Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1687 del 24/01/2020
Cassazione civile sez. VI, 24/01/2020, (ud. 23/10/2019, dep. 24/01/2020), n.1687
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –
Dott. PONTERO Carla – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25278-2018 proposto da:
BERENGO SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, Via LUIGI GIUSEPPE FARAVELLI 22,
presso lo studio dell’avvocato ENZO MORRICO, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato ROBERTO CRASNICH;
– ricorrente –
Contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE 80078750587, in
persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA
dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati LELIO
MARITATO, ANTONINO SGROI, EMANUELE DE ROSE, CARLA D’ALOISIO,
GIUSEPPE MATANO, ESTER ADA SCIPLINO;
– controricorrente –
contro
INAIL – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI
SUL LAVORO 01165400589, in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso la
sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso
dagli avvocati RAFFAELA FABBI, LORELLA FRASCONA;
– controricorrente
avverso la sentenza n. 23/2018 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,
depositata il 30/06/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 23/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO
RIVERSO.
Fatto
RILEVATO
CHE:
la Corte d’appello di Trieste con sentenza del 30.6.2018 ha accolto i gravami dell’Inps e dell’Inail avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto l’azione di accertamento negativo proposta da la Berengo S.p.A avverso il verbale unico di accertamento e notificazione mediante il quale era stato riscontrato che, per gli anni dal 2012 al 2014, la L. M. Impianti Srl, ditta che si occupava del montaggio degli impianti di condizionamento a bordo nave e che agiva in qualità di subappaltatrice, aveva erogato in busta paga aì propri dipendenti degli importi impropriamente qualificati come indennità di trasferta ed indennità chilometrica, in tal modo indebitamente fruendo di esenzioni contributive previste dalla legge e della cui debenza era chiamata a rispondere la stessa Berengo S.p.A in qualità di subappaltante D.Lgs. n. 276 del 2003, ex art. 29.
Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Berengo S.p.A. con tre motivi ai quali hanno resistito l’INPS e l’Inail con controricorso.
E’ stata comunicata alle parti la proposta del giudice relatore unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.
Diritto
RITENUTO
CHE:
1.- Col primo motivo si sostiene l’erronea applicazione della disciplina D.Lgs. n. 276 del 2003, ex art. 29, siccome la ricorrente era stata ritenuta responsabile pur in assenza del presupposto ex lege relativo all’esatta indicazione del contratto di appalto e della durata dello stesso.
2.- Col secondo motivo viene dedotta violazione di legge per l’erronea applicazione della disciplina sulla distribuzione dell’onere della prova ex art. 2697 c.c.
3.- Col terzo motivo viene dedotta violazione di legge in relazione all’omessa applicazione dell’art. 115 c.p.c., sul principio di acquisizione della prova (con riferimento alla valutazione della documentazione acquisita in sede ispettiva).
4.- Col quarto motivo viene dedotta violazione di legge per erronea applicazione dell’art. 2729 c.c. (in relazione alla valenza presuntiva degli statini presenza) nonchè degli artt. 2699, 2700 e 2702 c.c. (in relazione al principio di prevalenza delle dichiarazioni assunte in sede ispettiva, in rapporto ai documenti di provenienza di terzi).
5.- I motivi di ricorso, da esaminare unitariamente per il loro contenuto, sono inammissibili, posto che violano il principio di specificità ed autosufficenza del ricorso per cassazione ed, ad onta della rubrica, tendono alla rivalutazione del giudizio di merito.
6.- Ed invero secondo la giurisprudenza di questa Corte (tra le tante sentenza n. 29093 del 13/11/2018) il ricorrente per cassazione, il quale intenda dolersi dell’omessa od erronea valutazione di istanze, prove, atti e documenti da parte del giudice di merito, ha il duplice onere imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) – di produrlo anzitutto agli atti (indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione) e di indicarne in secondo luogo il contenuto (trascrivendolo o riassumendolo nel ricorso) perchè la violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile.
7.- Sotto altro profilo il ricorso si rivela inammissibile perchè sottopone all’attenzione di questa Corte questioni di fatto non ammissibili in sede di legittimità e comunque non riconducibili ad alcuno dei motivi di cui all’art. 360 c.p.c., essendo piuttosto rivolte ad una generalizzata critica di merito della sentenza sotto profili eterogenei promiscuamente accorpati.
Emerge infatti evidente come, lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., le deduzioni dell’odierna ricorrente in realtà si risolvono nella mera doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’assetto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932). Per tale via, la ricorrente in realtà sollecita, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).
8.- Gli stessi motivi di ricorso si risolvono quindi in un diverso apprezzamento dei fatti già valutati e non sono perciò dedotti conformemente alla nuova previsione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, applicabile ratione temporis, alla cui stregua è richiesta la denuncia di un omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio discusso tra le parti; e che, secondo la conforme giurisprudenza di legittimità (Cass. S.U. 07/04/2014, nn. 8053 e 8054), deve essere interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.
9.- D’altra parte va pure rilevato che nel caso in esame la Corte d’appello non ha deciso la causa attraverso l’applicazione della regola di giudizio di cui all’art. 2697 c.c., ma per avere positivamente accertato l’esistenza della fattispecie di cui al D.Lgs. n. 276 del 200, art. 29, relativamente alla responsabilità solidale della committente o subappaltante, per omissioni contributive rinvenienti dalla fruizione di agevolazioni risultate indebite in conseguenza del non corretto assoggettamento delle retribuzioni erogate ai propri dipendenti da una ditta appaltatrice. Allo scopo la Corte, nella valutazione delle prove in atti, ha attribuito maggior valore ad alcuni elementi rispetto ad altri, secondo le tipiche prerogative riservate in materia al giudice di merito; il quale ha anche il potere di preferire sulla base di adeguata motivazione le prove contenute in atti ispettivi rispetto a quelle acquisite nel corso del giudizio.
10.- Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere quindi dichiarato inammissibile con condanna della ricorrente a pagare le spese del presente giudizio. Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
Dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la ricorrente a pagare le spese processuali liquidate per ciascun controricorrente in complessivi Euro. 3200 di cui Euro, 3000 per compensi professionali, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, all’adunanza camerale, il 23 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2020