Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17211 del 11/08/2011

Cassazione civile sez. II, 11/08/2011, (ud. 19/04/2011, dep. 11/08/2011), n.17211

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27935/2005 proposto da:

C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 94, presso lo studio dell’avvocato FIORE

GIOVANNA, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

BLENGINI MARINELLA, GIUSTA EMMA;

– ricorrente –

contro

P.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA G. NICOTERA 29, presso lo studio dell’avvocato NOBILONI

Alessandro, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

LAUNO PAOLA, LAUNO AUGUSTO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1013/2005 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 27/06/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/04/2011 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA;

udito l’Avvocato GIOVANNA FIORE difensore della ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato ALESSANDRO NOBILONI difensore della resistente che

ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

P.A. agiva in possessorio, innanzi al Tribunale di Mondovì, nei confronti di C.F. per la tutela del possesso iure servitutis di un passo, di cui lamentava la restrizione per effetto di una recinzione di cantiere che ostacolava il transito, precedentemente agevole, dei veicoli.

Nella resistenza della parte convenuta, la quale sosteneva che la recinzione era stata collocata con l’accordo di tutti gli aventi diritto al passo, al fine di determinare consensualmente l’esatto tracciato del locus servitutis, il giudice adito, con ordinanza del 3.4.2001 rigettava la domanda e regolava le spese.

Sull’impugnazione della P., la Corte d’appello di Torino, dapprima, con sentenza non definitiva del 5.3.2002, dichiarava la nullità del provvedimento impugnato siccome reso con ordinanza e non con sentenza, data la natura in allora necessariamente bifasica del procedimento possessorio come ritenuta dalle S.U. di questa Corte Suprema con sentenza n. 1984/98; quindi, con sentenza definitiva del 27.6.2005, accoglieva la domanda condannando l’appellata alla rimozione di ogni ostacolo all’esercizio del passo, nonchè al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.

Riteneva la Corte subalpina, sulla base di una rinnovata istruzione probatoria, che fino all’installazione della recinzione il passaggio era avvenuto con ogni tipo di autovettura, anche di notevole ingombro, e con mezzi di impiego agricolo, e che sebbene il tracciato della strada fosse stato delimitato consensualmente, era tuttavia certo che dopo l’apposizione della recinzione in plastica collocata dalla C. ciò non era stato più possibile. Quanto al profilo soggettivo dell’illecito, osservava, poi, che l’appellata non aveva provato, per la maggiore risalenza dell’accordo delimitativo del sedime stradale rispetto all’oggettivo restringimento di esso, il proprio ragionevole convincimento di agire con il consenso del possessore.

Per la cassazione di quest’ultima sentenza ricorre C.F., articolando cinque motivi di annullamento, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso P.A..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Parte controricorrente eccepisce l’inammissibilità del ricorso per l’irritualità della relativa notifica, effettuata all’avv. Augusto Launo in Mondovì, anzichè presso il domicilio eletto per il giudizio d’appello, in Torino.

1.1. – L’eccezione, che per il suo carattere pregiudiziale deve essere esaminata prioritariamente, è infondata.

A tacere del fatto che in ogni caso, la notificazione del ricorso per cassazione eseguita in un luogo diverso da quello prescritto, ma non privo di un astratto collegamento con il destinatario, determina la nullità non dell’impugnazione in senso sostanziale, bensì della notifica, nullità che, pertanto, è sanata con effetto ex fune per raggiungimento dello scopo ove l’intimato abbia proposto controricorso (cfr. Cass. nn. 15190/05 e 15530/04), va osservato che ai sensi dell’art. 330 c.p.c., comma 1, l’impugnazione, non preceduta dalla notificazione della sentenza impugnata o dall’elezione di domicilio o dalla dichiarazione di residenza al momento di tale notificazione, può essere notificata sia presso il procuratore costituito nel giudizio a quo, sia nel domicilio eletto o nella residenza dichiarata per quel giudizio, con facoltà per l’impugnante di eseguire la notificazione nell’uno o nell’altro dei tre luoghi indicati, e che, inoltre, l’elezione di domicilio effettuata dalla parte nel giudizio di primo grado, ove non revocata, mantiene la sua efficacia anche per il successivo grado, con conseguente validità della notifica del ricorso per cassazione eseguita nel domicilio oggetto di tale elezione (Cass. nn. 15523/09 e 7214/02).

