Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11664 del 26/05/2011

Cassazione civile sez. lav., 26/05/2011, (ud. 03/03/2011, dep. 26/05/2011), n.11664

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – rel. Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

P.V. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA ROMEO ROMEI 23, presso lo studio dell’avvocato CAPUZZI

FILIPPO GIUSEPPE, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato FENZA MASSIMO, giusta procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore in proprio e quale

mandatario della SCCI SPA società di cartolarizzazione dei crediti

INPS, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso

l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli

avvocati CALIULO Luigi, ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 89/2009 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI del

4.3.09, depositata il 18/06/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/03/2011 dal Consigliere Relatore Dott. MAURA LA TERZA;

udito per il controricorrente l’Avvocato Luigi Caliulo che si riporta

agli scritti;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. IGNAZIO

PATRONE che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con la sentenza impugnata, depositata il 18 giugno 2009, la Corte d’appello di Cagliari rigettava l’opposizione alla cartella di pagamento notificata il 26.7.2004 dalla Bipiesse Riscossione portante un credito dell’Inps per l’omesso versamento dei contributi relativi a 4 lavoratori occupati in diversi periodi dal 30 aprile 2000 al 2 luglio 2003. La Corte territoriale disattendeva la tesi dell’opponente, per cui costoro avrebbero lavorato in attività occasionali per qualche giorno al mese con esenzione a dell’obbligo di contribuzione, ritenendo invece che costoro avevano lavorato in regime di part time verticale, stante l’elevato numero di giornate da ciascuno effettuate nei mesi di riferimento, come risultanti dallo stesso ricorso in opposizione. Poichè i contratti non erano stati stipulati in forma scritta, non si poteva applicare il regime contributivo ridotto previsto per il part time di cui alla L. n. 389 del 1989, art. 1 ma il regime contributivo ordinario previsto per il rapporto a tempo pieno.

Avverso detta sentenza il P. propone ricorso con due motivi, l’Inps resiste con controricorso con cui si eccepisce l’inammissibilità del ricorso;

Con il primo motivo si denunzia violazione della L. n. 389 del 1989, art. 1, comma 5 e L. n. 863 del 1984, art. 5. Con il secondo motivo si denunzia difetto di motivazione;

Letta la relazione resa ex art. 380 bis cod. proc. civ. di inammissibilità del ricorso;

Ritenuto che i rilievi di cui alla relazione sono condivisibili, perchè il primo motivo è inammissibile per mancanza del quesito di diritto, nonostante la censura riguardi la violazione di legge;

l’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, (applicabile, ai sensi dell’art. 27, comma 2, di detto decreto, ai ricorsi per cassazione proposti avverso sentenze rese pubbliche in data successiva all’entrata in vigore del decreto stesso, come nella specie) stabilisce che l’illustrazione di ciascun motivo di ricorso proposto ai sensi del precedente art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3, e 4, debba concludersi, a pena d’inammissibilità del motivo, con la formulazione di un quesito di diritto.

Attraverso questa specifica norma, in particolare, il legislatore si propone l’obiettivo di garantire meglio l’aderenza dei motivi di ricorso (per violazione di legge o per vizi del procedimento) allo schema legale cui essi debbono corrispondere. La formulazione del quesito funge da prova necessaria della corrispondenza delle ragioni del ricorso ai canoni indefettibili del giudizio di legittimità, inteso come giudizio d’impugnazione a motivi limitati. Ne consegue non solo che la formulazione del quesito di diritto previsto da detta norma deve necessariamente essere esplicita, in riferimento a ciascun motivo di ricorso (cfr., in tal senso, Sez. un, n. 7258 del 2007, e Cass. n. 27130 del 2006), ma anche che essa non deve essere generica ed avulsa dalla fattispecie di cui si discute (cfr. Sez. un. n. 36 del 2007), risolvendosi altrimenti in un’astratta petizione di principio, perciò inidonea tanto ad evidenziare il nesso occorrente tra la singola fattispecie ed il principio di diritto che il ricorrente auspica sia enunciato, quanto ad agevolare la successiva enunciazione di tale principio, ad opera della Corte, in funzione nomofilattica. Inoltre la Corte, con la sentenza 26 marzo 2007 n. 7258 delle Sezioni unite, ha affermato che la disposizione non può essere interpretata nel senso che il quesito di diritto si possa desumere implicitamente dalla formulazione del motivi di ricorso, perchè una tale interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma; Manifestamente infondato è il secondo motivo. Al riguardo si rileva in primo luogo che manca il momento di sintesi prescritto dal medesimo art. 366 bis, inoltre si critica la sentenza impugnata deducendo che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte, le giornate lavorate erano in numero molto limitato e si cita solo l’esempio di uno dei quattro lavoratori, in relazione peraltro solo ad alcuni mesi. Così formulato il motivo pecca per autosufficienza, sia perchè non è precisato quale sarebbe la fonte dei fatti dedotti, sia perchè nulla si dice in relazione agli altri tre lavoratori, nè a tutti gli altri mesi dal 2000 al 2003.

Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile e le spese del giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro trenta/00, oltre Euro tremila/00 per onorari con accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 3 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2011

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