Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16126 del 22/07/2011

Cassazione civile sez. I, 22/07/2011, (ud. 24/05/2011, dep. 22/07/2011), n.16126

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27317/2007 proposto da:

C.M.T. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PIEMONTE 32, presso l’avvocato SPADA

GIUSEPPE, rappresentata e difesa dall’avvocato RAPPAZZO ANTONIO,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

CE.GI.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 90/2007 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/01/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/05/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO DIDONE;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato G. SPADA, per delega, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LETTIERI Nicola, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1.- Con sentenza del 23.4.2004 il Tribunale di Roma ha pronunciato la separazione personale tra i coniugi Ce.Gi. e C. M.T. con addebito al marito, ha assegnato alla moglie la casa coniugale e ha posto a carico del Ce. l’obbligo di corrispondere alla moglie un assegno mensile di 1.550,00 Euro per il suo mantenimento a decorrere dal febbraio 2004, oltre alle spese di lite.

La Corte di appello di Roma, con la sentenza impugnata (depositata il 10.1.2007), in parziale riforma della sentenza del Tribunale, appellata dal Ce., ha ridotto l’assegno per il mantenimento della C., con decorrenza dal febbraio 2004, a Euro 800,00 mensili. Ha osservato preliminarmente la Corte di merito che le risultanze documentali comprovavano le circostanze relative alla proporzione in cui ciascuno dei coniugi contribuiva al menage familiare e alla entità dei rispettivi redditi, che il giudice di primo grado aveva evidenziato a sostegno del convincimento, posto a fondamento della decisione, della superiorità economica del Ce..

Risultava infatti dagli estratti del conto corrente cointestato ai coniugi che su esso erano stati depositati circa 200 milioni nel 1999 e più di 100 milioni nei primi 6 mesi del 2000, mentre era provato dalle dichiarazioni dei redditi in atti che la C. aveva goduto tra il 1999 ed il 2001 di un reddito annuo netto di soli 35 – 40 milioni di lire. Risultava anche provato che la soc. Incontro, attraverso la quale il Ce. esercitava la sua attività professionale, aveva nel 2001 fatturato compensi per 340.000.000 di lire, dato che, a prescindere dalla effettiva entità del guadagno netto, comprovava l’ampiezza e redditività dell’attività professionale in questione, anche avuto riguardo alla circostanza, correttamente valutata dal Tribunale, che in un solo trimestre dello stesso anno (ottobre-dicembre 2001) risultavano, sul conto corrente intestato alla società, transitati circa 70.000.000 e compravenduti titoli per circa 100.000.000 di lire. Quanto agli anni successivi, dalle dichiarazioni dei redditi prodotte risultava che la C. aveva dichiarato negli anni 2004 e 2005 un reddito da impresa sostanzialmente eguale a quello innanzi detto e che aveva incrementato le proprietà immobiliari, risultando ora, oltre che comproprietaria per il 50% della casa coniugale, anche proprietaria esclusiva, anzichè comproprietaria, di un ulteriore immobile con alta rendita catastale e comproprietaria per il 33% di un fabbricato, nonchè nella stessa misura di diversi terreni.

Dal modello unico 2005 prodotto dal Ce., che non aveva “quindi correttamente ottemperato all’obbligo di produrre la documentazione fiscale relativa all’ultimo triennio, (essendo quella precedentemente prodotta ferma all’anno d’imposta 2002 per i redditi del 2001)”, risultava che egli aveva dichiarato di aver percepito nel 2004 un reddito annuo lordo da partecipazione in società esercenti attività d’impresa pari a circa 22.000 Euro e che era comproprietario al 50 per cento del solo immobile già costituente la casa familiare, rimasto nella esclusiva disponibilità della moglie. Il complesso delle anzidette emergenze induceva a condividere il convincimento del Tribunale in merito alla sussistenza dei presupposti per il riconoscimento alla C. di un assegno di mantenimento a carico del coniuge separato, dal momento che risultava provato che la capacità di reddito di quest’ultimo era in costanza di matrimonio nettamente superiore a quella della moglie e dunque fonte preponderante del reddito del nucleo familiare; l’appellante, d’altro canto, non aveva fornito prove idonee a dimostrare che la diminuzione del suo reddito da lavoro autonomo risultante dalla incompleta documentazione fiscale prodotta fosse il frutto di una incolpevole e non transitoria contrazione della sua attività.

