Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4603 del 21/02/2020

Cassazione civile sez. II, 21/02/2020, (ud. 22/10/2019, dep. 21/02/2020), n.4603

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20393/2015 proposto da:

A.L., rappresentata e difesa dagli Avvocati LORENZO

PICOTTI, GABRIELLA DE STROBEL e LUIGI MANZI, ed elettivemente

domiciliate, presso lo studio di quest’ultimo, in ROMA, VIA FEDERICO

CONFALONIERI 5;

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS), in persona dell’Amministratore

D.D., rappresentato e difeso dagli Avvocati ALBERTO BONUZZI e

CLAUDIO CODOGNATO ed elettivamente domiciliato, presso lo studio del

secondo, in MESTRE, VIA CALLE del SALE 33;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1822/2014 della CORTE di APPELLO di VENEZIA,

depositata il 4/08/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/10/2019 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione, notificato in data 22.10.2007, A.L., in qualità di condomina, conveniva in giudizio il CONDOMINIO “(OMISSIS)”, impugnando la Delib. Assembleare 23 settembre 2007, chiedendo, in via pregiudiziale, la sospensione della Delib. con cui si autorizzava la sostituzione della preesistente rete metallica di cm. 80 con l’installazione di una recinzione alta m. 1,50, su un lato della piscina prospiciente l’appartamento di sua proprietà e, nel merito, chiedeva l’annullamento, la nullità, l’inefficacia e/o inesistenza della Delib. Assembleare nella parte in cui disponeva la posa della recinzione metallica di m. 1,50, negando il consenso all’attrice circa la proposta di rimuovere del tutto la precedente recinzione sostituendola con un cancello pedonale, in quanto non prevista nell’originaria destinazione delle aree comuni e perchè di ostacolo al godimento dei beni comuni.

Si costituiva in giudizio il Condominio convenuto chiedendo il rigetto delle domande e, per l’effetto, la dichiarazione di validità ed efficacia della suddetta Delib. assembleare.

Con sentenza n. 1961/2010, depositata in data 14.7.2010, il Tribunale di Verona rigettava le domande attoree, condannando l’attrice al pagamento delle spese di lite. In particolare, il Giudice di primo grado riteneva non applicabile l’art. 1120 c.c., in quanto la recinzione non poteva ritenersi un’innovazione, nè un’opera che alterava il decoro dell’edificio e rendeva alcune parti comuni inservibili; riteneva altresì inammissibili ulteriori motivi aggiunti con la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, trattandosi di mutatio libelli.

Avverso detta sentenza proponeva appello la A., deducendo la motivazione errata e insufficiente, sulla domanda di annullamento della Delib. condominiale, sulla legittimità delle opere deliberate dall’assemblea condominiale e sulla natura dell’opera deliberata, dando atto della cessazione della materia del contendere, atteso che la rete era stata rimossa in esecuzione dell’ordine di demolizione dell’opera abusiva, disposto dal Comune di Lazise.

Si costituiva il Condominio chiedendo il rigetto dell’appello e proponendo appello incidentale, con il quale chiedeva la condanna della A. al pagamento delle spese di lite relative al ricorso ex art. 700 c.p.c., proposto nel corso del giudizio di primo grado, in quanto parte virtualmente soccombente.

Con sentenza n. 1822/2014, depositata in data 4.8.2014, la Corte d’Appello di Venezia rigettava l’appello principale accogliendo quello incidentale, condannando l’appellante al pagamento delle spese di lite del giudizio di appello.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione A.L. sulla base di sei motivi, illustrati da memoria; resiste il Condominio con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – In via preliminare, va rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione mossa dal Condominio in sede di controricorso in ragione della dedotta intervenuta cessazione della materia del contendere (peraltro rilevabile d’ufficio in qualsiasi stato e grado del processo: cfr. Cass. n. 14775 del 2004) asseritamente riconosciuta ed ammessa dalla stessa difesa della ricorrente; la quale, già nell’atto di citazione in appello, aveva osservato come, quanto alla domanda di rimozione della rete (secondo il rilievo contenuto nella comparsa conclusionale dell’attrice in primo grado) non potesse che darsi atto dell’avvenuta cessazione, posto che la predetta recinzione era stata già rimossa in esecuzione dell’ordine di demolizione dell’opera abusiva disposto dal Comune di Lazise.

