Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32476 del 12/12/2019

Cassazione civile sez. III, 12/12/2019, (ud. 30/01/2019, dep. 12/12/2019), n.32476

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14689-2017 proposto da:

CREDIFARMA SPA, nella qualità di mandataria e procuratrice speciale

dei Dott. V.A., + ALTRI OMESSI, domiciliati ex lege

in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato ANDREA BATTISTELLA;

– ricorrenti

contro

ASL N. (OMISSIS) DI LANCIANO VASTO E CHIETI, in persona del Direttore

Generale Dott. F.P., elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA SAVOIA 84, presso lo studio dell’avvocato DANIELE MICONI,

rappresentata e difesa dall’avvocato DUILIO CRISCI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 559/2017 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 05/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/01/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI CARMELO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MARCELLO DI MEO per delega;

udito l’Avvocato DUILIO CRISCI;

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La società Credifarma S.p.a. ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 559/17, del 5 aprile 2017, della Corte di Appello de L’Aquila, che – accogliendo il gravame principale esperito dall’Azienda Sanitaria Locale n. (OMISSIS) di Lanciano, Vasto e Chieti (d’ora in poi, “A.S.L. n. (OMISSIS)”) avverso sentenza resa dal Tribunale di Chieti n. 425/10, del 23 giugno 2010, nonchè, per quanto qui ancora di interesse, respingendo quello incidentale proposto dall’odierna ricorrente – rigettava la domanda di essa Credifarma volta, in via di principalità, alla riscossione degli interessi di cui al D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, in relazione all’inadempimento della predetta A.S.L. n. (OMISSIS) nel pagamento delle somme da essa dovute con riferimento all’erogazione dei farmaci spettanti agli assistiti convenzionati, ovvero, in subordine, al risarcimento del maggior danno ex art. 1224 c.c., comma 2, in forza del medesimo titolo.

2. Riferisce, in punto di fatto, la ricorrente di aver adito il Tribunale teatino (nella qualità di mandataria e procuratrice speciale di numerose persone fisiche e giuridiche – meglio identificate nell’epigrafe del ricorso – esercenti, tutte, l’attività di impresa farmaceutica), sul presupposto che la predetta A.S.L. n. (OMISSIS) avesse provveduto, con sistematico ritardo rispetto alla scadenza stabilita dall’art. 9 dell’accordo collettivo di cui al D.P.R. 21 febbraio 1989, n. 94, art. 9 al pagamento delle somme portate dalle distinte contabili relative ai mesi da luglio a dicembre 2006, quantunque regolarmente inviatele dai farmacisti interessati.

Deduce, altresì, la ricorrente che in conseguenza della sistematica inosservanza, da parte della A.S.L. n. (OMISSIS), dei termini mensili di pagamento, i titolari di farmacia interessati erano stati costretti a ricorrere, per far fronte alle inderogabili esigenze delle loro aziende, alle anticipazioni – da parte di essa Credifarma, nella sua qualità di società di servizi finanziari per le farmacie – degli importi mensili di loro spettanza.

In particolare, i predetti farmacisti, per le anticipazioni loro concesse sulle somme portate dalle distinte contabili relative, come detto, ai mesi da luglio a dicembre 2006, avevano corrisposto all’odierna ricorrente, a titolo di interessi sul finanziamento, le somme risultanti dalle fatture emesse a loro carico e successivamente prodotte da Credifarma a sostegno della domanda indirizzata al giudice di prime cure.

Su tale presupposto, pertanto, l’odierna ricorrente chiedeva al Tribunale di Chieti di voler condannare la convenuta A.S.L. n. (OMISSIS) alla liquidazione degli interessi di mora di cui al già citato D.Lgs. n. 231 del 2002, per l’importo complessivo di Euro 122.469,44, oltre rivalutazione ed interessi, ovvero, in subordine, al risarcimento dei danni da mora, ex art. 1224 c.c., comma 2, per il minor importo di Euro 87.567,08.

2.1. L’adito Tribunale, rigettata la domanda proposta in via di principalità, accoglieva, invece, quella subordinata.

In particolare, il rigetto della domanda principale è stato motivato sul rilievo che i farmacisti, alle date di pagamento delle distinte contabili, avevano già ottenuto il finanziamento da parte di Credifarma, escludendo il giudice di prime cure, per tali ragioni, la debenza degli interessi di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002. L’accoglimento della domanda subordinata, invece, è stato motivato in considerazione del fatto che i farmacisti avevano dovuto, comunque, richiedere alla società finanziaria l’anticipazione degli importi mensili di cui erano creditori verso le ASL, pagando il costo di tale finanziamento sotto forma di interessi.

