Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14285 del 28/06/2011

Cassazione civile sez. lav., 28/06/2011, (ud. 14/04/2011, dep. 28/06/2011), n.14285

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. FILABOZZI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AUTOSTRADE L’ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G. FARAVELLI 22, presso

lo studio dell’avvocato MORRICO ENZO, che la rappresenta e difende,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

Z.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI

BETTOLO 4, presso lo studio dell’avvocato BROCHIERO MAGRONE FABRIZIO,

che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 125/2006 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 08/02/2006, R.G.N. 993/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/04/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO FILABOZZI;

udito l’Avvocato GAETANO GIANNI’ per delega ENZO MORRICO;

udito l’Avvocato BROCHIERO MAGRONE FABRIZIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Milano, confermando la sentenza impugnata, ha ritenuto l’illegittimità della proroga al 31.5.2000 del contratto a termine stipulato tra Z.F. e la società Autostrade per l’Italia spa in data 30.10.1999 e la conseguente sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato dal 1.11.1999. A tale conclusione la Corte territoriale è pervenuta osservando che anche alle assunzioni a termine disposte ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23, era applicabile il disposto della L. n. 230 del 1962, art. 2, comma 1, e che, nella specie, non era stata raggiunta la prova della esistenza di esigenze imprevedibili e contingenti, tale da giustificare la proroga del contratto a termine, essendo anzi emerso dalla prova testimoniale che i lavori di automazione, con riferimento ai quali era stata convenuta la prosecuzione del rapporto di lavoro fino al 31.5.2000, erano stati ultimati in epoca di gran lunga precedente alla scadenza del termine originariamente pattuito.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la società Autostrade per l’Italia spa affidandosi a due motivi di ricorso cui resiste con controricorso lo Z..

La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo la società denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, art. 2, comma 1, e L. n. 56 del 1987, art. 23, nonchè l’esistenza di un vizio di motivazione circa un punto decisivo della controversia, sull’assunto che, nel caso di contratti a termine stipulati ai sensi della L. n. 56 del 1987, non dovrebbe trovare applicazione la disciplina della proroga come prevista dalla L. n. 230 del 1962 e sostenendo che, in ogni caso, la proroga sarebbe stata disposta nel pieno rispetto di tale regolamentazione, in quanto determinata da esigenze contingenti e imprevedibili con riguardo alla stessa attività lavorativa che aveva dato luogo alla stipulazione del contratto a tempo determinato.

2.- Con il secondo motivo la ricorrente deduce l’esistenza di un vizio di motivazione circa un punto decisivo della controversia, lamentando che nella sentenza impugnata sarebbe stato trascurato l’esame di risultanze istruttorie che dimostrerebbero l’esistenza della imprevedibilità e indifferibilità delle lavorazioni con riferimento alle quali era intervenuta la proroga della durata del contratto a tempo determinato. 3.-1 motivi, che in quanto strettamente connessi vanno trattati congiuntamente, sono infondati.

Ritiene, infatti, il Collegio di dare continuità giuridica al principio di recente riaffermato da questa Corte nella materia di cui trattasi, secondo il quale in tema di assunzione di lavoratori subordinati con contratto di lavoro a termine, la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, che ha devoluto alla contrattazione collettiva la determinazione delle ipotesi in cui è consentita l’apposizione del termine al contratto di lavoro, si inserisce nel medesimo sistema della disciplina generale dettata in materia dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, con la conseguente applicazione, anche alle assunzioni a termine ai sensi del richiamato art. 23, delle limitazioni stabilite dalla L. n. 230 del 1962, art. 2, alla proroga del contratto, che resta in ogni caso subordinata alla ricorrenza di esigenze contingenti e imprevedibili (Cass. n. 23685/2010). Questa Corte, del resto, aveva già sancito che la L. n. 56 del 1987 ha sì devoluto alla competenza della contrattazione collettiva la determinazione delle ipotesi in cui è consentita l’apposizione del termine al contratto di lavoro (nel presupposto dell’idoneità di tale competenza a fornire tutela adeguata contro i possibili abusi), ma le ipotesi in questione sono state innestate nella disciplina generale dettata in materia dalla L. n. 230 del 1962, ed inserite nel sistema da questa delineato, con la conseguente applicazione delle disposizioni dell’art. 2 della citata legge (Cass. n. 4199/2002). Una sostanziale riforma del tipo contrattuale, nel segno di una minore rigidità (ma non certo di una liberalizzazione: vedi C. cost. n. 41 del 2000) della disciplina dello strumento negoziale, si è avuta soltanto con il D.Lgs. n. 638 del 2001, che, appunto, reca l’abrogazione delle disposizioni della L. 18 aprile 1962, n. 230, e delle altre disposizioni modificative o integrative (art. 11). Si tratta, peraltro, di una disciplina dettata senza alcuna efficacia retroattiva, che non spiega, quindi, effetti sui contratti a termine stipulati nel vigore della previgente normativa, neanche nel caso in cui gli effetti di tali contratti siano destinati a protrarsi nel tempo sino ad epoca successiva alla sua entrata in vigore. L’impianto di fondo del sistema delineato dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, non è stato modificato neppure dalla previsione della L. 24 giugno 1997, n. 196, art. 12, che, sostituendo soltanto la L. n. 230 del 1962, art. 2, comma 2, ha disegnato un nuovo quadro normativo limitatamente alle sanzioni comminate per la violazione dei limiti posti alla stipulazione dei contratti a termine. Non è stato toccato, dunque, la L. n. 230 del 1962, art. 2, comma 1, contenente la regolamentazione delle ipotesi di proroga del contratto, e specialmente il principio – fortemente limitativo – che richiede, per la legittima prosecuzione del rapporto, esigenze “contingenti e imprevedibili” relative alla stessa attività lavorativa (cfr. Cass. n. 23685/2010 cit., cui adde Cass. n. 7966/2006, nonchè Cass. n. 8015/2003).