Orbene, il controricorrente Condominio – rilevato che la cessazione della materia del contendere sussiste ogniqualvolta nel corso della pendenza del giudizio accadano eventi e/o fatti che eliminano ogni posizione di contrasto tra le parti, ovvero quando sopravviene una evidente carenza di interesse della parte alla definizione del giudizio (così, Cass. n. 8309 del 2015; Cass. n. 13217 del 2013) – afferma che, stante l’evidente sopravvenuto difetto di interesse ad agire della A., il ricorso per Cassazione dovrebbe essere dichiarato inammissibile e respinto, essendo venuto meno qualsiasi interesse della ricorrente ad una pronuncia su una questione risolta (cfr. Cass. n. 13565 del 2005, Cass. n. 271 del 2006).

Appare viceversa evidente la insanabile apoditticità dell’assunto su cui è basata l’eccezione; assunto che risulta smentito dallo stesso Condominio, che richiama il contenuto dell’atto di transazione (in data 28/11/2014), nel quale la ricorrente effettivamente chiedeva di poter rateizzare la somma non contestata riconosciuta dovuta al Condominio, rimanendo invece aperta la questione relativa al pagamento delle spese legali inerenti il ricorso ex art. 700 c.p.c., cui l’attrice aveva rinunciato in corso di causa senza parò ottenere l’adesione di controparte, che anzi aveva chiesto espressamente al Tribunale la liquidazione delle spese di costituzione.

Sta di fatto che dalla stessa prospettazione del controricorrente si evince (quanto alla dedotta intervenuta cessazione della materia del contendere) la mancanza di elementi sicuri da porre a supporto dell’asserita eliminazione di ogni posizione di contrasto (non foss’altro che per la perdurante richiesta di annullamento e/o nullità della Delib. assembleare impugnata, nonchè per la pronuncia sulle spese di lite).

Riguardo, poi, all’ulteriore profilo della sopravvenuta acquiescenza della ricorrente, anch’essa eccepita dal Condominio, il controricorso risente, in parte qua, di una non compiuta specificazione delle ragioni sottese alla eccezione stessa. Laddove, come detto, la richiamata transazione inter partes non definisce tutte le posizioni di contrasto, dovendosi peraltro porre in evidenza anche la non completa autosufficienza (ex art. 370, comma 2; Cass. n. 13140 del 2010) del riferimento al suddetto atto; dovendosi, viceversa, escludere profili di carente autosufficienza del ricorso.

Va, sul punto, rilevato che – se è ben vero che la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che, ai fini della valutazione sulla sufficienza della esposizione sommaria dei fatti ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 (richiamato, per quel che qui interessa, dall’art. 370 c.p.c., comma 2, “in quanto è possibile”), una totale equiparazione tra ricorso e controricorso vi sia soltanto quantO quest’ultimo contenga anche l’impugnazione incidentale (ex plurimis, Cass. n. 18483 del 2015), stante la sua autonomia rispetto a quella principale – tuttavia, casi come quello in esame offrono lo spunto per affermare l’esigenza di un maggior rigore formale anche rispetto al controricorso con cui l’intimato non soltanto esponga mere difese sulle tesi argomentate dal ricorrente, al fine di contrastarle, ma sollevi anche eccezioni sull’ammissibilità del ricorso, che implichino una valutazione del materiale documentale delle pregresse fasi di merito, costringendosi inammissibilmente in caso contrario la Corte alla ricerca e selezione di ciò che è rilevante ai fini della delibazione dell’eccezione, rispetto a ciò che non lo è (Cass. n. 1150 del 2019).

2.1. – Con il primo motivo, la ricorrente lamenta: “Motivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4: violazione dell’art. 112 c.p.c.. Erronea interpretazione del secondo motivo di ricorso in appello”, giacchè la Corte di merito, nonostante le prove documentali prodotte in causa da cui risultava l’assenza delle necessarie autorizzazioni, motivava l’infondatezza del secondo motivo di appello ritenendo che i motivi aggiunti nella memoria ex art. 183 c.p.c. (relativi alla mancata indicazione dei votanti) fossero inammissibili in quanto determinanti una mutatio libelli.

2.2. – Con il secondo motivo, la ricorrente deduce: “Motivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ossia l’assenza di autorizzazioni per la realizzazione dell’opera e la sua demolizione per ordine delle competenti autorità del Comune di Lazise”.

