegnazione e quindi, in mancanza di atti interruttivi intermedi, l’ha ritenuta integralmente maturata al momento della notificazione del precetto (essendo questa intervenuta dopo oltre dieci anni).

Secondo la ricorrente, invece, la prescrizione avrebbe cominciato a decorrere solo dal momento in cui l’ordinanza di assegnazione era “passata in giudicato”, in quanto divenuta definitiva e/o inoppugnabile ai sensi dell’art. 617 c.p.c., e ciò non potrebbe ritenersi avvenuto prima del momento in cui essa stessa creditrice ne aveva avuto legale conoscenza (cioè solo nel 2011, con la richiesta di rilascio delle relative copie) e/o comunque prima di un anno dalla pubblicazione del provvedimento mai comunicato.

Gli assunti della ricorrente non sono fondati e, di conseguenza, la decisione impugnata va confermata, sebbene con le precisazioni ed integrazioni di cui appresso.

2.1 Con riguardo alla prescrizione del credito oggetto di pignoramento e di successiva assegnazione ai sensi dell’art. 552 c.p.c., va escluso in primo luogo – almeno laddove, come nella specie, si tratti di assegnazione conseguente a dichiarazione di quantità resa in senso positivo – che possano applicarsi le disposizioni di cui all’art. 2953 c.c., in quanto l’ordinanza di assegnazione di un credito pignorato non è in alcun modo equiparabile ad una sentenza di condanna (tanto meno a una sentenza di condanna del terzo debitor debitoris), ma costituisce solo un provvedimento giudiziale esecutivo atto a trasferire la titolarità del medesimo credito pignorato dal debitore esecutato al creditore procedente.

Inoltre, l’ordinanza di assegnazione – in quanto atto meramente esecutivo – non è suscettibile nè di appello nè di passaggio in giudicato.

Di conseguenza, le argomentazioni della ricorrente relative al “passaggio in giudicato” di detta ordinanza risultano del tutto inconferenti.

2.2 Va altresì escluso che possano applicarsi le disposizioni di cui all’art. 2943 c.c., commi 1, 2 e 3 e art. 2945 c.c., commi 2 e 3 come se il diritto di credito oggetto del pignoramento fosse esso stesso l’oggetto dell’azione esecutiva.

L’atto di pignoramento di un credito presso terzi costituisce esercizio in giudizio del diritto di credito posto a base dell’esecuzione, non di quello spettante al debitore verso il terzo, che è semplicemente il bene oggetto del pignoramento stesso. D’altronde il processo esecutivo, di regola, non si conclude con un provvedimento giudiziale che accerti (o attui) tale diritto (almeno ad eccezione delle ipotesi in cui si faccia luogo all’accertamento dell’obbligo del terzo in sede di cognizione, ai sensi dell’art. 549 c.p.c. nel testo anteriore alla novella del 2013).

Dunque, anche i principi che regolano l’effetto interruttivo istantaneo o, se del caso, anche permanente della prescrizione conseguente all’azione giudiziale, ai sensi dell’art. 2945 c.c., commi 2 e 3 a seconda degli esiti del processo esecutivo (in proposito, cfr., di recente, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 12239 del 09/05/2019, Rv. 653778 – 01), si applicano con riguardo al credito fatto valere con l’azione esecutiva, non certo al credito oggetto del pignoramento (come del resto nel caso oggetto della pronuncia appena richiamata, relativa ad una espropriazione immobiliare, in cui non esiste neanche un credito “oggetto di pignoramento”, unico oggetto dell’esecuzione essendo un bene immobile).

La disciplina prevista dall’art. 2943 c.c., commi 1, 2 e 3 e art. 2945 c.c., commi 2 e 3, riguarda i rapporti tra le parti di un processo (di cognizione, esecutivo o cautelare) e richiede che un determinato diritto sia fatto valere in giudizio, costituisca cioè l’oggetto di un processo di cognizione oppure quello che si intende realizzare nel processo esecutivo (o, ancora, quello oggetto della cautela, nel processo cautelare).

Nell’espropriazione presso terzi, il diritto che si realizza coattivamente è solo quello del creditore nei confronti del debitore, mentre il terzo non è neanche parte del processo esecutivo. Il terzo può acquistare la posizione di parte processuale (ma di un diverso processo, e precisamente di un autonomo processo di cognizione) solo nel caso in cui la sua dichiarazione di quantità sia negativa o contestata e si renda quindi necessario un vero e proprio accertamento giudiziale del suo obbligo (il che avviene in un ordinario e autonomo processo di cognizione, secondo il regime normativo applicabile alla fattispecie qui in esame, ma ora non più vigente; nel regime attualmente vigente il suddetto accertamento avviene addirittura in via sommaria e con effetti meramente endoesecutivi, il che comporta differenti problematiche con riguardo alla posizione del terzo, che peraltro non assumono rilievo nella presente fattispecie).