1.1.1. – Nello specifico, non essendo stata dichiarata residenza o eletto domicilio dall’odierna intimata all’atto della notificazione all’altra parte della sentenza d’appello, il ricorso è stato correttamente notificato presso lo studio di uno dei due difensori costituiti nel giudizio d’appello, in applicazione del primo dei tre criteri indicati dalla seconda parte dell’art. 330 c.p.c., comma 1.

2. – Con il primo motivo d’impugnazione, articolata in tre censure, parte ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 279 c.p.c., comma 2, n. 4 in relazione al giudicato interno di cui alla sentenza non definitiva, anche con riferimento all’art. 1066 c.c..

2.1. – Con la prima si deduce che contrariamente a quanto affermato nella sentenza definitiva, con la pronuncia non definitiva la Corte piemontese non ha accolto il primo motivo d’appello, inteso ad ottenere la nullità dell’intero procedimento di primo grado con rimessione della causa al Tribunale di Mondovì, ma ha rilevato un vizio procedurale diverso, limitandosi alla dichiarazione di nullità della sola ordinanza conclusiva impugnata, ed escludendo espressamente l’applicabilità dell’art. 54 c.p.c.. Tale violazione del giudicato interno, così testualmente prosegue parte ricorrente, costituisce vizio della sentenza impugnata, che a sua volta ha prodotto l’erronea condanna della C. al pagamento delle spese del primo grado di giudizio.

2.2. – Con il secondo lamenta una diversa e contrastante valutazione degli elementi di prova già raccolti e una non rispettata indicazione di quelli che avrebbero dovuto essere oggetto della fase di merito davanti alla Corte d’appello, dolendosi, in sostanza, del fatto che mentre con la sentenza non definitiva la Corte aveva motivatamente ritenuto non accordabile la tutela “cautelare” (rectius, interdittale) per difetto dell’elemento soggettivo dello spoglio o della turbativa, con la pronuncia definitiva, nonostante i testi escussi nel giudizio d’appello non avessero apportato nulla di diverso a quanto dichiarato in primo grado, la Corte d’appello, parzialmente mutata la composizione del collegio, ha negato i medesimi elementi di prova in danno dell’appellata.

2.3. – Con il terzo si allega un’ulteriore violazione del giudicato interno, in quanto nella sentenza non definitiva si afferma l’obbligo di un accertamento oggettivo delle condizioni dell’art. 1066 c.c., lì dove nella sentenza definitiva tale riscontro è del tutto disatteso. A fronte della confessione giudiziale provocata della P., che nel giudizio d’appello ha integralmente ammesso che sul sedime stradale così come delimitato in seguito agli accordi intercorsi tra le parti, transitavano anche mezzi agricoli di rilevanti dimensioni, la Corte d’appello avrebbe dovuto procedere ad un accertamento tecnico per l’acquisizione di dati certi circa l’ampiezza del tracciato stradale prima e dopo il lamentato spoglio.

3. – Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1066 c.c., lamentando che la Corte territoriale, dopo aver dato atto che le parti avevano di comune accordo delimitato l’ampiezza del sedime stradale e, quindi, stabilito contenuto e modalità dell’esercizio del passaggio, con la sentenza impugnata ha condannato la C. alla rimozione di ogni ostacolo e al ripristino dello status quo ante, senza tuttavia accertare se ed in qual misura la recinzione apposta dalla C. a delimitazione del cantiere aperto presso la propria abitazione abbia diminuito o impedito il transito dei mezzi diretti alla proprietà P., sicchè in difetto di verifica dello stato dei luoghi e delle modalità di esercizio del possesso della servitù nell’anno precedente, l’iter logico-giuridico seguito dal giudice di secondo grado appare viziato.

