Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12964 del 14/06/2011

Cassazione civile sez. III, 14/06/2011, (ud. 03/05/2011, dep. 14/06/2011), n.12964

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.U. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZA AUGUSTO IMPERATORE 22, presso lo studio dell’avvocato

POTTINO GUIDO MARIA, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato ZAULI CARLO giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PARROCCHIA SAN SEBASTIANO IN (OMISSIS) in persona del

legale rappresentante e nuovo Parroco Don P.C.,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FASANA 16, presso lo studio

dell’avvocato RAMPIONI RICCARDO, rappresentato e difeso dall’avvocato

ROPPO FRANCESCO giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1327/2008 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

Sezione Prima Civile, emessa il 15/04/2008, depositata il 18/08/2008;

R.G.N. 1228/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/05/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito l’Avvocato ROPPO FRANCESCO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- C.U. propose appello avverso la sentenza del Tribunale di Forlì che, accogliendo la domanda proposta dalla Parrocchia di San Sebastiano in (OMISSIS), aveva condannato il C. all’immediato rilascio in favore dell’attrice dell’immobile sito in (OMISSIS), ed aveva rigettato le domande riconvenzionali del convenuto. Dedusse l’appellante che era stata ritenuta la legittimazione attiva dell’attrice malgrado agli atti non vi fosse alcuna prova nè dell’esistenza della Parrocchia come persona giuridica privata nè della sua relazione con l’immobile in contestazione; che l’attrice non aveva dato prova della proprietà di questo; che sussisteva la competenza della sezione specializzata agraria poichè trattavasi di controversia avente ad oggetto il rilascio di un fondo rustico; che si sarebbe dovuto comunque disporre il mutamento di rito per essere la controversia in materia locatizia e che, a causa della mancata conversione, era stato prodotto un documento (scrittura privata del 15 febbraio 1973), la cui produzione era invece preclusa; che il giudice aveva errato nel ritenere che avverso tale documento avrebbe dovuto essere proposta querela di falso; che ancora il giudice aveva errato nel ritenere che non vi fosse stato un possesso utile all’usucapione da parte dello stesso C., nonchè nel richiamare gli atti di tolleranza per giustificare il lungo periodo di detenzione dell’immobile da parte di quest’ultimo.

2.- La Corte d’Appello di Bologna ha rigettato l’appello ed ha condannato l’appellante al pagamento delle spese del grado in favore dell’appellata.

3.- Avverso la sentenza della Corte d’Appello propone ricorso per cassazione C.U., a mezzo di otto motivi, illustrati da memoria. Resiste l’intimata con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- I motivi secondo e terzo vanno trattati congiuntamente poichè connessi in quanto denunciano il medesimo errore sia come error in procedendo ex art. 112 c.p.c. e ex art. 360 c.p.c., n. 4 che come violazione dell’art. 948 cod. civ. ex art. 360 c.p.c., n. 3; il loro esame è inoltre logicamente e giuridicamente preliminare rispetto all’esame del primo motivo.

Lamenta il ricorrente che i giudici di merito avrebbero erroneamente qualificato la domanda come azione personale di restituzione di immobile piuttosto che come azione di rivendicazione, come invece avrebbe dovuto essere qualificata, così incorrendo sia nella violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, sia nella violazione dell’art. 948 cod. civ., anche quanto alle conseguenze tratte in tema di onere della prova gravante sulla parte attrice.

1.1.- Premesso che il principio secondo cui 1 ‘ interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti da luogo ad un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito, non trova applicazione quando si assume che tale interpretazione abbia determinato un vizio riconducibile alla violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (art. 112 cod. proc. civ.), trattandosi in tal caso della denuncia di un error in procedendo che attribuisce alla Corte di cassazione il potere – dovere di procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (cfr. Cass. 24 giugno 2004, n. 11755; 22 luglio 2009, n. 17109), è da escludere che, con l’atto di citazione introduttivo del giudizio, la Parrocchia di San Sebastiano abbia proposto un’azione di rivendica ex art. 948 cod. civ., essendo invece corretta la qualificazione data sia dal Tribunale che dalla Corte d’Appello come azione personale di rilascio.

Il principio di diritto da cui prendere le mosse è proprio quello richiamato dal ricorrente per il quale l’azione di rivendicazione e quella di restituzione hanno natura e presupposti diversi, in quanto la prima, di carattere reale, si fonda sul diritto di proprietà di un bene, del quale l’attore assume di essere titolare e di non avere la disponibilità, ed è esperibile contro chiunque in fatto possiede o detiene il bene al fine di ottenere l’accertamento del diritto di proprietà sul bene stesso e di riacquisirne il possesso; la seconda ha, invece, natura personale, si fonda sulla deduzione della insussistenza o del sopravvenuto venir meno di un titolo di detenzione del bene da parte di chi attualmente lo detiene per averlo ricevuto dall’attore o dal suo dante causa, ed è rivolta, previo accertamento di quella insussistenza o di quel venir meno, ad ottenere consequenzialmente la consegna del bene.

