Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4841 del 24/02/2020

Cassazione civile sez. I, 24/02/2020, (ud. 28/11/2019, dep. 24/02/2020), n.4841

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24266/2018 proposto da:

A.M., rappresentato e difeso dall’avv. Pierluigi

Spadavecchia, elettivamente domiciliato presso il suo studio, in

Fermo, Piazzale Michelangelo n. 5;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno elettivamente domiciliato in Roma, via dei

Portoghesi, 12 presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositata il 24/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/11/2019 dal Cons. FEDERICO GUIDO.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Il tribunale di Ancona, con il decreto n. 9378/18, pubblicato il 24 luglio 2018, ha rigettato la domanda proposta da M.A., cittadino proveniente dal Pakistan, escludendo il riconoscimento di ogni forma di protezione.

Il Tribunale, in particolare, ha ritenuto scarsamente credibili le dichiarazioni del ricorrente in quanto lo stesso non era stato in grado di circostanziare la vicenda su diversi fatti di essenziale rilievo; le dichiarazioni erano inoltre intrinsecamente incoerenti ed affette da contraddizioni su punti essenziali della vicenda personale, ed in contrasto con le informazioni acquisite in merito alle generali condizioni del paese di origine.

In ogni caso, tali dichiarazioni restavano confinate in un ambito strettamente privato, si da integrare timori personali, privi di elementi di riscontro, non sussistendo una situazione oggettiva di pericolo riferibile al ricorrente in relazione alla generale situazione del Pakistan, onde egli avrebbe ben potuto chiedere la protezione del suo paese ed attenderne l’esito.

Il tribunale ha inoltre escluso, sulla base del rapporto UNHCR e delle informazioni acquisite dall’EASO, la sussistenza nel distretto del Gujrat, Punjab del Pakistan di una situazione di violenza generalizzata, come richiesto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ed ha altresì respinto la richiesta di protezione umanitaria, rilevando la mancanza di una specifica situazione di vulnerabilità del richiedente.

Il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il primo motivo denuncia la violazione di diverse disposizioni del D.Lgs. n. 251 del 2007, lamentando che il tribunale abbia valutato la situazione del richiedente disancorata dal contesto generale del paese di provenienza, e contestando la valutazione di non credibilità avuto riguardo ai principi affermati in detta materia in relazione all’onere probatorio.

Il motivo è inammissibile in quanto non attinge la ratio della pronuncia impugnata.

Il tribunale ha infatti ritenuto la scarsa credibilità della narrazione ed ha in ogni caso rilevato il carattere privato delle vicenda, priva di carattere persecutorio ed ha conseguentemente escluso che sussistessero i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato.

Il tribunale ha inoltre precisato quanto alla situazione del Pakistan, avuto riguardo alla richiesta di protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c) che, sulla base di fonti internazionali qualificate ed aggiornate, ampiamente riportate in motivazione, ed in particolare il rapporto EASO dell’agosto 2017, non risultava nell’are del Punjab una situazione di grave ed individuale minaccia nei confronti del richiedente ed in generale che non era ravvisabile una violenza diffusa di tale intensità che la sola presenza di civili nell’area costituisse un pericolo per la loro vita o incolumità.

A fronte di tale accertamento il motivo si limita, ad una mera di censura di merito sull’apprezzamento del tribunale.

Il secondo motivo denuncia violazione di legge, in relazione al mancato riconoscimento della protezione umanitaria, lamentando che il tribunale abbia minimizzato il progressivo procedimento di integrazione del richiedente, omettendo inoltre di considerare la sua situazione di vulnerabilità, anche alla luce della giovanissima età e delle drammatiche condizioni in forza delle quali aveva dovuto lasciare il proprio paese e del fatto che egli aveva perso ogni legame con il proprio paese a causa dell’assenza da molti anni. I Inoltre dalle dichiarazioni del richiedente era risultato che aveva contatti con il solo fratello minorenne, residente in Francia, mentre entrambi i genitori erano morti ed egli non aveva in Pakistan parenti che lo potessero aiutare.

Il motivo è infondato.

E’ infatti evidente che l’attendibilità della narrazione svolge un ruolo rilevante anche in relazione al riconoscimento della protezione umanitaria, atteso che, ai fini di valutare se il richiedente abbia subito un’effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, questa dev’essere necessariamente correlata alla condizione del richiedente, posto che solo la sua attendibilità consente di attivare poteri officiosi (Cass. 4455/2018).

Nel caso di specie, come già evidenziato il tribunale ha ritenuto scarsamente credibili le dichiarazioni del ricorrente, con la conseguenza di non poter fondare su tali dichiarazioni la invocata situazione di vulnerabilità. Inoltre anche con riferimento alla valutazione comparativa della situazione del Pakistan il tribunale ha escluso che i conflitti di natura politica e religiosa tra le varie etnie determinassero una situazione di compromissione dei diritti fondamentali del richiedente.

Il ricorso va dunque respinto e le spese, regolate secondo soccombenza, si liquidano come da dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi 2.100,00 Euro per compensi oltre al rimborso spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 28 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2020

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