4.- Non si è discostata da tali principi la Corte territoriale con l’affermazione che, anche in riferimento alle assunzioni a termine disposte – ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23 – in ipotesi individuate dalla contrattazione collettiva, il concetto di prevedibilita delle esigenze ulteriori, che preclude la possibilità di prorogare il contratto oltre la scadenza pattuita, è contenuto nella L. n. 230 del 1962, art. 2, comma 1, in base al quale il termine del contratto a tempo determinato può essere, col consenso del lavoratore, eccezionalmente prorogato, non più di una volta e per un tempo non superiore alla durata del contratto iniziale, purchè la proroga sia resa necessaria da esigenze imprevedibili e contingenti, ovvero da un evento insuscettibile di essere tenuto in considerazione al momento della conclusione del contratto. Le contrarie affermazioni della ricorrente, secondo cui le esigenze contingenti e imprevedibili non dovrebbero necessariamente essere integrate da un evento diverso e ben potrebbero consistere “nel subentrare di una caratterizzazione temporale diversa riferita all’evento in sè e per sè unitario e nel connesso realizzarsi di una durata maggiore rispetto a quella ragionevolmente prevista al momento iniziale”, si risolvono, in realtà, nella mera contrapposizione di un diverso principio giuridico, che si pone nettamente in contrasto con quelli sopra enunciati, confliggendo con l’impianto di fondo del sistema delineato dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, nel quale, come già detto, si inserisce anche la disciplina dettata dalla L. n. 56 del 1987, art. 23, e con il principio – rimasto intatto fino all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 638 del 2001 – che richiede, per la legittima prosecuzione del rapporto, esigenze “contingenti e imprevedibili” relative alla stessa attività lavorativa.

5.- Del resto, nella fattispecie in esame, il giudice d’appello non ha nemmeno dato rilievo al fatto che la proroga sarebbe stata motivata da esigenze diverse da quelle che avevano giustificato l’assunzione iniziale, limitandosi ad osservare che la proroga del contratto a termine non poteva ritenersi giustificata da esigenze contingenti e imprevedibili, considerato che i lavori di automazione, con riferimento ai quali era stata disposta la proroga, risultavano ultimati ben prima del mese di maggio 2000 e che anche dalla deposizione testimoniale richiamata dalla difesa della società era emerso che i lavori erano terminati entro il mese di aprile dello stesso anno.

6.- Si tratta di una valutazione di fatto, devoluta al giudice del merito, non censurabile nel giudizio di cassazione in quanto comunque assistita da motivazione sufficiente e non contraddittoria; anche perchè la società ricorrente non ha riportato in ricorso il contenuto integrale delle deposizioni testimoniali alle quali ha fatto riferimento e non ha comunque evidenziato quali sarebbero in concreto le lacune argomentative, ovvero le illogicità consistenti nell’attribuzione agli elementi di giudizio di un significato fuori dal senso comune, od ancora la mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte, e quindi l’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti espressi, sicchè le censure prospettate sotto il profilo del vizio di motivazione rimangono poi confinate ad una mera contrapposizione rispetto alla valutazione di merito operata dalla Corte d’appello, inidonea a radicare un deducibile vizio di motivazione di quest’ultima. Al riguardo, va ribadito che, come è stato più volte affermato da questa Corte, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo esame, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito. Ciò comporta che il controllo sulla motivazione non può risolversi in una duplicazione del giudizio di merito e che alla cassazione della sentenza impugnata debba giungersi non per un semplice dissenso dalle conclusioni del giudice di merito, ma solo in caso di motivazione contraddittoria o talmente lacunosa da risultare sostanzialmente incomprensibile o equivoca. Il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ricorre, dunque, soltanto quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, mentre tale vizio non si configura allorchè il giudice di merito abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore e un significato diversi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte (cfr. ex plurimis Cass. n. 10657/2010, Cass. n. 9908/2010, Cass. n. 27162/2009, Cass. n. 16499/2009, Cass. n. 13157/2009, Cass. n. 6694/2009, Cass. n. 42/2009, Cass. n. 17477/2007, Cass. n. 15489/2007, Cass. n. 7065/2007, Cass. n. 1754/2007, Cass. n. 14972/2006, Cass. n. 17145/2006, Cass. n. 12362/2006, Cass. n. 24589/2005, Cass. n. 16087/2003, Cass. n. 7058/2003, Cass. n. 5434/2003, Cass. n. 13045/97, Cass. n. 3205/95).

7.- Il ricorso deve essere pertanto rigettato, non essendo stata, peraltro, avanzata alcuna altra censura, che riguardi in qualche modo le conseguenze economiche della dichiarazione di nullità della clausola appositiva del termine.

8.- Al riguardo, osserva il Collegio che, con la memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. la società ricorrente, invoca, in via subordinata, l’applicazione dello ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7 in vigore dal 24 novembre 2010.

In ordine alla problematica relativa alla possibilità di ricomprendere tra i giudizi pendenti ai quali fa riferimento il citato comma 7 anche il giudizio di cassazione, va premesso, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27 febbraio 2004 n. 4070); tale condizione non sussiste nella fattispecie.

9.- Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 25,00 e oltre Euro 2.000,00 per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2011

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