2.3 D fatto che l’atto di pignoramento presso terzi abbia carattere interruttivo/sospensivo della prescrizione, ai sensi dell’art. 2943 c.c., commi 1, 2 e 3 e art. 2945 c.c., commi 2 e 3, esclusivamente in relazione al diritto fatto valere dal creditore procedente contro il debitore non esclude peraltro, con riguardo al credito oggetto del pignoramento, che i singoli atti del procedimento siano comunque idonei a determinare, sul piano sostanziale, un effetto interruttivo della prescrizione, ai sensi delle altre disposizioni di cui agli artt. 2943 c.c. e ss..

In tale ottica può quindi attribuirsi, in primo luogo, alla notificazione al terzo dell’atto di pignoramento di cui all’art. 543 c.p.c., carattere interruttivo, esclusivamente istantaneo, della prescrizione del credito pignorato, ai sensi dell’art. 2943 c.c., u.c., quale atto di esercizio del diritto stesso, sul piano sostanziale, effettuato dal creditore procedente in surroga del debitore esecutato.

Certamente poi, in caso di dichiarazione di quantità positiva da parte del terzo debitor debitoris, la prescrizione deve considerarsi (nuovamente) interrotta, sempre con effetti istantanei, ai sensi dell’art. 2944 c.c., in virtù di detta dichiarazione, perchè questa di certo integra un sostanziale atto di riconoscimento del proprio debito da parte del terzo (è appena il caso di osservare che, laddove invece la dichiarazione non fosse positiva e si facesse luogo all’accertamento dell’obbligo del terzo, ai sensi dell’art. 549 c.c., dal momento della proposizione della domanda di accertamento dell’obbligo del terzo da parte del creditore vi sarebbe una nuova interruzione della prescrizione e questa avrebbe certamente carattere permanente, ai sensi dell’art. 2943 c.c., comma 1 e art. 2945 c.c., commi 2 e 3, fino al passaggio in giudicato della relativa sentenza, quanto meno con riguardo alla disciplina dell’espropriazione presso terzi anteriore alle modifiche della disposizione richiamata, che hanno eliminato il relativo giudizio di cognizione, rendendo l’accertamento dell’obbligo del terzo una vicenda meramente endoesecutiva, priva di attitudine al giudicato).

Una volta resa la dichiarazione di quantità, poichè l’assegnazione del credito pignorato non costituisce provvedimento di accertamento dello stesso e il creditore procedente semplicemente subentra nella medesima posizione di titolare del diritto di credito già spettante al debitore esecutato, la relativa ordinanza non può avere di regola diretta incidenza sul decorso della prescrizione di quel diritto: essa si limita infatti a trasferire la titolarità del diritto di credito pignorato, nella situazione in cui esso si trova, ma non lo costituisce nè lo modifica.

Di conseguenza, la prescrizione è interrotta dalla dichiarazione positiva del terzo, ai sensi dell’art. 2944 c.c., ma non dalla conseguente assegnazione del credito, di per sè sola considerata, cioè prima o senza che sia portata a conoscenza del terzo originario debitor debitoris: dalla data della dichiarazione positiva di quantità decorre un nuovo termine di prescrizione non influenzato, di regola, dalla successiva pronuncia dell’ordinanza di assegnazione.

2.4 Occorre peraltro precisare ulteriormente che, in base alla presente ricostruzione, vi è un periodo (sia pur breve) in cui il diritto di credito oggetto del pignoramento non può essere fatto valere, in quanto il creditore procedente non ne è ancora titolare, mentre al debitore esecutato ne è sottratta la disponibilità e la possibilità di esercizio: si tratta, precisamente, del periodo che intercorre tra il pignoramento e la dichiarazione di quantità positiva (o l’accertamento giudiziale dell’obbligo del terzo), e tra quest’ultimo evento e l’assegnazione.

Durante tale periodo, la prescrizione non può ritenersi comunque decorrere ai sensi dell’art. 2935 c.c., in quanto il diritto non può essere fatto valere.

Si tratta di impedimento di diritto, non di mero fatto, sia con riguardo all’originario creditore, cioè il debitore esecutato, che è soggetto passivo dell’esecuzione e, quindi, dei vincoli derivanti dal pignoramento, sia con riguardo al creditore procedente, che non acquista la titolarità del credito pignorato fino all’assegnazione in suo favore. Opera quindi certamente la previsione di cui all’art. 2935 c.c..