2.3. – Con il terzo motivo, la ricorrente deduce:”Motivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione e falsa applicazione dell’art. 1418 c.c., dell’art. 1137c.c., comma 2 e dell’art. 2379 c.c., in relazione alla violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 10 e 31, L.R. Veneto n. 61 del 1985, art. 76 e degli artt. 4 e 84 del Regolamento Edilizio del Comune di Lazise, nella parte in cui la sentenza impugnata non ha accertato e dichiarato che l’opera oggetto della Delib. impugnata è stata realizzata in assenza di concessione edilizia e di parere della Commissione Edilizia Comunale, necessarie per l’opera deliberata”.

2.4. – Con il quarto motivo, la ricorrente “In via subordinata e condizionata al mancato accoglimento del precedente motivo, deduce ulteriore motivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione e falsa applicazione dell’art. 1418 c.c., dell’art. 1137c.c., comma 2 e dell’art. 2379 c.c., in relazione alla L. n. 493 del 1993, art. 4, comma 7, lett. c) e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, nella parte in cui la sentenza impugnata non ha accertato e dichiarato che l’opera è stata realizzata in assenza quantomeno di DIA, previste nelle predette norme urbanistiche”.

2.5. – Con il quinto motivo, la ricorrente lamenta: “Motivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione e falsa applicazione dell’art. 1120 c.c., nella parte in cui la sentenza impugnata non ha accertato e dichiarato che l’opera oggetto della Delib. impugnata era da considerare “innovazione””.

2.6. – Con il sesto motivo, la ricorrente deduce: “Motivo ex art. 360 c.p.c., n. 4: violazione e falsa applicazione dell’art. 133 c.p.c., n. 5, artt. 306 e 310 c.p.c. e comunque art. 92 c.p.c.”, là dove la sentenza impugnata non ha previsto alcuna liquidazione delle spese della procedura d’urgenza ex art. 700 c.p.c., che non si rinviene neppure nel dispositivo, nel quale la Corte di merito si limita ad accogliere l’appello incidentale.

3. – Attesa la sua pregiudizialità logico-giuridica, si ritiene di esaminare e decidere il terzo motivo di ricorso.

3.1. – Il motivo è fondato e va accolto.

3.2. – La Corte di merito ha rilevato come l’esposto al Comune di Lazise fosse stato presentato proprio dalla odierna appellante, la quale aveva denunciato una “violazione edilizia”, cui era seguita l’apertura del procedimento, essendo la zona assoggettata a vincolo paesaggistico e necessitando perciò del parere della Sovrintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici. Nel contempo, la Corte ha affermato che, in ogni caso, il Regolamento Edilizio del Comune di Lazise non prevede la necessità di concessione edilizia per tale tipologia di opere e che, nel citato parere, la Sovrintendenza aveva rilevato unicamente che la recinzione, anzichè metallica, era costituita presumibilmente anche da siepi o cespugli in modo da condividere in maniera armoniosa le aree private da quelle comuni.

Al contrario di quanto asserito dai Giudici d’appello, va osservato che il Regolamento Edilizio del Comune di Lazise prevede espressamente (all’art. 4) l’obbligo della concessione edilizia per le nuove costruzioni (“Chiunque intenda eseguire nell’ambito del territorio comunale, nuove costruzioni, ampliare, modificare o demolire quelle esistenti, ovvero procedere all’esecuzione di opere o di modifica o di urbanizzazione del terreno, deve chiedere apposita concessione al Sindaco In; e che le recinzioni delle aree private “possono essere realizzate anche con reti metalliche, previo parere della Commissione Edilizia Comunale, espresso con particolare riferimento alle preesistenze e al loro inserimento ambientale” (art. 84, lett. A).

Orbene, la Corte di merito non risulta abbia specificamente ed adeguatamente analizzato se, nella specie, ci si trovasse in presenza di un’opera qualificabile in termini di “nuova costruzione”, e se questa alterasse il decoro architettonico. Da ciò essendo derivati gli accertamenti della Polizia municipale di Lazise ed il parere negativo della Sovrintendenza, e la conseguente ordinanza del Comune di Lazise di demolizione delle opere abusive (del 25.2.2009, n. 15), ai sensi dell’art. 52 del Regolamento Edilizio Comunale, relativo al provvedimento per opere eseguite senza concessione edilizia, con sanzione della demolizione.

4. – All’accoglimento del terzo motivo segue l’assorbimento degli altri motivi del ricorso. La sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata alla Corte d’appello di Venezia, altra sezione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo del ricorso, con assorbimento di tutti gli altri motivi. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Venezia, altra sezione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, della Corte Suprema di Cassazione, il 22 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2020

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