Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17561 del 23/08/2011

Cassazione civile sez. lav., 23/08/2011, (ud. 12/07/2011, dep. 23/08/2011), n.17561

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DI VILLA

PAMPHILI 59, presso lo studio dell’avvocato SALAFIA ANTONIO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato DEL NEVO CLAUDIO,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati TADRIS PATRIZIA,

FABIANI GIUSEPPE, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 438/2007 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 07/05/2007 R.G.N. 1034/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/07/2011 dal Consigliere Dott. ULPIANO MORCAVALLO;

udito l’Avvocato SALAPIA ANTONIO;

Udito l’Avvocato PATRIZIA TRADRIS;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza specificata in epigrafe, la Corte d’appello di Torino ha confermato la decisione di primo grado del Tribunale di Tortona di rigetto della domanda di D.S., intesa ad ottenere dall’INPS, quale gestore del Fondo di garanzia ai sensi della L. n. 297 del 1982, il pagamento dei residui crediti retributivi e del t.f.r., maturati nei confronti della datrice di lavoro insolvente. Ha rilevato, in particolare, la Corte territoriale che l’intervento del Fondo era impedito, nel caso di specie, dalla circostanza che difettava un accertamento adeguato circa l’impossibilità di reperire beni aggredibili mediante l’esecuzione forzata, non potendosi ritenere idonei, al riguardo, i verbali di mancato pignoramento acquisiti in giudizio, i quali evidenziavano, esclusivamente, l’impossibilità di accedere ai locali dell’azienda (per la chiusura degli stessi, ovvero per la presenza di alcuni cani liberi che avevano impedito l’accesso dell’ufficiale giudiziario).

2. Avverso tale sentenza la lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione deducendo due motivi di impugnazione. L’Istituto ha resistito con controricorso.

3. Motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di impugnazione, denunciando vizio di motivazione, la ricorrente lamenta che i giudici di merito non abbiano considerato, ai fini della configurazione dello stato di insolvenza della datrice di lavoro, alcune decisive circostanze, pure dedotte in giudizio, e cioè che quest’ultima si era data alla fuga, essendo stata anche sloggiata dalla propria residenza, e che anche altri dipendenti avevano vanamente esperito azioni esecutive individuali.

2. Il secondo motivo denuncia violazione della L. n. 297 del 1982, art. 2, comma 5. Si deduce che nella specie erano presenti tutte le condizioni per ritenere adeguatamente esperita l’esecuzione forzata, ai fini dell’accesso alla tutela garantita dal Fondo di garanzia, essendosi accertato che la datrice di lavoro si era resa irreperibile, che altre esecuzioni erano state infruttuosamente avviate da più lavoratori, che per iniziativa della stessa ricorrente si era più volte tentato l’accesso ai locali dell’azienda e che, infine, l’esiguità del credito non giustificava altri tentativi.

2. Tali motivi, da esaminare congiuntamente per la connessione delle censure, non sono fondati.

2.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte – richiamata anche nella decisione impugnata – l’esperimento, da parte del lavoratore, dell’esecuzione forzata per la realizzazione dei propri crediti di lavoro, previsto dalla L. n. 297 del 1982, art. 2, comma 5, e dal D.Lgs. n. 80 del 1992, art. 2, comma 2, nei confronti del datore di lavoro inadempiente, che risulti non assoggettabile alle procedure concorsuali (vuoi per le sue condizioni soggettive vuoi per ragioni ostative di carattere oggettivo), costituisce, in linea di principio, un presupposto necessario per poter chiedere l’intervento del Fondo di garanzia; tale presupposto, peraltro, viene meno in tutti quei casi in cui l’esperimento dell’esecuzione forzata ecceda i limiti dell’ordinaria diligenza, ovvero quando la mancanza o l’insufficienza delle garanzia patrimoniali del debitore debbano considerarsi provate in relazione alle particolari circostanze del caso concreto (cfr.

Cass. n. 9108 del 2007; n. 1178 del 2009; n. 15662 del 2010, specie in relazione alla tutela del t.f.r. ai sensi della legge n. 297 del 1982).

2.2. In base a tali principi, i giudici di merito hanno escluso il diritto di ottenere la tutela del Fondo di garanzia, avendo ritenuto insufficienti – ai fini della configurazione del richiamato presupposto – i tentativi di pignoramento esperiti per iniziativa della lavoratrice, che erano risultati infruttuosi per difficoltà contingenti nell’accesso ai locali dell’azienda.

2.3. A tale valutazione la ricorrente muove, in questa sede, censure che si risolvono, essenzialmente, nella denuncia di inadeguatezza di tale giudizio di fatto, per l’omesso esame di decisive circostanze che -unitamente a quelle esaminate, relative ai pignoramenti infruttuosi ad iniziativa della stessa ricorrente – avrebbero dovuto determinare il riconoscimento della tutela alla stregua della normativa applicabile. Sennonchè, l’indicazione di tali circostanze – pure astrattamente rilevanti ai fini della decisione – difetta di ogni specificazione, risolvendosi, da un lato, nella mera e generica allegazione di imprecisati pignoramenti, che sarebbero stati esperiti, infruttuosamente, da “altri” dipendenti, e, dall’altro, nella semplice deduzione della “fuga” della titolare dell’azienda, desumibile dall’avvenuto “sloggiamento” della stessa dalla propria residenza: prospettazioni, queste, che – per la loro genericità e per la carenza di ogni indicazione relativa a supporti documentali, o comunque probatori, presenti nel giudizio di merito, cui ricondurre l’asserito omesso esame della Corte territoriale – certamente non assolvono all’onere di autosufficienza del ricorso, imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, nè dimostrano la decisività, in concreto, del denunciato vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2.4. Alla stregua di tali considerazioni, la valutazione della Corte d’appello si sottrae alle censure della ricorrente anche sotto il profilo della giustificatezza, o meno, di nuovi tentativi di esecuzione in relazione all’esiguità del credito; tale profilo, infatti, presupporrebbe l’esistenza di un precedente serio tentativo di esecuzione forzata, idoneo a comprovare l’insufficienza della garanzia patrimoniale (cfr. Cass. n. 11379 del 2008), ma – come accertato dai giudici di merito – tale presupposto difetta nella specie, essendosi verificata, esclusivamente, una mera difficoltà nell’accesso ai locali aziendali.

3. Pertanto, il ricorso deve essere rigettato. Si compensano le spese del giudizio in relazione alla natura della controversia e alla peculiarità della fattispecie.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 12 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2011

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