Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 890 del 17/01/2020

Cassazione civile sez. II, 17/01/2020, (ud. 29/10/2019, dep. 17/01/2020), n.890

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4807-2016 proposto da:

M.G., e B.N., rappresentati e difesi dagli

avvocati MARIA LEONE e FRANCO LEONE e domiciliati presso la

cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrenti –

contro

C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A.

TREVERSARI n. 55, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MARZANO,

rappresentato e difeso dall’avvocato BERARDINO CIUCCI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1314/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 02/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/10/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI CARMELO, che ha concluso per il rigetto del primo e secondo

motivo e per l’accoglimento del terzo motivo del ricorso;

udito l’avvocato GIULIANA MARTINELLI per parte ricorrente, in

sostituzione degli avvocati FRANCO LEONE e MARIA LEONE, la quale ha

concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 679/2004 il Tribunale de L’Aquila rigettava la domanda proposta da M.G. e B.N. nei confronti di C.F., da una parte, e C.L.L. e M.L. e L.A.M., dall’altra parte, volta ad ottenere l’accertamento del confine ai sensi dell’art. 950 c.c. e la condanna dei convenuti a rilasciare la porzione di terreno da essi occupata a seguito di sconfinamento. Il Tribunale, in particolare, riteneva inammissibile la domanda ex art. 950 c.c. in ragione della certezza del confine di fatto esistente in loco ed aggiungeva che, anche a voler qualificare l’azione come di rivendicazione, la stessa non meritava di essere accolta in ragione della carenza della prova del titolo originario di proprietà in capo agli attori.

A seguito di impugnazione proposta dagli originari attori, la Corte di Appello de L’Aquila riformava la prima decisione accogliendo la domanda di regolamento dei confini e condannando i convenuti al rilascio dell’area illecitamente occupata.

L’originario convenuto C.F. impugnava la decisione di seconde cure in quanto la Corte territoriale non aveva esaminato la domanda riconvenzionale da egli proposta in primo grado, volta ad ottenere l’accertamento dell’intervenuto acquisto a suo favore per usucapione dell’area in contestazione. Questa Corte, con sentenza n. 18870/2013, cassava la decisione di seconde cure, rilevando che la Corte territoriale non aveva condotto alcuna indagine sulla citata riconvenzionale, in particolare per verificare se il C. avesse fatto valere un acquisto anteriore a quello degli originari attori o meno. Nel primo caso infatti si sarebbe configurato un conflitto tra diversi titoli, con conseguente inquadramento della domanda nell’ambito dell’azione di rivendicazione.

Con la sentenza oggi impugnata, n. 1314/2015, la Corte di Appello de L’Aquila, pronunciando in sede di rinvio a seguito della sentenza n. 18870/2013 di questa Corte, rigettava l’appello proposto da M.G. e B.N. avverso la decisione di prime cure condannandoli alle spese dei vari gradi di giudizio. In particolare, la Corte territoriale riteneva in particolare che il C. avesse allegato di aver esercitato il possesso da data anteriore a quella dell’acquisto del M. e della B. e che quindi la domanda dovesse essere qualificata come di rivendicazione; che gli originari attori non avessero fornito la prova, pur attenuata, dell’esistenza di un valido titolo di acquisto anteriore all’inizio del possesso del C.; che i documenti prodotti a tal fine soltanto in sede di rinvio non fossero ammissibili in quanto relativi ad una eccezione mossa dal convenuto sin dal primo scritto difensivo. Inoltre, la Corte di Appello osservava che, anche a volerli considerare, detti documenti non costituivano prova certa dell’acquisto anteriore in capo agli originari attori.

Propongono ricorso per la cassazione di detta decisione M.G. e B.N. affidandosi a tre motivi. Resiste con controricorso C.F..

Il ricorso, chiamato originariamente all’adunanza camerale del 31.5.2017 innanzi la sesta sezione civile di questa Corte, è stato in quella sede rinviato a nuovo ruolo per la trattazione in pubblica udienza.

In prossimità dell’adunanza camerale i ricorrenti avevano depositato memoria.

In prossimità dell’udienza pubblica i ricorrenti hanno depositato ulteriore memoria fuori termine.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 74,87,345,394 c.p.c. e art. 1158 c.c. perchè la Corte di Appello avrebbe dichiarato inammissibile la produzione documentale eseguita in sede di rinvio, senza avvedersi che essa era in realtà già in atti sin dal primo grado del giudizio.

Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 948,950,1158,2697,2727 e 2729 c.c. e l’omessa e insufficiente motivazione perchè la Corte territoriale avrebbe erroneamente valutato le risultanze istruttorie e documentali acquisite agli atti delle fasi di merito, omettendo in particolare di considerare che l’inizio del possesso era stato collocato dal C. nei primi anni settanta, mentre il dante causa degli attori aveva acquistato il proprio diritto nel 1964.

Le due censure, che per la loro connessione meritano un esame congiunto, sono inammissibili.

La sentenza impugnata è infatti fondata su una doppia ratio; anche ammesso di poter superare la prima, relativa all’inammissibilità degli atti prodotti dagli odierni ricorrenti nel corso del giudizio di rinvio, resta ferma la seconda, non attinta dai motivi in esame, fondata sull’inidoneità del decreto pretorile di riconoscimento dell’intervenuta usucapione a passare in giudicato e, quindi, a costituire prova certa del diritto di proprietà. La Corte territoriale ha infatti affermato che “Peraltro si osserva, quanto alla prova dell’appartenenza del bene in questione al dante causa degli odierni resistenti, ovvero A.A., come il decreto pretorile sopra ha un’efficacia meramente presuntiva, non avendo il decreto stesso valore di sentenza ed essendo inidoneo a passare in giudicato (cfr. in tal senso Cass. Civ., sentenze 15 luglio 2011, n. 16283; 12 settembre 2003, n. 12343). All’epoca della sua emissione, ovvero in data 15 ottobre 1979, il convenuto ha allegato di aver già iniziato a possedere la porzione di terreno in contestazione, realizzandovi la recinzione sopra citata, con la conseguenza che la documentazione in esame non consentirebbe, comunque, di attribuire con certezza al dante causa l’appartenenza della predetta porzione di terreno per il periodo anteriore all’inizio del possesso eccepito dalla controparte, alla stregua delle indicazioni della giurisprudenza di legittimità sopra richiamate” (cfr. pag.5 della sentenza oggi impugnata).

In aggiunta, va anche evidenziata la carenza di specificità del secondo motivo, posto che la parte ricorrente non indica da quale elemento istruttorio esistente agli atti del giudizio di merito si trarrebbe la prova che l’acquisto dei suoi danti causa risalirebbe al 1964: la sentenza impugnata infatti, nel passo appena riportato, fa riferimento soltanto al decreto pretorile di accertamento dell’usucapione del 1979 e non al precedente titolo indicato dall’odierna parte ricorrente.

Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 91 c.p.c. perchè il giudice del rinvio, avendo respinto l’appello, non poteva liquidare le spese del primo grado. Ad avviso dei ricorrenti, infatti, quando il giudice del rinvio rigetta l’appello deve liquidare le sole spese inerenti alle fasi di impugnazione.

La doglianza è infondata.

Occorre ribadire e dare continuità al principio per cui “In tema di spese processuali, il giudice del rinvio, cui la causa sia stata rimessa anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, si deve attenere al principio della soccombenza applicato all’esito globale del processo, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato, sicchè non deve liquidare le spese con riferimento a ciascuna fase del giudizio, ma, in relazione all’esito finale della lite, può legittimamente pervenire ad un provvedimento di compensazione delle spese, totale o parziale, ovvero, addirittura, condannare la parte vittoriosa nel giudizio di cassazione – e, tuttavia, complessivamente soccombente – al rimborso delle stesse in favore della controparte” (Cass. Sez.1, Sentenza n. 20289 del 09/10/2015, Rv.637441; conf. Cass. Sez.3 Sentenza n. 7243 del 29/03/2006 Rv.588131). Nè potrebbe ipotizzarsi una qualsiasi ipotesi di sopravvivenza della sentenza di primo grado, ancorchè confermata all’esito dell’impugnazione, posto che la decisione del giudice di appello, in ragione dell’effetto sostitutivo di tale mezzo di gravame, priva in ogni caso di efficacia la sentenza di primo grado. Ne consegue che per effetto della cassazione della decisione di seconda istanza il giudice di rinvio è tenuto a regolare le spese dell’intero giudizio, a partire dal primo grado.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, va dichiarata la sussistenza, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dei presupposti processuali per l’obbligo di versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per l’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento in favore di parte controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200 di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali in ragione del 15%, iva e cassa avvocati come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della seconda civile, il 29 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2020

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