Ne discende che l’attore in restituzione non ha l’onere di fornire la prova del suo diritto di proprietà; ma solo dell’originaria insussistenza o del sopravvenuto venir meno del titolo giuridico che legittimava il convenuto alla detenzione del bene nei suoi confronti (cfr. Cass. 24 febbraio 2000, n. 2092; 10 dicembre 2004, n. 23086).

Peraltro, malgrado risulti qualche non recente decisione di questa Corte in senso contrario, è da escludere che la difesa del convenuto, che assuma di essere proprietario del bene in contestazione, sia idonea a trasformare in reale l’azione personale proposta nei suoi confronti, atteso che, per un verso, la controversia va decisa con esclusivo riferimento alla pretesa dedotta dall’attore, per altro verso, la semplice contestazione del convenuto non costituisce strumento idoneo a determinare l’immutazione, oltre che dell’azione, anche dell’onere della prova incombente sull’attore, imponendogli, una prova ben più onerosa – la probatio diabolica della rivendica – di quella cui sarebbe tenuto alla stregua dell’azione inizialmente introdotta (così Cass. 26 febbraio 2007, n. 4416, in un caso del tutto analogo al presente, relativo ad azione di rilascio di immobile alla quale parte convenuta aveva contrapposto domanda riconvenzionale per far dichiarare l’intervenuta usucapione;

ma cfr., in senso conforme, la più recente giurisprudenza di questa Corte, tra cui Cass. 27 gennaio 2009, n. 1929; 23 dicembre 2010, n. 26003; ord. 17 gennaio 2011, n. 884).

1.2.- Risulta dalla sentenza impugnata e dall’atto di citazione introduttivo del primo grado di giudizio che la Parrocchia di San Sebastiano mai ebbe a chiedere l’accertamento della proprietà del bene oggetto di causa, ma, nel presupposto dell’insussistenza di un valido titolo di detenzione in capo al convenuto, chiese che quest’ultimo fosse condannato al rilascio. Si tratta incontestabilmente, sulla base della giurisprudenza sopra richiamata e che qui si ribadisce, di azione di natura personale, la quale non può ritenersi trasformata per il solo atteggiarsi della difesa del convenuto, che ha inteso contrapporre alla domanda dell’attrice la domanda riconvenzionale di declaratoria dell’acquisto della proprietà del bene per usucapione.

Nè la causa petendi della domanda dell’attrice, per la quale il convenuto è da ritenersi un occupante senza titolo, può ritenersi mutata soltanto perchè, in corso di causa, è stata prodotta la scrittura privata del 15 febbraio 1973, che i giudici di merito hanno interpretato come titolo in ragione del quale il C. conseguì ab origine la detenzione dell’immobile: nemmeno tale produzione ha trasformato l’originaria domanda in altra, che il ricorrente vorrebbe fondata sulle norme regolatrici del contratto di locazione. Infatti, la parte attrice si è avvalsa di detta produzione per contrastare la domanda riconvenzionale di usucapione, al fine di dimostrare che il C. iniziò a detenere l’immobile proprio in forza del rapporto obbligatorio che trovava la sua fonte nella scrittura privata (cfr. art. 1141 cod. civ.).

Inoltre, se ne è avvalsa per corroborare i fatti posti a fondamento della propria domanda: ha così sostenuto che, venuto meno detto titolo contrattuale, per la scadenza del termine novennale ivi previsto, il convenuto rimase ad occupare l’immobile senza alcun altro titolo di godimento; con tale deduzione, la parte attrice non ha certo mutato l’originaria causa petendi della propria domanda, in quanto questa era ed è rimasta finalizzata a conseguire il rilascio del bene, per l’attuale insussistenza di un valido titolo di detenzione in capo al convenuto.

I motivi secondo e terzo non risultano pertanto meritevoli di accoglimento.

