Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1767 del 27/01/2020

Cassazione civile sez. I, 27/01/2020, (ud. 12/11/2019, dep. 27/01/2020), n.1767

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. FIDANZIA AndreA – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34477/2018 proposto da:

A.R., elettivamente domiciliato in Roma Viale Manzoni 81 presso

lo studio dell’avvocato Giudice Emanuele che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1517/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 08/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/11/2019 da Dott. FEDERICO GUIDO.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

A.R. cittadino originario del (OMISSIS) propone ricorso per cassazione, con tre motivi, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Torino, l’8.8.2018 che ha escluso il riconoscimento di ogni forma di protezione.

La Corte territoriale, in particolare, confermando la valutazione del tribunale, ha rilevato che le dichiarazioni del ricorrente presentavano diverse incongruenze circa il suo personale coinvolgimento nella vicenda narrata, che riguardava principalmente il fratello il quale sarebbe stato condannato a morte per aver ucciso un rivale politico.

La Corte territoriale, premesso che la valutazione del primo giudice circa la scarsa credibilità del racconto era stata censurata in modo del tutto generico, evidenziava un rilevante scostamento tra la versione fornita dal richiedente innanzi alla commissione territoriale ed al primo giudice e quella resa nel processo di appello, in cui, modificando radicalmente l’originaria versione, aveva riferito che il fratello non era stato giustiziato, ma condannato a 25 anni di reclusione. Inoltre, nonostante la dedotta condizione di ricercato dalla polizia, il richiedente aveva lasciato il (OMISSIS) con un volo di linea; nulla di specifico, infine, questi aveva saputo riferire circa le persone che lo ricercavano.

La Corte territoriale ha inoltre ritenuto, sulla base del rapporto di Amnesty international, che l’attuale situazione del (OMISSIS) non integrasse il presupposto di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) ed ha escluso la sussistenza di situazioni di vulnerabilità del richiedente.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il primo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 lamentando che la Corte territoriale ha ritenuto di escludere ogni forma di protezione, compresa quella sussidiaria, esclusivamente in base alla inverosimiglianza della narrazione del richiedente ed ha omesso ci esercitare i poteri officiosi di indagine.

Il secondo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in relazione alla statuizione che ha escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria in relazione alla situazione di violenza indiscriminata sussistente in (OMISSIS).

I motivi, che, in quanto connessi, vanno unitariamente esaminati, sono infondati.

Conviene premettere che avuto riguardo alla protezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile ad una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, in base ad un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione (Cass., 28/06/2018, n. 17075; Cass., 12/11/2018, n. 28990). Al fine di ritenere adempiuto tale onere, inoltre, il giudice è tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Cass., 26/04/2019, n. 11312).

Nel caso di specie, la Corte territoriale ha accertato, mediante il ricorso a fonti internazionali attendibili citate in motivazione (Rapporti di Amnesty International), secondo quanto richiesto dal recente indirizzo di questa Corte (Cass. 11312/2019) che la zona di provenienza dell’immigrato ((OMISSIS)) non risultava interessata da una situazione di violenza diffusa riconducibile a quella di cui all’art. 14, lett. c), non potendo rilevare in senso contrario gli episodi di matrice terroristica, talora verificatisi nella zona di provenienza, atteso che tali atti non valgono ad integrare, per la loro episodicità, quella situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, richiesta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)).

Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e D.Lgs. n. 25 del 2018, art. 3 in relazione alla statuizione che ha escluso la protezione umanitaria: il ricorrente, premessa la non retroattività delle modifiche legislative introdotte dal D.L. n. 113 del 2018, lamenta che la Corte non ha svolto nessuna indagine sulla condizione di vulnerabilità del richiedente, venendo cosi meno al dovere officioso di indagine, sia avuto riguardo alla situazione generale del (OMISSIS) che a quella personale del richiedente asilo, omettendo di effettuare la necessaria valutazione comparativa tra le sue condizioni di vita in Italia e la situazione nel paese di origine.

Il motivo è infondato.

Conviene premettere che, come questa Corte ha già rilevato, la valutazione di credibilità dello straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c).

Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ovvero sotto il profilo della mancanza assoluta della motivazione, della motivazione apparente, o perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. 3340/2019).

Orbene nel caso di specie il tribunale, con apprezzamento adeguato e conforme ai parametri valutativi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c) ha ritenuto non credibili le dichiarazioni del ricorrente rilevando che il racconto poco verosimile e connotato da diverse gravi incongruenze, quali la pena irrogata ed eseguita a carico del fratello (in un primo tempo pena di morte, successivamente mutata in condanna a 25 anni di reclusione), o le circostanze per le quali gli era stato addebitato l’omicidio commesso dal fratello ed infine il fatto che abbia lasciato il (OMISSIS) su volo di linea nonostante fosse ricercato per un gravissimo delitto.

Ora, è evidente che l’attendibilità della narrazione svolge un ruolo rilevante anche in relazione al mancato riconoscimento della protezione umanitaria, atteso che, ai fini di valutare se il richiedente abbia subito un’effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, questa dev’essere necessariamente correlata alla condizione del richiedente medesimo, posto che solo la sua attendibilità consente di attivare poteri officiosi (Cass. 4455/2018).

Il mezzo è peraltro del tutto generico e non contiene una allegazione della specifica situazione di fragilità del richiedente e della piena integrazione dello stesso nel nostro paese.

Il ricorso va dunque respinto e, considerato che il Ministero non ha svolto difese non deve provvedersi sulle spese del presente giudizio.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2020

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