Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2134 del 30/01/2020

Cassazione civile sez. I, 30/01/2020, (ud. 03/12/2019, dep. 30/01/2020), n.2134

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36457/2018 proposto da:

N.J., domiciliato in Roma, piazza Cavour presso la Cancelleria

civile della Corte di Cassazione, e rappresentato e difeso

dall’avvocato Marco Esposito in forza di procura speciale allegata

al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

Procuratore Repubblica Tribunale Milano;

– intimati –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 29/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/12/2019 dal Consigliere UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis depositato il 5/6/2018, N.J., cittadino del (OMISSIS), ha adito il Tribunale di Milano – Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE, impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il ricorrente aveva riferito di essere nato in (OMISSIS), a (OMISSIS) nella zona nord-occidentale; di essere religione cristiana e di etnia kunsasi; di essere orfano di padre e non avere fratelli; di aver perso i contatti con la madre, ancora in vita; di non essere sposato e non avere figli; di essersi trasferito a 21 anni nel (OMISSIS) a (OMISSIS) nella regione di (OMISSIS) per cercare l’oro, rimanendovi sino al 2016; di aver lasciato il (OMISSIS) a (OMISSIS), facendo ingresso in Italia a (OMISSIS) attraverso la Libia; che il lavoro di ricerca dell’oro da lui compiuto a (OMISSIS) era illegale; che un giorno stava lavorando in un grande buco, le pareti erano crollate ed era morta una persona; che in conseguenza della morte di questa persona il Governo aveva voluto fermare i lavori e la polizia aveva iniziato ad arrestare le persone; che pertanto era scappato ed era andato in Libia; di temere in caso di rimpatrio di essere accusato e arrestato per la morte del collega.

Con decreto del 29/10/2018 il Tribunale ha respinto il ricorso, ritenendo che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento di ogni forma di protezione internazionale e umanitaria.

2. Avverso il predetto decreto del 29/10/2018, non notificato, ha proposto ricorso N.J., con atto notificato il 28/11/2018, svolgendo sei motivi.

L’intimata Amministrazione dell’Interno non si è costituita.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis.

1.1. Il ricorrente lamenta l’omesso ordine di comparizione personale in udienza del richiedente asilo, pur non essendo disponibile la videoregistrazione del colloquio personale, come richiesto espressamente dal difensore.

Il Tribunale aveva fissato una udienza in camera di consiglio al solo fine della comparizione delle parti, negando al ricorrente la possibilità di comparire personalmente in udienza.

1.2. Secondo la giurisprudenza della Cassazione ove il richiedente impugni la decisione della Commissione territoriale in tema di protezione internazionale, e la videoregistrazione del colloquio non sia disponibile, il giudice deve necessariamente fissare l’udienza per la comparizione delle parti, configurandosi, in difetto, la nullità del decreto che decide il ricorso per violazione del principio del contraddittorio, a nulla rilevando che l’audizione, nella specie, sia stata effettuata davanti alla Commissione territoriale in data anteriore alla consumazione del termine di 180 giorni dall’entrata in vigore del D.L. n. 13 del 2017, convertito nella L. n. 46 del 2017, essendo l’udienza di comparizione delle parti, anche in tale ipotesi, conseguenza obbligata della mancanza della videoregistrazione (Sez. 1, n. 32029 del 11/12/2018, Rv. 651982 – 01; Sez. 6 – 1, n. 17076 del 26/06/2019, Rv. 654445-01; Sez. 6 – 1, n. 14148 del 23/05/2019, Rv. 654198-01; Sez. 1, n. 10786 del 17/04/2019,Rv. 653473 – 01).

Non rileva in contrario la circostanza che il ricorrente abbia omesso di prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato un pregiudizio per la decisione di merito, in quanto la mancata videoregistrazione del colloquio, incidendo su un elemento centrale del procedimento, ha palesi ricadute sul suo diritto di difesa (Sez. 1, n. 5973 del 28/02/2019,Rv. 652815 – 01).