2.- Col primo motivo di ricorso si denuncia vizio di violazione delle norme della L. 20 maggio 1985, n. 222, artt. 21, 22, 23, 28 e 29 per non avere il giudice di merito accertato la legitimatio ad causam della Parrocchia di San Sebastiano. Assume il ricorrente che non vi sarebbe prova del “ritrasferimento” del bene oggetto di causa dall’Istituto diocesano del clero alla Parrocchia di San Sebastiano;

più specificamente, secondo il ricorrente, tale bene avrebbe fatto parte del patrimonio del Beneficio parrocchiale, che, ai sensi del menzionato art. 28, sarebbe stato trasferito di diritto all’Istituto e che non risulterebbe assegnato, ai sensi del menzionato art. 29, alla Parrocchia; pertanto, questa non sarebbe legittimata a chiederne il rilascio, poichè non ne avrebbe la proprietà. Il ricorrente richiama altresì il motivo d’appello concernente la contestazione, da parte sua, della personalità giuridica in capo alla Parrocchia appellata, pur non espressamente riproducendo in sede di legittimità la medesima censura.

2.1.- Orbene, con riferimento a tale ultimo profilo, quindi alla personalità giuridica (che concerne la capacità processuale, vale a dire la c.d. legitimatio ad processum) della Parrocchia, in persona del Parroco legale rappresentante, risulta già dalla sentenza impugnata il rispetto della L. n. 222 del 1985, artt. 4, 5 e 6 – che, a loro volta, presuppongono rispettate le norme degli artt. 29 e 30 della stessa legge – dal momento che si da atto che la Parrocchia di San Sebastiano in (OMISSIS), è iscritta nel locale registro delle persone giuridiche ed è quindi ente ecclesiastico civilmente riconosciuto (cfr. Cass. 11 settembre 2003, n. 13380).

Diversa è invece la questione concernente la legitimatio ad causam, rispetto alla quale la censura del ricorrente non coglie affatto nel segno.

Come correttamente rilevato dai giudici di merito, trattandosi di azione di rilascio a natura personale, la parte attrice non aveva alcun onere nè di allegare nè di dimostrare il proprio titolo di proprietà sull’immobile, in quanto chiunque abbia la disponibilità di fatto di una cosa, in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico, può validamente concederla in locazione o, come accaduto nel caso di specie, costituirvi altro rapporto obbligatorio ed è, in conseguenza, legittimato a richiederne la restituzione allorchè il rapporto venga a cessare, senza per questo dover fornire la prova del diritto di proprietà, spettando al convenuto dimostrare un titolo diverso per il suo godimento (cfr. Cass. 13 aprile 2007, n. 8840, citata nella sentenza impugnata e confermata da Cass. 31 maggio 2010, n. 13204).

Dato quanto sopra in punto di qualificazione dell’azione esercitata dall’attrice, non vi è spazio alcuno per valutazioni concernenti il diritto di proprietà in capo alla Parrocchia del bene che ne ha formato oggetto.

Il motivo pertanto non merita accoglimento.

3.- Nè si può sostenere, come fa il ricorrente col quarto motivo di ricorso, che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe contraddittoria per avere richiamato la giurisprudenza concernente la legittimazione ad agire del locatore per ottenere il rilascio dell’immobile locato ed avere invece ritenuto l’azione fondata sull’occupazione sine titulo; e nemmeno, come fa il ricorrente col quinto motivo di ricorso – da esaminare congiuntamente poichè connesso – che la Corte d’Appello, ponendo a fondamento della propria decisione la scrittura privata del 15 febbraio 1973, sarebbe incorsa in error in procedendo, determinante la nullità della sentenza, perchè detta scrittura avrebbe ad oggetto circostanze di fatto mai allegate od eccepite in prime cure.

Più in particolare, con riferimento a tale seconda censura, osserva il ricorrente che detta scrittura venne prodotta soltanto all’udienza del 20 settembre 2001, che era stata fissata per l’assunzione delle prove testimoniali ammesse e ne fu ammessa la produzione, dopo la scadenza dei termini di cui all’art. 184 cod. proc. civ. (nel testo applicabile ratione temporis), con applicazione da parte del giudice istruttore della norma dell’art. 184 bis cod. proc. civ. (anche questa, norma – oramai abrogata per effetto della L. 18 giugno 2009, n. 69 – applicabile al presente giudizio perchè introdotto nella sua vigenza).

3.1.- Rilevato che, con nessuno dei motivi di ricorso per cassazione, viene censurato il provvedimento di rimessione in termini, nè risulta che questo abbia formato oggetto di apposito motivo di appello, occorre valutare la rilevanza che a detto documento, da ritenersi legittimamente acquisito al processo, è stata data dai giudici di merito.

