Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3348 del 12/02/2020
Cassazione civile sez. VI, 12/02/2020, (ud. 09/10/2019, dep. 12/02/2020), n.3348
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CURZIO Pietro – Presidente –
Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16919-2018 proposto da:
D.D.I., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
RIDOLFINO VENUTI 20, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO
ORSOMARSO, rappresentata e difesa dall’avvocato SPARTICO CAPOCEFALO;
– ricorrente –
contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, (OMISSIS), in
persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA
dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati NICOLA
VALENTE, EMANUELA CAPANNOLO, CLEMENTINA PULLI, MANUELA MASSA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 8555/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,
depositata il 30/04/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 09/10/2019 dal Consigliere Relatore Don. GABRIELLA
MARCHESE.
Fatto
CONSIDERATO
CHE:
la Corte di Appello di Napoli, con sentenza n. 8555 del 2017, dichiarava inammissibile il gravame proposto da D.D.I. avverso la sentenza del Tribunale di Benevento che, a seguito di disposta CTU, rigettava la domanda volta ad ottenere l’assegno di invalidità;
a fondamento del decisum, la Corte territoriale osservava come l’atto di appello difettasse di motivi specifici, in particolare in ordine alla valutazione compiuta in merito al requisito sanitario; la parte ricorrente si limitava a denunciare una sottostima delle patologie accertate, senza tuttavia indicare le ragioni per le quali le stesse (id est: le patologie) avrebbero avuto una maggiore incidenza ai fini di un diverso grado di invalidità;
quanto alle spese, la Corte territoriale liquidava le stesse in base al principio di soccombenza, in mancanza della dichiarazione di cui all’art. 152 disp. att. c.p.c. sottoscritta dalla parte personalmente;
avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione D.D.I., affidato a due motivi;
ha depositato controricorso l’INPS;
è stata comunicata alle parti la proposta del giudice relatore unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.
Diritto
RILEVATO
CHE:
con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 92 e 93 c.p.c.;
secondo la parte ricorrente, la Corte di appello avrebbe inflitto una condanna alle spese, in totale dispregio della normativa sulla compensazione delle stesse, non trovando la statuizione alcuna giustificazione ” nè da un punto di vista giuridico, nè morale, nè processuale”;
il motivo è inammissibile;
è consolidato l’indirizzo di legittimità per cui: “in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte” (ex plurimis, Cass. n. 24502 del 2017);
invero, mentre l’esercizio – da parte del giudice di merito – del potere di disporre la compensazione è stato, nel tempo, sottoposto a un controllo sempre più stringente (dalla formulazione dell’art. 92 c.p.c., alla riforma contenuta nella L. n. 263 del 2005, a quella della L. n. 69 del 2009 sino al D.L. n. 132 del 2014, con l’intervento, in ultimo, della Corte costituzionale per effetto della pronuncia n. 77 del 2018) con conseguente sindacabilità della motivazione posta a base dell’esercizio di quel potere, il mancato esercizio dello stesso non può essere dedotto quale motivo di illegittimità della pronuncia di merito che ha applicato il principio della soccombenza (Cass. n. 22224 del 2014)
nel caso che occupa, l’atto di appello è stato dichiarato inammissibile ed il giudice ha disciplinato le spese in base al principio di soccombenza ex art. 91 c.p.c.; la statuizione, in ragione dei principi esposti, non è dunque sindacabile in questa sede;
con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 152 disp. att. c.p.c., u.c. e della L. n. 11 del 2011;
la parte ricorrente censura la sentenza della Corte di appello per non aver ritenuto operante l’art. 152 cit. giacchè la dichiarazione reddituale era già allegata al fascicolo di primo grado e la situazione reddituale era rimasta invariata;
del pari inammissibile è il secondo motivo;
la corte di appello ha escluso l’operatività del beneficio dell’esenzione di cui all’art. 152 disp. att. c.p.c. per “mancanza della dichiarazione (…) sottoscritta dalla parte ricorrente”;
a fronte del decisum, la ricorrente non solo non deduce la sottoscrizione della dichiarazione ma neppure la trascritta in ricorso;
a tale riguardo, questa Corte ha affermato che: “ai fini dell’esenzione delle spese nelle cause per prestazioni previdenziali, la parte ha l’onere, ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., di formulare la dichiarazione sostitutiva di certificazione del reddito (…) sicchè la parte, nel ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello di condanna alle spese per l’assenza in atti della prescritta dichiarazione, non può limitarsi a richiamare quella contenuta negli atti del giudizio di primo grado, ma è tenuta a riprodurne il contenuto onde permettere la verifica della sua conformità alle prescrizioni di legge” (Cass. n. 545 del 2015);
prive di specifica attinenza al decisum, per come prospettate, risultano le deduzioni relative alla intervenuta pronuncia di illegittimità costituzionale del citato art. 152, u.p., come modificato dal D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 38, comma 1, lett. b), n. 2, conv., con modif., in L. 15 luglio 2011, n. 111; esse, dunque, si arrestano ad eguale rilievo di inammissibilità (ex plurimis, sulla necessaria riferibilità al decisum dei motivi di ricorso, v. Cass. n. 20652 del 2009; n. 17125 del 2007; in motivazione, Cass. n. 9384 del 2017);
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.500,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 9 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2020