Tuttavia, nella determinazione dell’entità dell’assegno, secondo la Corte di appello, avuto riguardo ai rispettivi redditi delle parti, doveva “attribuirsi maggior peso al vantaggio economico costituito per la C. dall’essere rimasta nella esclusiva disponibilità della casa familiare, di proprietà comune dei coniugi”, vantaggio che, nella misura in cui comportava un corrispondente sacrificio economico a carico del coniuge comproprietario, doveva essere considerato alla stregua di una componente in natura dell’assegno di mantenimento.

Considerata detta circostanza ed anche l’incremento delle proprietà immobiliari della C. avvenuto proprio nel 2004, la Corte di merito ha ritenuto congruo ridurre l’assegno di mantenimento in favore della medesima ad Euro 800,00 mensili, somma valutata idonea a riequilibrare il divario economico tra i coniugi e nel contempo compatibile con la capacità economica dell’obbligato, il quale non aveva adeguatamente dimostrato l’asserito peggioramento delle proprie condizioni economiche. Nè appariva rilevante il maggior onere derivante dalla nascita di un altro figlio, “dovendo ritenersi tale onere assunto volontariamente e dunque, deve presumersi, nella consapevolezza della sua compatibilità con l’adempimento del dovere di solidarietà che permane nei confronti del coniuge anche dopo la separazione”.

1.1.- La presente sentenza è redatta con motivazione semplificata.

così come disposto dal Collegio in esito alla deliberazione in camera di consiglio.

2.- Contro la sentenza di appello la C. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi con i quali denuncia vizio di motivazione e violazione dell’art. 155 quater c.c., (perchè dopo avere condiviso il giudizio del Tribunale circa la superiorità economica del marito, la Corte ha proceduto alla riduzione dell’assegno), nonchè vizio di motivazione per avere la Corte del merito ritenuto erroneamente che la ricorrente avesse acquisito la disponibilità di altro immobile, trattandosi, invece, del medesimo immobile assegnatole quale abitazione familiare e correttamente indicato nella dichiarazione dei redditi come goduto al 100% e non più al 50%. Non ha svolto difese l’intimato.

3.- Osserva la Corte che il primo motivo di ricorso è infondato.

E’ vero, infatti, che la Corte di merito ha impropriamente definito l’assegnazione della casa familiare quale componente in natura dell’assegno (e in tale parte la motivazione in diritto deve essere corretta) nondimeno la decisione impugnata è conforme al principio per il quale in tema di separazione personale dei coniugi, ai fini dell’accertamento del diritto all’assegno di mantenimento e della sua determinazione, occorre considerare la complessiva situazione di ciascuno dei coniugi e, quindi, tener conto, oltre che dei redditi in denaro, di ogni altra utilità economicamente valutabile, ivi compresa la disponibilità della casa coniugale (Sez. 1, Sentenza n. 19291/2005). Il secondo motivo di ricorso (che denuncia, in realtà, un vizio revocatorio) è inammissibile.

Questa Corte, anche di recente (Sez. 1, n. 12306/2010), ha puntualizzato che l’oggetto del controllo di legittimità sulla motivazione concerne la giustificazione della decisione di merito e non la vicenda giudiziale nel suo complesso. Invero, è stato da tempo chiarito dalla giurisprudenza (C, 18.11.2000 n. 14953) che in sede di legittimità il controllo della motivazione in fatto si compendia nel verificare che il discorso giustificativo svolto dal giudice del merito circa la propria statuizione esibisca i requisiti strutturali minimi dell’argomentazione (fatto probatorio – massima di esperienza – fatto accertato) senza che sia consentito alla Corte sostituire una diversa massima di esperienza a quella utilizzata (potendo questa essere disattesa non già quando l’inferenza probatoria non sia da essa “necessitata”, ma solo quando non sia da essa neppure minimamente sorretta o sia addirittura smentita, avendosi, in tal caso, una mera apparenza del discorso giustificativo) o confrontare la sentenza impugnata con le risultanze istruttorie, al fine di prendere in considerazione un fatto probatorio diverso o ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice del merito a fondamento della sua decisione.

Ciò, invece, è quanto chiede la ricorrente.

Il ricorso, dunque, deve essere rigettato.

Nulla va disposto in ordine alle spese stante l’assenza di attività difensiva dell’intimato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 24 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2011.

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