Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5576 del 28/02/2020
Cassazione civile sez. I, 28/02/2020, (ud. 01/10/2019, dep. 28/02/2020), n.5576
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
Dott. ANDRONIO Alessandro Maria – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
B.S., nato in (OMISSIS), elettivamente domiciliato in
Padova, vicolo Buonarroti 2, presso lo studio dell’avv. Maria Monica
Bassan, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, ((OMISSIS)), rappresentato e difeso ex lege
dall’Avvocatura generale dello Stato e domiciliato nei suoi uffici
di Roma, via dei Portoghesi 12;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA depositato il 15/05/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 01/10/2019 dal consigliere Dott. Alessandro M.
Andronio.
Fatto
FATTI DI CAUSA
1. Con decreto n. 2445/2018, comunicato il 15 maggio 2018, il Tribunale di Venezia ha rigettato il ricorso proposto dall’interessato avverso il provvedimento di diniego della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Padova.
2. Avverso il provvedimento l’interessato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo, con unico motivo di doglianza, la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per la mancata valutazione della situazione del suo paese di origine e della sua integrazione in Italia, ai fini del riconoscimento della sussistenza dei presupposti per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Il ricorrente lamenta che il Tribunale non avrebbe considerato che egli aveva dovuto lasciare il suo paese per la situazione di conflittualità e minaccia diffusa, dovuta a scontri politici e all’aumento dell’attività terroristica, nonchè per la sua vicenda personale, legata all’estrema povertà della famiglia, a causa di diverse inondazioni che avevano colpito la zona di provenienza.
3. L’amministrazione intimata si è costituita, chiedendo che il ricorso sia rigettato.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso è inammissibile.
Va premesso che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione di integrazione raggiunta nel paese d’accoglienza (ex multis, Sez. 1, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01). E deve ricordarsi, inoltre, che l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Sez. U, n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02). Tale valutazione comparativa è stata compiutamente effettuata dal Tribunale, che con argomentazioni del tutto logiche e coerenti e, dunque, insindacabili in sede di legittimità – ha affermato che i motivi che hanno portato il richiedente a emigrare sono meramente economici, come ammesso dallo stesso richiedente anche con il ricorso per cassazione. Il Tribunale ha accertato, in ogni caso, l’insussistenza di una situazione di pericolo nel paese di origine, spingendo il suo sindacato ben oltre la generica prospettazione dell’interessato, sulla base di documentazione proveniente da organizzazioni internazionali e associazioni umanitarie, reperita e presa in considerazione d’ufficio. Ha, infine, correttamente evidenziato che l’integrazione sociale del ricorrente in Italia non può essere considerata determinante ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, perchè egli, essendo un “migrante economico”, non presenta profili di vulnerabilità nel suo paese di origine.
2. Il ricorrente soccombente deve essere condannato alla rifusione delle spese sostenute dall’amministrazione resistente, da liquidarsi in Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese di controparte, che liquida in Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 1 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2020