Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3906 del 17/02/2020

Cassazione civile sez. lav., 17/02/2020, (ud. 30/10/2019, dep. 17/02/2020), n.3906

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24102/2014 proposto da:

S.G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DELLA TRINITA’ DEI PELLEGRINI 1 (sede Federazione Confsal-Unsa

Coord. Nazionale Giustizia), presso lo studio dell’avvocato PASQUALE

LATTARI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI E DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici è

domiciliato ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 591/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 08/05/2014 R.G.N. 2193/2012.

Fatto

RILEVATO

che:

S.G.A., dipendente del Ministero degli Affari Esteri quale impiegato a contratto, dal 15.7.1996, presso l’Istituto Italiano di Cultura di Monaco di Baviera, con rapporto poi divenuto a tempo indeterminato a far data dal 12 maggio 2001 per effetto dell’esercizio dell’opzione di cui alla L. n. 103 del 2000, art. 2, ha agito al fine di sentir accertare il suo diritto alla percezione, in luogo degli assegni per il nucleo familiare D.L. n. 69 del 1988, ex art. 2, degli aumenti retributivi per coniuge e figli minori a carico, a suo dire a lui spettanti per effetto del c.d. Accordo successivo del 12 aprile 2001 e del D.P.R. n. 18 del 1967, art. 162, ultimi due commi;

la Corte d’Appello di Roma, decidendo sul gravame avverso la pronuncia del Tribunale della stessa città che aveva respinto la domanda, ha confermato la sentenza impugnata;

la Corte ha rilevato, per un verso, che il D.P.R. n. 18 del 1967, art. 162, comma 6, era stato abrogato dalla L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 132, a far data dal 1.1.1997, salvo che per i rapporti di lavoro in atto, quale non poteva considerarsi quello inter partes, in quanto stipulato il 12.5.2001, per quanto in esercizio dell’opzione assicurata in ragione della preesistenza di un rapporto a contratto risalente al 1996;

per altro verso i giudici di appello hanno ritenuto di trovare conferma di ciò anche nel disposto dell’art. 7 del c.d. Accordo successivo dell’aprile 2001 il quale, nel prevedere che gli assegni di cui all’art. 162, ultimi due commi, continuassero ad essere corrisposti ai dipendenti che già ne fruivano, non aveva inteso reintrodurre, in via generalizzata, tali emolumenti, ma solo confermarne il dirittd per coloro cui essi fossero ancora dovuti secondo la normativa sopra menzionata;

avverso tale pronuncia lo S. ha proposto tre motivi di ricorso per cassazione, poi illustrati da memoria e resistiti da controricorso del Ministero.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto e accordi collettivi nazionali di lavoro (art. 360 c.p.c., n. 3), sostenendo che erroneamente la Corte territoriale, in violazione del criterio letterale e sistematico, nonchè di conservazione di un significato utile alla disposizione, avesse ritenuto che l’art. 7 del c.c.n.l. 12 aprile 2001 non si applicasse a tutti i lavoratori muniti dei requisiti di legge, ma solo a quelli che già (Ndr: testo originale non comprensibile) al momento dell’abrogazione dell’istituto ad opera della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 132 e la cui posizione era stata fatta salva dalla legge stessa;

il secondo e terzo motivo, trattati congiuntamente nel ricorso, sono rubricati come inerenti alla violazione sotto altro profilo della contrattazione collettiva (art. 360 c.p.c., n. 3) ed omesso esame di un fatto decisivo (art. 360 c.p.c., n. 5);

secondo il ricorrente la Corte di merito avrebbe sbagliato nel ritenere l’irrilevanza del fatto che il c.c.n.l. dell’aprile 2001 fosse entrato in vigore prima della stipula del nuovo contratto sottoposto a legge italiana tra le parti, in quanto proprio tale circostanza ne giustificava l’integrale applicazione nei suoi confronti, come del resto emergeva dalla giurisprudenza, anche della Corte di Cassazione, depositata al fine di suffragare la domanda dispiegata; i motivi vanno esaminati congiuntamente, perchè tra loro strettamente connessi e sono infondati;

con il ricorso per cassazione non si censura in alcun modo l’affermazione della Corte territoriale secondo cui, non essendo il contratto di lavoro tra le parti regolato dalla legge italiana al momento dell’abrogazione delle aggiunte di famiglia (L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 132), esso, non comportando illo tempore l’erogazione degli assegni familiari, non rientrasse tra quelli “in atto”, ai fini della salvaguardia di quei trattamenti della previgente normativa disposta espressamente dalla citata disciplina di abrogazione;

così come pacifico appare il fatto, di cui la Corte di merito ha dato conto nel ricostruire la domanda dello S., secondo cui dalla stipula del contratto alla legge italiana del 2001 il ricorrente ha percepito gli assegni per il nucleo familiare di cui al D.L. n. 69 del 1988, art. 2;

lo S. ritiene tuttavia che in suo favore la pregressa disciplina degli aumenti retributivi per carichi di famiglia dovrebbe trovare ingresso per effetto del c.c.n.l. dell’aprile 2001 che prevedeva l’erogazione delle aggiunte “ove spettanti” e cioè, secondo l’interpretazione propugnata dal ricorrente, ove sussistessero i carichi di famiglia che ne costituivano presupposto; si tratta di interpretazione tuttavia non condivisibile, perchè la norma contrattuale, nell’affermare che gli assegni di cui all’art. 162, ultimi due commi “continuano” ad essere corrisposti, altro non può significare se non la presa d’atto (del tutto coerente e dunque utile all’interno di una norma – l’art. 7 in esame – destinata a delineare la struttura della retribuzione) della prosecuzione di un’erogazione ancora in essere;

non si potrebbe del resto parlare di continuazione per assegni che non fossero già erogati al personale, come è per coloro che, non avendo un rapporto contrattuale illo tempore in atto che ne giustificasse il riconoscimento pur con l’abrogazione dell’art. 162 (secondo il regime transitorio di cui al citato comma 132, che aveva “fatti salvi i rapporti contrattuali in atto”) non sono mai stati destinatari di tali benefici;

è dunque in questa logica che va altresì intesa la previsione della continuità dell’erogazione a condizione che quei benefici già spettassero (“ove spettanti”), con precisazione altrimenti inutile se essi fossero da corrispondere sul solo presupposto dei carichi di famiglia;

nè ha rilievo la pronuncia di Cass. 13 aprile 2011, n. 8462, non solo perchè res inter alios acta, ma anche perchè si tratta di pronuncia priva, come giustamente osservato dai giudici di merito, di portata nomofilattica, in quanto chiusasi con una pronuncia di improcedibilità e dunque in rito, in un contesto tra l’altro in cui già la pronuncia di primo grado, di riconoscimento degli aumenti retributivi ex art. 162, ultimi due commi, citt., non era stata oggetto, sul punto, neppure di appello incidentale da parte del Ministero, già soccombente in proposito fin dal primo grado di giudizio;

in tale quadro è stata giustamente ritenuta irrilevante dalla Corte distrettuale la circostanza che il contratto collettivo fosse antecedente al contratto “a legge italiana” poi intercorso tra le parti, in quanto ciò non può certamente comportare l’applicazione di un beneficio di cui la norma collettiva, nel definire il contenuto della retribuzione, assicura il mantenimento, ma solo in favore di chi già ne avesse il diritto, secondo quanto sopra precisato;

il ricorso va dunque rigettato con regolazione delle spese del grado secondo soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 30 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2020

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