Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5194 del 26/02/2020

Cassazione civile sez. I, 26/02/2020, (ud. 24/10/2019, dep. 26/02/2020), n.5194

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina A. R. – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21496/2018 proposto da

O.S., elettivamente domiciliato in Roma Via Calabria, 56

(tel. 06.42873508) presso lo studio dell’avvocato Filippo

Morlacchini, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Andrea Valente;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, Commissione Territoriale Riconoscimento

Protezione Internazionale Lecce;

– intimato –

e contro

Ministero Dell’interno, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei

Portoghesi 12, Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di LECCE, depositato il 21/6/2018;

udita la relazione della causa, svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24.10.2019 dal Consigliere Dott. Giuseppina A. R.

Pacilli.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con decreto del 21 giugno 2018, il Tribunale di Lecce ha respinto la domanda proposta da O.S., nativo della (OMISSIS), volta al riconoscimento della protezione internazionale o di quella umanitaria.

In estrema sintesi, il Tribunale pugliese ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato in favore del richiedente, non integralmente credibili le sue dichiarazioni e, comunque, i motivi, addotti a sostegno delle sue richieste, inidonei a consentirne l’accoglimento.

2. Avverso il descritto decreto il richiedente ha proposto ricorso per cassazione affidandosi a tre motivi (ulteriormente illustrati da memoria ex art. 380-bis c.p.c.).

Ha resistito con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:

I) Nullità della sentenza (art. 36 c.p.c., comma 1 n. 4, in correlazione con l’art. 112 c.p.c.). Secondo il ricorrente, il decreto della Commissione territoriale sarebbe nullo per la presenza di violazioni formali: esso, difatti, recherebbe la data del primo agosto mentre l’audizione del richiedente sarebbe avvenuta il 2 agosto 2017, così che la decisione assunta sarebbe stata predisposta anteriormente alla dovuta audizione; il provvedimento richiamerebbe quale forma di impugnazione il disposto di cui al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19 che è norma abolita dal D.L. n. 13 del 2017, art. 7 con conseguente lesione del diritto di difesa; infine il provvedimento indicherebbe che il richiedente è originario del Delta Sate nigerino mentre egli è originario di (OMISSIS) – (OMISSIS);

II) Violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., commi 1 n. 3 in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8,10,13,27; art. 16 e 46 Dir. UE, artt. 6 e 13 Convenzione EDU. Il Tribunale avrebbe violato l’obbligo di cooperare e di attivare poteri ufficiosi per l’accertamento dei fatti e non avrebbe dato risposta a tutte le censure difensive in ordine all’attendibilità del richiedente;

III) omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti e dai quali si evidenzia la sussistenza di gravissime criticità e violenze in (OMISSIS).

2. Il primo motivo è inammissibile.

Questa Corte ha già avuto modo di affermare che nel giudizio, promosso dall’interessato avverso la decisione di rigetto dell’istanza di riconoscimento della protezione internazionale, resa dalla Commissione territoriale competente, l’invalidità del provvedimento, derivante dall’inosservanza delle norme che disciplinano il procedimento amministrativo per la concessione del predetto beneficio, non assume un’autonoma rilevanza, essendo il giudice chiamato a pronunciarsi non specificamente sulla stessa inosservanza ma in ordine al merito dell’istanza. Il giudizio in questione non ha infatti ad oggetto la legittimità del provvedimento amministrativo, ma l’accertamento del diritto soggettivo dell’istante alla protezione invocata, e non può quindi concludersi con il mero annullamento del diniego della protezione, dovendo invece pervenire ad una decisione in ordine alla spettanza del diritto. In tal senso depone d’altronde il D.Lgs. 10 settembre 2011, n. 150, art. 19, comma 9, il quale, nell’individuare il contenuto dell’ordinanza, che definisce il giudizio, non fa alcun cenno ad una decisione di annullamento, ma prevede testualmente che l’ordinanza “rigetta il ricorso ovvero riconosce al ricorrente lo status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria” (cfr. Cass., Sez. VI, 3 settembre 2014, n 18632; 9 dicembre 2011, n. 26480).

In quest’ottica, le asserite violazioni formali devono considerarsi sostanzialmente estranee all’oggetto della controversia e, quindi, ininfluenti sulla decisione, con la conseguenza che non possono costituire motivo di ricorso per cassazione.

3. Anche il secondo motivo è inammissibile.

Questa Corte (Cass., n. 8282/2013) ha già affermato che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 relativo al dovere di cooperazione istruttoria, incombente sul giudice, costituisce il cardine del sistema di attenuazione dell’onere della prova, posto a base dell’esame e dell’accertamento giudiziale delle domande di protezione internazionale. Le circostanze e i fatti, allegati dal cittadino straniero, qualora non siano suffragati da prova, possono essere ritenuti credibili, se superano una valutazione di affidabilità, fondata sui criteri legali di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 tutti incentrati sulla verifica della buona fede soggettiva nella proposizione della domanda, valutabile alla luce della sua tempestività, della completezza delle informazioni disponibili, dell’assenza di strumentalità e della tendenziale plausibilità logica delle dichiarazioni, non solo dal punto di vista della coerenza intrinseca ma anche sotto il profilo della corrispondenza della situazione descritta con le condizioni oggettive del paese. Si tratta, di conseguenza, di uno scrutinio basato su parametri normativi tipizzati e non sostituibili, che impongono una valutazione di insieme della credibilità del cittadino straniero, fondata su un esame comparativo e complessivo degli elementi di affidabilità e di quelli critici.

Nel caso in esame, il Tribunale pugliese ha osservato i suddetti criteri e, con apprezzamento insindacabile in questa sede, ha ritenuto il richiedente non credibile.

Il medesimo Tribunale ha anche valutato la situazione concreta del Paese di origine del medesimo richiedente mediante il ricorso ad organismi nazionali ed internazionali, operanti nella specifica zona di origine del richiedente.

Ne discende l’insussistenza delle violazioni, dedotte dal ricorrente.

4. Quanto al terzo motivo deve rilevarsi che il tribunale pugliese ha compiuto un’approfondita disamina degli elementi emersi e le doglianze del ricorrente, pur etichettate come omesso esame di fatti decisivi, in realtà sono tese ad ottenere una rivalutazione degli elementi presi in considerazione dal giudice di merito. Il che è inammissibile in questa sede.

5. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile. Le spese del procedimento, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 24 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2020

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