Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11284 del 23/05/2011
Cassazione civile sez. I, 23/05/2011, (ud. 27/04/2011, dep. 23/05/2011), n.11284
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VITRONE Ugo – rel. Presidente –
Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
S.N., elettivamente domiciliato in Roma, Via
Crescenzio, n. 20, presso l’avv. TRALICCI Giulia che lo rappresenta e
difende per procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del ministro in carica,
elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, presso
l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende per
legge;
– controricorrente –
avverso il decreto della Corte d’Appello di Perugia n. 70, pubblicato
il 15 febbraio 2008;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 27
aprile 2011 dal Relatore Pres. Ugo VITRONE;
udito l’avvocato dello Stato Francesco SCLAFANI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto del 12 novembre 2007 – 15 febbraio 2008 la Corte d’Appello di Perugia rigettava il ricorso proposto da S. N. per ottenere il riconoscimento di un’equa riparazione per la non ragionevole durata del processo contro di lui promosso con ricorso del maggio 1997 dinanzi al Giudice di Pace di Roma e definito dalla Corte di Cassazione con sentenza del 15 marzo 2006. Osservava la Cor te che dall’inizio del giudizio sino alla sua definizione erano decorsi otto anni e quattro mesi dai quali dovevano detrarsi diciotto mesi occupati dallo S. per la proposizione delle impugnazioni sicchè non era ravvisabile nella specie alcuna lesione del diritto alla ragionevole durata del processo che potesse giustificare il riconoscimento di un’equa riparazione.
Contro il decreto ricorre per cassazione S.N. con due motivi.
Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente si duole del calcolo della durata del processo presupposto posto a fondamento del decreto impugnato e a conclusione dell’esposizione delle censure articolate formula un duplice quesito di diritto così formulato: “dica la Corte se il momento iniziale del procedimento coincida con la notifica dell’atto introduttivo o, al più tardi, con la prima udienza e se debba riconoscersi il diritto all’equo indennizzo nel caso in cui il ritardo nella definizione del processo sia stato inferiore all’anno”.
La censura è inammissibile per l’assoluta genericità del quesito che è formulato in guisa di me ra interrogazione teorica senza riferimento alcuno alla vicenda processuale e non consente perciò al giudice di legittimità di desumere le conseguenze concrete che il suo accoglimento comporterebbe sulla domanda di equa riparazione, e ciò in violazione del disposto dell’art. 366 bis cod. proc. civ., il quale prescrive che il quesito sia formulato in termini tali da consentire di per sè solo la riforma del decreto impugnato.
Con il secondo motivo il ricorrente censura la disposta condanna alle spese giudiziali in favore della parte vittoriosa e sostiene che essa sarebbe contrasto con la Convenzione CEDU che non contiene alcuna istituto affine.
La censura non ha fondamento in quanto nel giudizio di equa riparazione per la non ragionevole durata del processo non ricorre un generale esonero dall’onere delle spese a carico del soccombente essendo il giudice vincolato all’applicazione delle norme del codice di rito in forza del richiamo operato dalla L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 4. Va altresì osservato che dalla ratifica della Convenzione CEDU non discende alcun obbligo a carico del legislatore nazionale di conformare il processo di equa riparazione negli stessi termini previsti, quanto alle spese, per i giudizi dinanzi alla Corte europea, senza che ciò comporti per i diritti del ricorrente limitazioni più ampie di quelle previste dalla stessa Convenzione (Cass. 18 giugno 2007, n. 14053).
In conclusione il ricorso non può trovate accoglimento e deve essere respinto.
Le spese giudiziali seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese giudiziali che liquida in complessivi Euro 800,00 per onorari oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 27 aprile 2011.
Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2011