Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33589 del 18/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 18/12/2019, (ud. 26/06/2019, dep. 18/12/2019), n.33589

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 12532/2014 R.G. proposto da:

Cirio Finanziaria s.p.a., in amministrazione straordinaria ex D.Lgs.

n. 270 del 1999, in persona dei commissari pro tempore,

rappresentata e difesa dall’avv.to Gianluca Brancadoro, domiciliata

presso lo studio, via Borgognona 47, Roma;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio

n. 278/21/13 del 24 settembre 2013, depositata il 14 novembre 2013,

non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 giugno

2019 dal Consigliere Dott. Novik Adet Toni.

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. PEDICINI ETTORE, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

Uditi gli avvocati GIANLUCA BRANCADORO per la ricorrente e ALFONSO

PELUSO per l’Avvocatura Generale dello Stato.

Fatto

1. Cirio Finanziaria S.p.A., in amministrazione straordinaria (di seguito, la società), ha impugnato l’avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle entrate, sulla base di rilievi contenuti nel PVC della Guardia di Finanza, ha accertato una maggiore IRPEG per l’anno 2002, in conseguenza di omessa dichiarazione dei redditi, nonchè di svalutazioni e minusvalenze non deducibili.

2. La Commissione tributaria provinciale di Roma, con sentenza n. 21/29/12, depositata il 26 gennaio 2012, ha respinto il ricorso della società.

3. La Commissione regionale del Lazio (di seguito, CTR) ha rigettato l’impugnazione proposta dalla società. In particolare, ha osservato che: a) i giudici di primo grado “sono riusciti a reperire motivi di natura economica”, che non giustificavano le operazioni di svalutazioni di partecipazioni e di omissioni tra società facenti capo allo stesso gruppo finanziario e che costituivano abuso del diritto (“per la maggior parte sono in contrasto con quanto stabilito dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis convertito con modificazioni nella L. n. 265 del 2002″, per cui tutta l’operazione, di sicuro ha determinato un risparmio di imposta”. I primi giudici, infatti, “hanno giustificato il ricorso ritenendo valide le prove prodotte dall’ufficio circa l’aggiramento di obblighi e/o divieti previsti dall’ordinamento”; b) per realizzare l’abuso del diritto era sufficiente anche un singolo atto inteso ad ottenere un risparmio fiscale, “pertanto alla luce di quanto sopra vengono risolte e avvalorate tutte le argomentazioni prodotte nel ricorso introduttivo”; c) la fattispecie “in conclusione riguardava una serie di operazioni contabili che avevano determinato indebite svalutazioni e omissioni verificatesi all’interno del medesimo gruppo societario, che hanno prodotto la realizzazione di minusvalenze da svalutazione tali da generare una riduzione del patrimonio derivanti dalla distribuzione di riserve di utili, per cui risulta accertata in punto di fatto l’inconsistenza delle ragioni economiche addotte, per giustificare l’operazione di fusione”.

4. La società ha proposto ricorso per ottenere la cassazione della sentenza sulla base di tre motivi. L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso. Con memoria 19 giugno 2019, la società ha ulteriormente illustrato le proprie ragioni.

Diritto

1. Con il primo motivo, la società deduce violazione e/o falsa applicazione del D.L. n. 209 del 2002, art. 1, comma 1, lett. b) convertito con modificazioni nella L. n. 265 del 2002, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis. Premesso che la normativa di cui si assume l’aggiramento (riclassificazione da immobilizzazioni finanziarie all’attivo circolante delle partecipazioni al capitale di alcune società) è quella che rateizzava la deduzione delle minusvalenze su partecipazioni, si sostiene che il giudice di appello non avrebbe considerato che la società, in amministrazione straordinaria, aveva dimostrato che si trattava di partecipazioni che dovevano essere dismesse per consentire alla stessa di far fronte alla sua situazione di insolvenza in attività strategiche. La riclassificazione da immobilizzazioni finanziarie in attivo circolante era necessaria per dismettere beni che in origine erano stati contabilizzati come “durevoli”, ma che poi era divenuto necessario dismettere nel breve periodo. In subordine, attesa la legittimità della svalutazione, sarebbe necessario permettere alla società l’azione di restituzione della maggiore imposta corrisposta indebitamente.