Viceversa, nel giudizio d’impugnazione innanzi all’autorità giudiziaria della decisione della Commissione territoriale, ove manchi la videoregistrazione del colloquio, all’obbligo del giudice di fissare l’udienza non consegue automaticamente anche quello di procedere all’audizione del richiedente, purchè sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al Tribunale. Ne deriva che il Giudice può respingere una domanda di protezione internazionale solo se risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l’audizione dello straniero(Sez. 1, n. 3029 del 31/01/2019, Rv. 652410-01; Sez. 6 – 1, n. 2817 del 31/01/2019, Rv. 652463-01; Sez. 6 – 1, n. 32073 del 12/12/2018, Rv. 652088 – 01).

1.3. Nella specie lo stesso ricorrente assume contraddittoriamente che l’udienza di comparizione personale delle parti era stata fissata dal Tribunale, come del resto risulta dallo stesso decreto impugnato (pag.2), che ha semplicemente ritenuto superfluo il rinnovo dell’audizione.

A pagina 10 il ricorrente riporta in modo erroneo il contenuto del provvedimento impugnato, attribuendo al Tribunale la seguente frase “la locuzione “fissa l’udienza per la comparizione delle parti” non significa affatto che la fissazione dell’udienza di comparizione comporti la presenza personale ovvero l’audizione di una o entrambe le parti”, che non si rinviene nella pagina 2 del testo del decreto.

Il Tribunale ha invece affermato, perfettamente in linea con la giurisprudenza di questa Corte sopra illustrata, che l’obbligo di fissazione dell’udienza di comparizione delle parti non comporta necessariamente che in tale udienza si proceda anche all’audizione personale del richiedente asilo.

Appare anche superfluo precisare che ai sensi dell’art. 84 disp. att. c.p.c. la parte può intervenire personalmente alle udienze fissate dal Giudice, anche se abbisogna dell’autorizzazione del Giudice per interloquire, e comunque tramite il proprio difensore può formulare tutte le deduzioni che ritiene opportune, inclusa quella di essere ascoltato circa uno o più fatti rilevanti per il giudizio.

2. Il secondo e il terzo motivo sono stati trattati congiuntamente dal ricorrente e possono essere quindi affrontati unitariamente.

2.1. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto non attendibili le dichiarazioni del richiedente.

2.2. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo e motivazione manifestamente illogica in relazione alla asserita mancanza di rischi per il rientro in patria del ricorrente.

2.3. Il ricorrente lamenta, in modo del tutto generico, il fatto che il Tribunale abbia ritenuto non attendibili le sue dichiarazioni circa il pericolo di essere arrestato e subire un ingiusto processo; si duole altresì del mancato esame in ordine alle regole che governano il processo penale in (OMISSIS), ritenute sostanzialmente eque.

Il ricorrente non indica le ragioni giuridiche della asserita violazione di legge e non si confronta, neppur superficialmente, con l’ampia motivazione addotta dal Tribunale alle pagine 5 e 6 del decreto impugnato, imperniata sulla totale assenza di elementi confortanti il rischio del richiedente asilo di essere sottoposto a procedimento penale in relazione alla tragica morte del collega, anche secondo il suo stesso racconto, poichè il sig. N. non era mai stato sorpreso in alcuna occasione mentre era intento al lavoro illegale di estrazione aurea dalle forze di polizia, tantomeno in dell’incidente relativo al decesso del compagno di lavoro.

Il rischio di arresto invece in relazione all’attività illegale tout court, secondo il Tribunale, non era attuale ed era comunque facilmente scongiurabile rispettando il divieto.

2.4. Il ricorrente lamenta poi totale assenza di motivazione in merito allo scontro tra l’etnia Mamprusi, al potere, e quella Kunsasi, a cui apparteneva il ricorrente che aveva già dovuto assistere inerme all’assassinio del padre.

Così argomentando, il ricorrente non considera che un tale pericolo non era stato posto a fondamento della richiesta di protezione, come del resto era ovvio: infatti il ricorrente aveva riferito di aver lasciato a 21 anni nel (OMISSIS) la città di (OMISSIS) per trasferirsi nella regione di (OMISSIS) a cercare l’oro, ove era rimasto ben otto anni fino al 2016, ed è rispetto a questa regione e all’attività illegale di estrazione aurea colà praticata che egli aveva prospettato i pericoli connessi al ritorno in patria.

3. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 in relazione alla richiesta di protezione sussidiaria, rinunciando alla richiesta dello status di rifugiato politico.