E’ da escludere che esso sia stato posto a fondamento dell’azione della Parrocchia nel senso preteso dal ricorrente, vale a dire quale fonte di un (preteso) rapporto di locazione che costituisca oggetto della controversia: nella motivazione della sentenza impugnata si legge infatti che “la controversia non ha riguardato la conoscenza del rapporto di locazione”; piuttosto, la sentenza lascia chiaramente intendere che il contratto rinvenuto nella scrittura sia stato considerato al fine di comprovare l’originaria disponibilità del bene in capo alla Parrocchia ed al fine di individuare il titolo della consegna materiale del bene in favore del C., così come dalla sentenza si desume che la cessazione del rapporto fondato su detta scrittura non sia stata considerata, in sè, quale causa petendi dell’azione di restituzione, ma quale fatto in conseguenza del quale il C. continuò nella detenzione dell’immobile senza avere più alcun titolo per il suo godimento.

4.- Le argomentazioni appena svolte sono idonee al rigetto non solo del quarto e quinto motivo di ricorso, ma anche dei motivi sesto ed ottavo.

4.1.- Col sesto motivo di ricorso si denuncia la violazione delle norme sulla competenza per essere stata esclusa la cognizione della sezione specializzata agraria. Tuttavia, come rilevato dalla Corte d’Appello, non solo il rapporto originariamente intercorso tra le parti in forza della scrittura privata più volte menzionata non aveva ad oggetto un fondo rustico nè a contenuto un contratto agrario, ma, come già detto, l’azione di rilascio esercitata dalla Parrocchia ha ben altra causa petendi, essendo consistita nella domanda di rilascio di bene immobile, già casa colonica, adibita ad abitazione del convenuto e da questi occupata senza titolo.

Giova aggiungere che, se è vero che questa Corte ritiene la competenza della sezione specializzata agraria anche nel caso di azione di rilascio esercitata nei confronti di un convenuto che si assume occupare senza titolo, ciò fa soltanto quando la controversia implichi un accertamento positivo o negativo di un rapporto agrario indicato, vale a dire quando la detenzione in forza di un rapporto siffatto sia, quanto meno, eccepita dallo stesso convenuto (cfr.

Cass. 11 aprile 2000, n. 4595; 11 aprile 2001, n. 5405), richiedendosi altresì che la relativa prospettazione non sia prima facie infondata (cfr., tra le tante, Cass. 2 aprile 2001, n. 4786; 11 novembre 2004, n. 21429; 11 novembre 2005, n. 22895). Con riguardo al caso di specie, è sufficiente ribadire che, proposta da parte della Parrocchia l’azione di cui sopra, il ricorrente, convenuto con tale azione, non vi ha contrapposto la vigenza di un rapporto agrario, ma ha agito con domanda riconvenzionale di usucapione, in sè evidentemente incompatibile con quest’ultimo e tale da presupporre una ricostruzione della situazione di fatto e di diritto in insanabile contrasto con la sollevata eccezione di incompetenza.

4.2.- Con l’ottavo motivo di ricorso si denuncia error in procedendo e nullità della sentenza in relazione all’art. 439 cod. proc. civ. e all’art. 447 bis cod. proc. civ. per omesso mutamento del rito in appello. La censura sarebbe fondata se la controversia avesse avuto ad oggetto un rapporto di locazione, ma, avendo i giudici del merito escluso tale situazione processuale ed essendo tale esclusione corretta per quanto detto sopra, il motivo non è meritevole di accoglimento.

5.- Col settimo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1571 cod. civ. per avere la Corte d’Appello qualificato la scrittura privata del 15 febbraio 1973 come contratto di locazione, malgrado, secondo il ricorrente, contenesse una rinuncia da parte del locatore al pagamento dei canoni di locazione, che venivano sostituiti dagli esborsi sopportati, una tantum, dal conduttore per eseguire dei lavori in muratura nell’immobile oggetto del contratto.

5.1.- Il motivo è infondato.

La Corte d’Appello di Bologna non ha interpretato il contratto nel senso che fosse una locazione rientrante nello schema legale di cui all’art. 1571 cod. civ. e seguenti, ma si è limitata a valutare – ciò che soltanto è rilevante ai fini della decisione – che, con detta scrittura, le parti diedero vita ad un rapporto obbligatorio in ragione del quale il parroco pro-tempore, che aveva la disponibilità materiale dell’immobile, ne trasferì la detenzione al C., in forza del titolo predette, senza addivenire ad alcuna espressa qualificazione di questo e del rapporto così costituito.

Poichè la ratio decidendi della sentenza impugnata non presuppone affatto la qualificazione del contratto in parola come contratto tipico di locazione, essendo del tutto compatibile con ogni altro tipo di rapporto obbligatorio anche nascente da contratto atipico, e poichè non risulta affatto dalla sentenza impugnata che il giudice del merito abbia inteso sussumere il contratto de quo nella fattispecie dell’art. 1571 cod. civ., la censura che denuncia la violazione e falsa applicazione di tale norma va disattesa.

6.- Attesa la soccombenza, ricorrente va condannato al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, il 3 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2011

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