4. – Con il terzo motivo parte ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1170 c.c., anche in relazione all’art. 841 c.c., lamentando che il giudice d’appello ha dapprima sostenuto che il tracciato della strada sia stato delimitato con il consenso anche di P.A., ma poi ha ritenuto che in epoca successiva esso sia stato oggettivamente ristretto a causa della recinzione in plastica posta in essere dalla C., affermazione, quest’ultima, non suffragata da dati oggetti vi che, pertanto, non consente di comprendere su quali basi la Corte territoriale abbia accordato la tutela prevista dall’art. 1170 c.c.. Nè il giudice di secondo grado ha valutato la documentazione fotografica prodotta, eloquente nell’escludere che la recinzione in plastica ostacolasse il passaggio di un mezzo agricolo di notevoli dimensioni, e la risultanza confessoria dell’interrogatorio formale dell’appellante, la quale ha riconosciuto che sul sedime della strada così come delimitato in seguito agli accordi intercorsi fra le parti transitavano anche mezzi agricoli di rilevante ingombro. Il posizionamento della recinzione all’interno della proprietà C. conferma il convincimento di quest’ultima di esercitare il proprio diritto a recingere il fondo, come previsto dall’art. 841 c.c.. Infine, anche sotto il profilo soggettivo la tutela possessoria domandata non poteva essere concessa, poichè la recinzione in oggetto è stata apposta a delimitazione del cantiere, all’interno della proprietà C., senza alcuna interferenza con il sedime della strada su cui è esercitata la servitù di passaggio.

5. – Con il quarto motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 228 c.p.c., nonchè l’omessa valutazione di prove, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 1 e 5, la motivazione della sentenza impugnata, si sostiene, risulta carente, contraddittoria, parziale e incompleta in quanto omette di considerare le deposizioni dei testi S., Ca., B. e D., indicati da parte C., nonchè la documentazione fotografica e la richiesta istruttoria di c.t.u. descrittiva dei luoghi. Il vizio motivazionale è, poi, evidente se si considera che la Corte d’appello ha trascurato del tutto il contenuto dell’interrogatorio formale reso dalla sig.ra P., avente valore di confessione giudiziale ex art. 228 c.p.c., e quindi facente piena prova, lì dove detta parte ha ammesso che l’ampiezza del ponte posto all’ingresso delle due proprietà e sul quale si deve transitare prima ancora che sulla strada oggetto di servitù ha un’ampiezza di solo m. 3,10; che la strada è più ampia del ponte; e che sul sedime di essa come delimitato in seguito agli accordi intercorsi fra le parti, transitano anche mezzi agricoli di rilevanti dimensioni.

6. – Con il quinto motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c.. Si sostiene che la C. non sarebbe stata soccombente nel giudizio di primo grado, la cui conclusione è stata viziata da un errore procedurale non addebitabile alla convenuta; che la P. non è risultata integralmente vittoriosa in appello, essendo stata rigettata la domanda di risarcimento del danno; e che la condanna alle spese non è adeguatamente motivata.

7. – Il ricorso è infondato.