La censura è infondata. Le svalutazioni in contestazione riguardano le partecipazioni della società al capitale di S.S. Lazio s.p.a., Cirio Immobiliare s.p.a., Panificio Moderno s.p.a, Cirio Agricola s.p.a., Cirio Del Monte Portugal SA, Cirio Lazio Immobiliare s.r.l. Assume la società che gli eventi che nel 2003 avevano determinato la riclassificazione delle partecipazioni nelle menzionate società da immobilizzazioni finanziarie ad attivo circolante si erano verificati tutti nel 2002 ed avevano imposto la dismissione delle partecipazioni. L’effettività della dismissione escludeva quindi l’applicabilità del D.L. n. 209 del 2002, art. 1, comma 1, lett. b). Osta all’interpretazione sostenuta l’art. 1 menzionato. Disposizioni in materia di fiscalità d’impresa, ispirato a finalità antielusive, secondo cui “1. A decorrere dal periodo d’imposta avente inizio successivamente al 31 dicembre 2001 e chiuso successivamente al 31 agosto 2002, in deroga alle disposizioni di cui alla L. 27 luglio 2000, n. 212:

a) ai fini della determinazione del valore minimo delle partecipazioni in società non negoziate in mercati regolamentati di cui al testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 61, comma 3, e art. 66, comma 1-bis, non si tiene conto delle diminuzioni patrimoniali derivanti dalla distribuzione di utili, nonchè delle diminuzioni patrimoniali derivanti da costi ed oneri di qualsiasi natura non fiscalmente deducibili, in tutto o in parte, per la società partecipata. Per le partecipazioni in società non residenti la deducibilità fiscale è determinata applicando le disposizioni del predetto testo unico, approvato con D.P.R. n. 917 del 1986, art. 127-bis, comma 6, secondo periodo;

b) ai soli fini fiscali, le minusvalenze non realizzate relative a partecipazioni che costituiscono immobilizzazioni finanziarie sono deducibili in quote costanti nell’esercizio in cui sono state iscritte e nei quattro successivi”.

Pertanto, considerato che non è contestato che nel 2002 i cespiti in questione erano iscritti nelle immobilizzazioni finanziarie, le addotte ragioni economiche per la riclassificazione in attivo circolante si pongono in contrasto con il dato normativo che consente la deducibilità della minusvalenza in quote costanti.

La domanda subordinata non è scrutinabile in questa sede per la sua novità.

2. Con il secondo motivo di ricorso, la società deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c. in combinato disposto con gli artt. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c.. Si sostiene che il giudice di appello avrebbe reso una sentenza apparente utilizzando formule di stile, avendo omesso di valutare le complesse questioni sottese alla deducibilità della minusvalenza contabilizzata a seguito della svalutazione della partecipazione al capitale della società Arlecchino distribuzione Srl in liquidazione e evocando una inesistente fusione.

La censura è infondata. Si osserva che “La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526 01). Ciò posto, il Collegio è chiamato a stabilire se le argomentazioni adoperate dalla CTR siano idonee, sul piano logico formale e della correttezza giuridica, a dare contezza dell’iter decisionale. Ritiene il

Collegio che ancorchè alcuni istituti giuridici richiamati in sentenza, non siano pertinenti, il giudice di appello, richiamato il corrispondente motivo di gravame che aveva contestato l’applicabilità del D.L. n. 209 del 2002, art. 1, ha fatto esplicito richiamo a operazioni contabili che “hanno prodotto la realizzazione di minusvalenze da svalutazione tali da generare una riduzione del patrimonio derivanti dalla distribuzione di riserve di utili”. In questo senso, la motivazione del giudice del gravame ha ritenuto che l’operazione posta in essere si ponesse in contrasto con la lett. a) dell’art. 1 cit. e fosse stata posta in essere in mancanza di ragioni economiche apprezzabili; in questo senso, ha dato conto di aver valutato criticamente sia il provvedimento censurato che le censure proposte.

3. Con il terzo motivo di ricorso, la società deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c. in combinato disposto con gli artt. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c. per aver il giudice di appello omesso la motivazione sulla rideterminazione del reddito realizzato dalla controllata indiretta “Bombril Overseas Inc.”.

Il motivo è fondato. La ricorrente ha dato atto, mediante la riproduzione del motivo di appello di aver impugnato la sentenza di primo grado anche in relazione alla illegittima rettifica del reddito realizzato dalla controllata estera Bombril Overseas Inc.” operata dall’ufficio.

In particolare, la società aveva dimostrato che i dati di bilancio ufficiali avevano confermato integralmente il valore da essa dichiarato ed utilizzato all’epoca della dichiarazione, sicchè nessun dato contrario emergeva dalle due lettere rinvenute dalla polizia giudiziaria.

Sul punto, la Commissione regionale omette qualsiasi considerazione.

4. In conclusione il ricorso deve essere accolto solo in relazione al 3 motivo e rigettato nel resto. La sentenza della CTR del Lazio va dunque cassata con rinvio ad altra sezione della medesima CTR, per ulteriore esame in relazione al profilo accolto, oltre che per il regolamento delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi due motivi di ricorso; accoglie il terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, in ordine al profilo accolto, innanzi ad altra sezione della medesima CTR, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 25 giugno 2019.

Depositato in cancelleria il 18 dicembre 2019

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