Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11018 del 31/05/2011
Cassazione civile sez. VI, 31/05/2011, (ud. 28/04/2011, dep. 31/05/2011), n.12018
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –
Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –
Dott. RORDORF Renato – Consigliere –
Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –
Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
D.N.A., quale ex liquidatore della DIODORO S.p.a., con
domicilio eletto in Roma, via Monte Zebio n. 28, presso l’Avv.
Troiani Jacopo Filippo, rappresentato e difeso dall’Avv. Plebani
Marco, come da procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
DIODORO S.p.a., fallita, in persona del curatore pro tempore, con
domicilio eletto in Roma, via Monte Zebio n. 32, presso l’Avv. Fabio
Accardo, rappresentata e difesa dall’Avv. D’Alesio Divinangelo, come
da procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
e contro
TI.REX s.r.l., con domicilio eletto in Roma, via Porta Pinciana n. 6,
presso l’Avv. Marcello Collavecchio, che la rappresenta e difende
unitamente all’Avv. Patrizio Cipriani, come da procura a margine del
controricorso;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di L’Aquila n.
303/09 depositata il 22 ottobre 2009.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
giorno 28 aprile 2011 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio
Zanichelli.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
D.N.A., nella sua qualità di ex liquidatore, ricorre per cassazione nei confronti della sentenza in epigrafe con la quale la Corte d’appello ha rigettato il suo reclamo avverso la sentenza dichiarativa del fallimento della Diodoro s.p.a. emessa in data 28 luglio 2007 dal Tribunale di Teramo.
Resistono con controricorso la curatela e l’intimata TI.REX s.r.l., creditrice istante.
La causa è stata assegnata alla camera di consiglio in esito al deposito della relazione redatta dal Consigliere Dott. Vittorio Zanichelli con la quale sono stati ravvisati i presupposti di cui all’art. 375 c.p.c..
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso di denuncia violazione di legge per essersi svolto il procedimento nei confronti dell’ultimo liquidatore della società dopo l’estinzione della medesima.
La censura è manifestamente infondata posto che il legale rappresentante dell’impresa estinta, quale è l’attuale ricorrente in quanto ultimo liquidatore della stessa, ha interesse non solo ad essere sentito in sede prefallimentare per le conseguenze, anche penali, che può avere nei suoi confronti la dichiarazione di fallimento (Cassazione civile, sez. 1, 27 settembre 2006, n. 21016) ma ha conseguentemente anche legittimazione ad impugnare detta dichiarazione e quindi ad essere parte nel giudizio, non potendo la sua difesa essere limitata alla fase non contenziosa.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione degli artt. 1260 e 1267 c.c. per avere la Corte d’appello ritenuta legittimata la creditrice istante TI.REX s.r.l. benchè i crediti dalla stessa vantati fossero stati ceduti sul presupposto che, trattandosi di cessione pro-solvendo, sarebbe stato comunque sussistente l’interesse ad agire.
Il motivo è inammissibile posto che la Corte territoriale ha rigettato il motivo di reclamo non solo per la ritenuta sussistenza dell’interesse ma anche perchè la cessione aveva avuto ad oggetto solo una parte del credito e questa autonoma ratio decidendi non è stata fatta oggetto di censura. Con il terzo motivo di ricorso di deduce carenza di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza di un credito in favore della creditrice istante. I motivo è inammissibile sia perchè di limita ad enunciare la sussistenza di controcrediti in favore della Diodoro di cui non è dato conoscere il grado di attendibilità sia comunque perchè richiede un’inammissibile valutazione in fatto difforme da quella operata dal giudice del merito sulla base degli stessi elementi di giudizio.
Il quarto motivo di ricorso è inammissibile in quanto con il medesimo si deduce contemporaneamente il vizio di violazione di legge e quello di difetto di motivazione, senza che sia dato intendere a quale di questi si riferisca la motivazione della censura.
Per le stesse ragioni è inammissibile anche il quinto motivo nell’ambito del quale, oltretutto, si richiede ancora una volta alla Corte una diversa valutazione degli elementi di giudizio in base ai quali il giudice del merito è giunto a ritenete la sussistenza di un credito in capo alla società istante.
Il sesto motivo con il quale si deduce ancora violazione di legge per avere il giudice a quo dedotto lo stato di insolvenza della società dall’incapacità di far fronte alla posizione debitoria con mezzi normali avendo a tal fine iniziato la cessione dei cespiti, mentre per le imprese in liquidazione tale stato si dovrebbe desumere dal solo sbilancio tra attività e passività è inammissibile. La Corte d’appello, infatti, ha ben chiarito che il tribunale aveva accertato che, tenuto conto dell’esiguità del presumibile ricavato delle cessioni, era evidente che l’impresa non era in grado neppure con quelle di far fronte alle proprie rilevanti esposizioni presso banche e fornitori evidenziando dunque una situazione di insolvenza ascrivibile anche ad una impresa in liquidazione, ed ha aggiunto che tale statuizione non era stata fatta oggetto di specifica censura ed era pertanto da considerarsi irrevocabile; solo ad abundantiam e “anche a voler prescindere da siffatta impostazione” (così la motivazione) la Corte d’appello ha altresì aggiunto di condividere il rilievo che la dismissione delle attività aziendali evidenziava lo stato di illiquidità dell’impresa. Ne consegue l’irrilevanza di tale seconda ratio decidendi posto che il ricorrente, per contestare i rilievo della definitività della statuizione sullo sbilancio tra attivo e passivo, si è limitato a sostenere genericamente che in realtà con il suo reclamo aveva contestato anche tale punto senza fornire tuttavia alcun dato testuale atto a contrastare la valutazione del giudice a quo.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione in favore dei resistenti delle spese de giudizio che liquida per ciascuno in complessivi Euro 2.200, di cui Euro 2.000 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 28 aprile 2011.
Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2011