7.1. – Ciascuna delle censure in cui si articola il primo motivo suppone nella sentenza non definitiva che ebbe a dichiarare nulla la decisione di primo grado, un’efficacia di giudicato interno di merito che essa non possiede, essendosi la Corte subalpina limitata a pronunciare (peraltro mediante l’impiego di un mezzo del tutto eccedente rispetto allo scopo) una nullità processuale, senza pregiudicare in alcun modo la decisione sulla domanda. Nè l’aver la Corte territoriale escluso in allora l’esistenza delle condizioni per accogliere la richiesta di provvedimento interinale ha ridotto, compromesso o altrimenti ipotecato nel suo possibile contenuto la statuizione definitiva, ove si consideri che nel procedimento possessorio (sia ante che post D.L. n. 35 del 2005, convertito in L. n. 80 del 2005) il giudice sull’istanza di misura interdittale (anche a volerne ritenere l’ammissibilità nel giudizio d’appello) pronuncia ordinanza, la cui stabilità cede di fronte alla sentenza, essendo principio generale quello per cui le ordinanze, comunque motivate, non possono mai pregiudicare la decisione della causa (art. 177 c.p.c., comma 1).

8. – Del pari infondati il secondo, il terzo e il quarto motivo.

Questi, sotto l’egida di titolazioni riconducibili all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ma carenti nelle necessarie precisazioni volte a chiarire in qual modo sarebbero state violate o falsamente applicate le norme che richiamano, mal celano censure sulle valutazioni di fatto operate nella sentenza impugnata, criticate in quanto difformi dalle conclusioni che, secondo la ricorrente, sarebbero state imposte da altri elementi istruttori, non o non adeguatamente ponderati dal giudice d’appello.

Orbene, è fermo e noto orientamento di questa Corte che il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte perchè la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico – formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento , e, all’uopo, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. S.U. n. 5802/98 e successive conformi tra cui, da ultimo, Cass. n. 15264/07). In ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Cass. nn. 2272/07 e 14084/07).

8.1. – Nella specie la Corte territoriale, ha accertato, sulla base di alcuni dei testi escussi, che dopo la collocazione della recinzione in plastica non è stato più possibile il pregresso passaggio sulla strada con ogni, pur ingombrante, veicolo, nè tale fatto può essere ricondotto, al fine di escludere Vanimus spoliandì, al preteso accordo delimitativo del sedime stradale, intervenuto tra le parti negli anni 1994 – 1995. Seppure, prosegue la sentenza impugnata, il tracciato della strada sia rimasto immutato da allora, è indubitabile, per le dichiarazioni dei testi considerati, che in epoca successiva esso sia stato oggettivamente ristretto a causa della recinzione in plastica collocata dalla C., che non ha più consentito il transito di quegli automezzi, agricoli e non, con i quali prima si poteva accedere alla proprietà P..

Tale motivazione non è aggredita dai motivi d’impugnazione nella sua congruità e logicità interna, ma solo contestata in rapporto alla valenza estema di altri elementi istruttori ritenuti più favorevoli alla posizione della parte ricorrente, la quale, pertanto, mira in sostanza a sollecitare una rinnovata valutazione dei fatti, inammissibile in sede di legittimità.

9. – Ancora, è privo di fondamento anche il quinto motivo, atteso che a) ai fini del regolamento delle spese giudiziali la soccombenza va apprezzata non relativamente a ciascun grado di giudizio, ma in relazione all’esito complessivo della lite (cfr. ex multis e da ultimo, Cass. n.l 8837/10); sicchè, b) è affatto irrilevante che la nullità del provvedimento di chiusura del giudizio di primo grado non fosse addebitabile alla parte convenuta; infine, c) la regola della soccombenza, su cui si impernia il criterio positivo di riparto delle spese, opera su base prettamente indennitaria, volta a distribuire l’onere di queste ultime al di fuori di ogni intento o automatismo sanzionatorio, prescindendo da qualsiasi valutazione in termini di colpa, per evitare che la parte vittoriosa subisca una decurtazione del proprio credito a causa dell’incidenza delle spese stesse; conseguentemente, una volta individuata la parte soccombente, il giudice non ha alcun onere di motivare l’applicazione dell’art. 91 c.p.c., comma 1, dovendo invece motivare soltanto l’eventuale compensazione ai sensi dell’art. 92 c.p.c..

10. – In conclusione il ricorso va respinto.

11. – Le spese del presente procedimento, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza della parte ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali di studio, I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2011

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