Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5882 del 03/03/2020

Cassazione civile sez. I, 03/03/2020, (ud. 16/01/2020, dep. 03/03/2020), n.5882

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 9520/2019 r.g. proposto da:

K.V., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Alfonso

Di Benedetto, presso il cui studio elettivamente domicilia in Roma,

alla via Isole del Capo Verde n. 26.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (Questura di Roma – Prefettura di Roma), in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso, ope legis,

dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia in Roma,

alla via dei Portoghesi n. 12.

– controricorrente –

avverso il “decreto motivato” del GIUDICE DI PACE DI ROMA del

22/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/01/2020 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto del 15 ottobre 2018, il Prefetto di Roma ha espulso dal territorio nazionale K.V., cittadino (OMISSIS), perchè sprovvisto di valido permesso di soggiorno per continuare a soggiornarvi.

1.1. L’opposizione del K. avverso questo provvedimento è stata respinta dal Giudice di Pace di Roma, con “decreto motivato” del 16/22 gennaio 2019, in forza delle sole, seguenti argomentazioni: “Il ricorso non è fondato e non può trovare accoglimento, considerato che: a) al ricorrente in data 15.10.18 veniva notificato decreto di espulsione ex art. 13, comma 2, lett. b) del TUI dal Prefetto di Roma; b) nel caso de quo il ricorrente si è trattenuto illegalmente sul T.N.. Il ricorrente veniva munito del decreto di espulsione emesso dal Prefetto della Provincia di Roma, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13 comma 2, lett. b) e ss.mm; c) vi è nell’iter seguito la garanzia, dei diritti costituzionali ed il rispetto della motivazione dei provvedimenti adottati; d) i provvedimenti impugnati sono immuni da vizi di legittimità, poichè è ravvisabile nei provvedimenti amministrativi l’indicazione alle norme violate ed il comportamento contestato, con tutte le garanzie che l’Ordinamento prevede nel caso in esame; e) la copia del decreto di espulsione depositata in allegato al ricorso reca il timbro di conformità all’originale, con l’indicazione e la firma del funzionario che l’ha attestata”.

2. Avverso detto “decreto” K.V. ricorre per cassazione, affidandosi a due motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.. Il Ministero dell’Interno (costituitosi per la Questura e la Provincia di Roma) resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:

I) “Vizio di nullità del provvedimento impugnato, per omissione di pronuncia, per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”, avendo il Giudice di Pace adito in primo grado totalmente omesso di pronunciarsi sull’istanza, contenuta nel primo motivo di ricorso innanzi a lui, di annullamento e di revoca del decreto di espulsione prefettizio originariamente impugnato per la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7;

II) “Vizio di violazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 13, comma 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, non avendo il Giudice di Pace, adito in primo grado, rilevato la nullità ed illegittimità del decreto di espulsione prefettizio originariamente impugnato in quanto carente di adeguate ragioni giustificative dell’impossibilità di traduzione del decreto di espulsione nella lingua, ucraina, di nazionalità del ricorrente.

2. Il primo motivo è fondato, con conseguente assorbimento del secondo.

2.1. Invero, l’accesso agli atti del giudizio di merito, consentito a questa Corte dalla natura di error in procedendo del vizio denunciato, permette agevolmente di accertare che K.V., con il proprio ricorso depositato il 13 novembre 2018 innanzi al Giudice di Pace di Roma (iscritto al ruolo generale di quell’ufficio al n. 66930/2018), aveva contestato il provvedimento di espulsione adottato nei suoi confronti dal prefetto di quella stessa città invocando, innanzitutto, – riproducendo, in parte qua, il tenore letterale della relativa doglianza anche nel motivo in esame, e specificamente indicando che quel ricorso “si trova nel fascicolo di parte ricorrente di primo grado, fascicolo che si deposita in tale giudizio di cassazione al doc. n. 2) del fascicolo di parte ricorrente” – la “violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7”. In particolare, si era ivi richiamato il principio per cui “si ritiene impossibile la traduzione nella lingua conosciuta dall’espellendo, e si può procedere all’uso della lingua veicolare, allorquando, sia dall’Amministrazione che dal Giudice, sia ritenuta plausibile l’indisponibilità di un testo predisposto nella stessa lingua o l’inidoneità di tale testo alla comunicazione della decisione in concreto assunta e venga quindi attestato che non sia reperibile nell’immediato un traduttore”, e si era altresì osservato che “nel caso in questione, è inverosimile che la Questura di Roma non sia stata in grado di provvedere all’elaborazione, perlomeno nelle formule standard, di un testo in lingua ucraina, o quantomeno russa, nonostante la diffusione di tale etnia sul territorio”.

2.2. Il provvedimento oggi impugnato, invece, come chiaramente può evincersi dal suo tenore letterale come in precedenza riportato, nulla sancisce in ordine a questa doglianza.

2.2.1. In proposito, merita di essere solo ricordato che: i) il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, prevede che il decreto di espulsione e ogni altro concernente l’ingresso, il soggiorno e l’espulsione “sono comunicati all’interessato unitamente (…) ad una traduzione in una lingua da lui conosciuta ovvero, ove non sia possibile, in lingua inglese, francese o spagnola”, e che la giurisprudenza l’ha interpretato nel senso che gravi sull’amministrazione l’onere di provare l’eventuale conoscenza della lingua italiana o di una delle lingue cd. veicolari da parte del destinatario del provvedimento di espulsione, quale elemento costitutivo della facoltà di notificargli l’atto in una di dette lingue (cfr. Cass. n. 11887 del 2018; Cass. n. 1215 del 2015). Questa interpretazione della norma è da condividere con la precisazione che è compito del giudice di merito accertare in concreto se la persona conosca la lingua nella quale il provvedimento espulsivo sia stato tradotto, a tal fine valutando gli elementi probatori del processo, tra i quali assumono rilievo anche le dichiarazioni rese dall’interessato all’autorità amministrativa nel cosiddetto foglio-notizie, in cui egli abbia dichiarato di conoscere una determinata lingua nella quale poi il provvedimento sia stato tradotto (cfr. Cass. n. 11887 del 2018); li) l’omessa traduzione del decreto di espulsione nella lingua conosciuta dall’interessato o in quella cd. veicolare, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, comporta la nullità del provvedimento espulsivo, salvo che lo straniero conosca la lingua italiana e che di tale circostanza venga fornita prova, anche presuntiva (cfr. Cass. n. 2953 del 2019; Cass. n. 18123 del 2017); iii) la suddetta nullità non può dirsi esclusa, invocandosi il raggiungimento dello scopo come attestato dalla tempestiva opposizione, non applicandosi al requisito di validità del decreto espulsivo il predetto principio di sanatoria, propria del diritto processuale civile (cfr. Cass. n. 22607 del 2015; Cass. n. 16962 del 2011) ed in considerazione del fatto che la nullità del provvedimento per mancata traduzione può essere fatta valere soltanto mediante ricorso in opposizione, trattandosi di una tipologia d’invalidità dell’atto amministrativo (cfr. Cass. n. 18878 del 2018; Cass. n. 22607 del 2015; Cass. n. 17908 del 2010).

3. Il provvedimento impugnato va, dunque, cassato con rinvio al Giudice di pace di Roma, in persona di diverso magistrato, per il nuovo corrispondente esame e per la statuizione sulle spese di questo giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiarandone assorbito il secondo.

Cassa il provvedimento impugnato e rinvia la causa al Giudice di pace di Roma, in persona di diverso magistrato, per il nuovo corrispondente esame e per la statuizione sulle spese di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione, il 16 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2020

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