Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12728 del 10/06/2011

Cassazione civile sez. I, 10/06/2011, (ud. 02/02/2011, dep. 10/06/2011), n.12728

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso n. 13635 dell’anno 2008 proposto da:

T.C. – L.A. – L.N.,

rappresentati e difesi dall’avv. SALERNO Antonio, giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, rappresentato e difeso dall’Avvocatura

Generale dello Stato, nei cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi, 12,

è per legge domiciliato;

avverso il decreto della Corte di Appello di Catanzaro n. 32,

depositato in data 6 aprile 2007;

sentita la relazione all’udienza del 2 febbraio 2011 del Consigliere

Dott. Pietro Campanile;

Udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del Sostituto

Dott. Federico Sorrentino, il quale ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con decreto depositato in data 4 aprile 2007 la Corte di appello di Catanzaro rigettava la domanda proposta da T.C., L.A. e L.N., con la quale era stata richiesta l’attribuzione di un equo indennizzo per la durata non ragionevole di un processo penale a loro carico, conclusosi con sentenza in data 11 febbraio 2005.

1.1 – A fondamento della decisione, la Corte di merito rilevava che il periodo relativo allo svolgimento delle indagini preliminari andava considerato, ai fini della determinazione della durata del procedimento, soltanto dal momento in cui i predetti avevano assunto, la qualità di parti, per essere stati informati della pendenza, nei loro confronti, del procedimento. Nell’ambito del procedimento presupposto si era verificato che i ricorrenti avevano avuto conoscenza dello stesso in data 1 febbraio 2000, ragion per cui, essendosi il processo concluso (con la lettura del dispositivo in udienza), la sua durata, avuto riguardo al concreto svolgimento, doveva considerarsi ragionevole.

1.2 – Per la cassazione di tale decreto ricorrono L.A. e N., nonchè la T., deducendo tre motivi.

Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2.1 – Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 4, per non aver la corte di merito considerato l’intera durata delle indagini preliminari.

Viene al riguardo formulato il seguente quesito di diritto: “Se, in tema di equa riparazione, la nozione di causa o di processo, considerata la Convenzione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, cui ha riguardo la L. 24 maggio 2001, n. 89, art. 2, s’identifica con qualsiasi procedimento si svolga dinnanzi agli organi pubblici di giustizia per l’affermazione o la negazione di una posizione giuridica di diritto o di soggezione facente capo a chi il processo promuove o subisce, in tale novero comprendendosi anche quello relativo alla fase delle indagini che precedono il vero e proprio esercizio dell’azione penale, la quale perciò, ove irragionevolmente si sia protratta nel tempo, assume rilievo ai fini dell’equa riparazione”.

2.2 – Con il secondo ed il terzo motivo si deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, assumendosi che non si sarebbe tenuto conto della circostanza che la querela, anzichè contro ignoti, era rivolta proprio nei confronti dei ricorrenti, e, inoltre, che non si sarebbe tenuto conto, nel compensare le spese di lite, dello “spirito della legge Pinto”.

2.3 – Il primo motivo è infondato, ragion per cui deve rispondersi negativamente al relativo quesito di diritto.

Invero questa Corte, con orientamento costante, cui il Collegio intende dare continuità, ha affermato che, in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, nella valutazione della durata di un procedimento penale il tempo occorso per le indagini preliminari può essere computato solo a partire dal momento in cui l’indagato abbia avuto la concreta notizia della sua pendenza, solo tale conoscenza costituendo la fonte d’ansia e di patema suscettibile di riparazione (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 10310 del 2010, 27239 del 2009, 26201 del 2006 e 15087 del 2004).

La corte territoriale, invero, ha correttamente applicato tale principio, affermando che la notizia del procedimento coincideva con la notifica dell’avviso di chiusura delle indagini, avvenuta in data 1 febbraio 1996.

I ricorrenti, a tale proposito, sostengono che si sarebbe dovuto tener conto della data di proposizione della querela, avuto riguardo alla possibilità di conoscere la loro posizione di indagati mediante consultazione del registro delle notizie di reato presso la Procura della Repubblica. Per completezza di esposizione si rileva che la deduzione, la quale non trova alcuna rispondenza nel quesito sopra richiamato, è erronea sotto un duplice profilo, sia perchè la mera proposizione di una querela non comporta necessariamente che ad essa si dia seguito mediante atti comportanti la traduzione in accusa dei fatti in essa riportati (Cass., 13 febbraio 2003, n. 2148; in motiv.), sia perchè, a fronte del rilevato momento della conoscenza legale del procedimento indicato nella sentenza impugnata, non risulta quando, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, e in correlazione a quell’onere di allegazione più volte affermato da questa Corte in materia di equo indennizzo per la durata non ragionevole del processo (cfr., proprio in tema di conoscenza del procedimento penale, 23 dicembre 2009, n. 27239), sia stata, e con quali modalità, dedotta una precedente cognizione della pendenza del procedimento, in funzione dell’avvenuta iscrizione nel registro degli indagati (su quest’ultimo aspetto, cfr. Cass. n. 1740 del 2003).

2.4 – Il secondo e il terzo motivo, che possono essere congiuntamente esaminati, sono inammissibili per violazione della disposizione contenuta nell’art. 366 bis c.p.c., applicabili, ratione temporis, nel caso scrutinato.

In entrambi i motivi di ricorso, per come formulati, l’inammissibilità deriva dalla mancanza nelle censure dedotta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, di quel momento di sintesi (omologo al quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti in maniera da non generare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass., Sez. Un., 1 ottobre 2007, n. 20603).

2.5 – Al rigetto del ricorso consegue la condanna dei. ricorrenti al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 2 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2011

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