2.5 Sulla base dei principi fin qui esposti, risulta evidente che le censure di cui al ricorso non colgono nel segno.

La prescrizione del credito oggetto di assegnazione non può ritenersi infatti decorrere dal momento in cui la relativa ordinanza diventa inoppugnabile, come sostenuto dalla ricorrente, ma dal momento in cui, in base ad essa, il creditore ha la facoltà di esercitare il diritto a lui assegnato e cioè, di regola, dal momento in cui l’ordinanza stessa viene emessa e resa pubblica (quindi, più precisamente, dal momento della sua pronuncia in udienza ovvero da quello del suo deposito in cancelleria, se emessa fuori udienza).

La comunicazione dell’ordinanza di assegnazione emessa fuori udienza, da parte della cancelleria, in quest’ottica, non assume alcun rilievo, in quanto essa non costituisce condizione per l’esercizio del diritto di credito oggetto di assegnazione da parte del creditore. La mancata conoscenza dell’avvenuto deposito di detta ordinanza potrebbe costituire al più un ostacolo o un impedimento di mero fatto, per il creditore assegnatario, all’esercizio del diritto stesso: il che di regola non ha alcun effetto sul decorso della prescrizione, ai sensi dell’art. 2935 c.c., in quanto l’impossibilità di far valere il diritto, quale fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione ex art. 2935 c.c., è solo quella che deriva da cause giuridiche che ne ostacolino l’esercizio e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto (cfr., ex multis, Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 20642 del 31/07/2019, Rv. 654669 – 01; Sez. L, Sentenza n. 22072 del 11/09/2018, Rv. 650555 – 01; Sez. L, Sentenza n. 21371 del 29/08/2018, Rv. 650209 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 19193 del 19/07/2018, Rv. 649733 – 01; Sez. L, Sentenza n. 10828 del 26/05/2015, Rv. 635661 – 01.; Sez. 1, Sentenza n. 7609 del 15/04/2015, Rv. 635034 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 21026 del 06/10/2014, Rv. 632946 – 01; Sez. 6 – L, Ordinanza n. 3584 del 07/03/2012, Rv. 621158 – 01; Sez. L, Sentenza n. 14163 del 27/06/2011, Rv. 617721 01).

La ricorrente si è del resto limitata a sostenere, nel ricorso, che il provvedimento di assegnazione non poteva ritenersi inoppugnabile prima della sua conoscenza legale ai sensi dell’art. 617 c.p.c., sul presupposto che il decorso della prescrizione del credito assegnato richiederebbe l’inoppugnabilità dell’ordinanza di assegnazione. Ma tale presupposto è certamente erroneo, per quanto sin qui esposto, in quanto la prescrizione del credito decorre dal momento in cui è giuridicamente possibile il suo esercizio, indipendentemente dalla possibilità di impugnazione della relativa ordinanza di assegnazione.

2.6 Vanno enunciati, in conclusione, i seguenti principi di diritto:

“l’atto di pignoramento presso terzi ha carattere interruttivo e, se del caso, sospensivo della prescrizione, ai sensi dell’art. 2943 c.c., commi 1, 2 e 3 e art. 2945 c.c., commi 2 e 3, esclusivamente in relazione al diritto fatto valere dal creditore procedente contro il debitore, non in relazione al credito pignorato;

con riguardo al credito oggetto del pignoramento, i singoli atti del procedimento esecutivo portati a conoscenza del terzo o da lui compiuti sono comunque idonei a determinare, sul piano sostanziale, un effetto interruttivo della prescrizione, ai sensi delle altre disposizioni di cui agli artt. 2943 c.c. e ss.;

di conseguenza, la prescrizione del credito pignorato è interrotta, con effetto esclusivamente istantaneo, dalla notificazione al terzo dell’atto di pignoramento e comunque dalla dichiarazione di quantità positiva del terzo, ai sensi dell’art. 2944 c.c. (o dall’accertamento giudiziale del suo obbligo), ma non dalla conseguente successiva assegnazione del credito;

nel periodo che intercorre tra il pignoramento e la dichiarazione di quantità positiva del terzo (o l’accertamento giudiziale del suo obbligo), e tra quest’ultimo evento e l’assegnazione, peraltro, la prescrizione non decorre ai sensi dell’art. 2935 c.c., in quanto il diritto non può essere fatto valere nè dal creditore procedente nè dal debitore esecutato; essa ricomincia a decorrere dal momento in cui il credito assegnato può essere fatto valere dal creditore assegnatario, cioè, di regola, dal momento della pronuncia dell’ordinanza di assegnazione, se resa in udienza, ovvero dal momento del suo deposito, se resa fuori udienza”.

3. Il ricorso è rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna la ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della società controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 800,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonchè spese generali ed accessori di legge.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 7 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2020

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