Non era stato tenuto conto del fatto che il ricorrente aveva dovuto abbandonare la città di origine a causa della persecuzione dei cittadini di etnia Kunsasi da parte dell’etnia Mamprusi.

Come si è detto, tale vicenda era un semplice antefatto, occorso ben otto anni prima della vicenda che ha determinato l’espatrio.

In ogni caso, in tema di protezione internazionale dello straniero, nell’ordinamento italiano (e con riferimento al regime anteriore alle modifiche apportate dal D.L. n. 113 del 2018, convertito in L. n. 132 del 2018 al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 1) la valutazione della settorialità della situazione di rischio di danno grave deve essere intesa, alla stregua della disciplina di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, nel senso che il riconoscimento del diritto ad ottenere lo status di rifugiato politico, o la misura più gradata della protezione sussidiaria, non può essere escluso in virtù della ragionevole possibilità del richiedente di trasferirsi in altra zona del territorio del Paese d’origine, ove egli non abbia fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corra rischi effettivi di subire danni gravi, mentre non vale il contrario, sicchè il richiedente non può accedere alla protezione se proveniente da una regione o area interna del Paese d’origine sicura, per il solo fatto che vi siano nello stesso Paese anche altre regioni o aree invece insicure. (Sez. 1, n. 13088 del 15/05/2019, Rv. 653884 – 01; Sez. 1, n. 18540 del 10/07/2019, Rv. 654660 – 01).

4. Con il quinto motivo di ricorso il ricorrente insiste nella richiesta di riconoscimento della protezione sussidiaria o almeno umanitaria, contestando quanto valutato dal Tribunale in ordine alla situazione generale del (OMISSIS).

4.1. Secondo il ricorrente il (OMISSIS) era un Paese martoriato da attacchi terroristici, con una situazione gravissima, fuori controllo da parte delle autorità locali; la vita del ricorrente era in pericolo sia per il rischio di essere assassinato dall’etnia Maprusi nella incapacità del sistema giudiziario e di pubblica sicurezza di offrirgli tutela, sia per il pericolo di essere assoggettato a un processo ingiusto.

4.2. La censura è riversata nel merito e esprime il dissenso del ricorrente rispetto alla valutazione operata dal Tribunale sulla situazione di violenza in (OMISSIS), sviluppata alle pagine 6 e 7 del provvedimento impugnato e fondata sulla consultazione di numerose fonti informative, che ha condotto all’esclusione di un conflitto armato interno e di un rischio di esposizione indiscriminata dei civili ad atti di violenza.

5. Con il sesto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente denuncia violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 o omesso esame di fatto decisivo quanto alla richiesta di protezione umanitaria.

5.1. Secondo il ricorrente era mancata la necessaria valutazione comparativa fra la situazione di vulnerabilità e il grado di integrazione raggiunto in Italia.

5.2. Giova ricordare che secondo la recentissima sentenza delle Sezioni Unite del 13/11/2019 n. 29460, che avalla l’interpretazione maggioritaria inaugurata da Sez. 1, n. 4890 del 19/02/2019, Rv. 652684 – 01, in tema di successione delle leggi nel tempo in materia di protezione umanitaria, il diritto alla protezione, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta a ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile; ne consegue che la normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito con L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina contemplata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e dalle altre disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge; tali domande saranno, pertanto, scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione, ma, in tale ipotesi, l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base delle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, comporterà il rilascio del permesso di soggiorno per casi speciali previsto dall’art. 1, comma 9, suddetto D.L..

Inoltre la stessa sentenza 24960/2019 delle Sezioni Unite, che in proposito aderisce al filone giurisprudenziale promosso dalla sentenza della Sez. 1, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza.

5.3. La valutazione comparativa è stata effettuata dal Tribunale, da un lato, escludendo che la fuga dal (OMISSIS) sia stata dettata dall’esigenza di sottrarsi a una grave situazione di violazione dei diritti umani, e dall’altro, non riconoscendo il raggiungimento in Italia di un apprezzabile grado di integrazione sociale in termini di vita privata e familiare.

Tali valutazioni, prettamente di merito, non sono state specificamente criticate dal ricorrente.

6. Il ricorso deve quindi essere rigettato.

Nulla sulle spese in difetto di costituzione dell’Amministrazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto che non sussistono, allo stato, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile, il 3 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2020

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