2.2. Avverso tale decisione proponevano appello, in via di principalità, la A.S.L. n. (OMISSIS), e, in via incidentale, la Credifarma, la quale, in particolare, si doleva del rigetto della domanda principale, finalizzata a conseguire la maggior somma (rispetto a quella liquidata in accoglimento della domanda subordinata) a titolo di interessi di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002.

La Corte aquilana, nello scrutinare in via preliminare il gravame incidentale (attribuendogli carattere pregiudiziale, giacchè afferente alla domanda proposta in via di principalità da Credifarma), lo rigettava. In particolare, essa negava la possibilità di applicare gli interessi di cui al citato decreto legislativo, evidenziando come “i farmacisti, già prima della scadenza del termine per il pagamento delle fatture, avessero fatto ricorso ai finanziamenti da parte di Credifarma, sicchè non avevano subito alcun pregiudizio diretto dal ritardato pagamento delle prestazioni farmaceutiche”. Rilevava, poi, il giudice di appello – con ulteriore motivazione – come, in “ogni caso”, il saggio di interessi previsto dal D.Lgs. n. 231 del 2002 risulti “inapplicabile ai crediti derivanti dall’erogazione dell’assistenza farmaceutica per conto delle ASL, atteso che tale rapporto deriva da una fonte, non negoziale, ma legale ed amministrativa, ossia dal D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8, comma 2 e dal relativo regolamento, che ne esclude la riconducibilità al paradigma della transazione commerciale”.

Quanto, invece, all’appello principale della ASL (con il quale essa, come detto, aveva gravato la decisione del giudice di prime cure, laddove aveva accolto la domanda risarcitoria proposta in via subordinata da Credifarma), lo stesso veniva ritenuto fondato in relazione ai primi due suoi motivi, con assorbimento del terzo.

Era, infatti, accolto il primo motivo di appello, ritenendo la Corte abruzzese che il Tribunale teatino fosse incorso in un vizio di motivazione (in particolare, per contraddittorietà della stessa), non avendo “spiegato affatto la ragione per cui i farmacisti, avendo comunque ottenuto il finanziamento richiesto a Credifarma prima del termine di scadenza delle fatture inviate all’Azienda, non abbiano per questo subito alcun danno dal ritardato pagamento delle prestazioni farmaceutiche, con la conseguente negazione del diritto agli interessi moratori ex D.Lgs. n. 231 del 2002, laddove, a fronte della stessa situazione fattuale, valutata in modo diverso ed anzi opposto, abbiano invece ricevuto pregiudizio dal ritardato pagamento, con la conseguente affermazione del diritto al risarcimento del maggior danno ex art. 1224 c.c.” Inoltre, la sentenza rilevava come “una forma di finanziamento per le farmacie risulti già prevista dal D.P.R. n. 371 del 1988, art. 8, comma 4”, e ciò “tramite la corresponsione, alle farmacie che ne abbiano fatto richiesta entro il quinto giorno del mese di gennaio, di un acconto pari al 5% di un dodicesimo dei corrispettivi maturati nell’anno precedente, senza il pagamento di interessi o spese”, ciò che – a dire del giudice di appello – “consente alle farmacie stesse di avere quella liquidità necessaria a svolgere la propria attività senza ricorrere alle anticipazioni di banche o finanziarie come Credifarma”.

Fondato, altresì, è stato ritenuto anche il secondo motivo di gravame, e ciò “in relazione ad entrambi i profili dedotti”.

Infatti, il giudice d’appello ha, per un verso, rilevata la mancanza della costituzione in mora, escludendo che nel caso di specie possa ravvisarsi un’ipotesi di mora “ex re”, visto che l’art. 1219 c.c., comma 1, n. 3), non è applicabile ai pagamenti di somme di denaro effettuati dalla pubblica amministrazione e dagli enti pubblici, ivi comprese le ASL. Per altro verso, la Corte territoriale ha rilevato che la fattispecie “de qua” risulta regolata dal D.P.R. 8 luglio 1998, n. 371, il quale si pone alla stregua di una “lex specialis” rispetto all’art. 1224 c.c., con la conseguenza che, nel caso di ritardato pagamento da parte delle ASL di quanto dovuto alle farmacie in esecuzione dell’accordo collettivo stipulato ai sensi del medesimo D.P.R., non potranno essere riconosciuti interessi superiori a quelli legali.

3. Avverso la decisione della Corte aquilana ha proposto ricorso per cassazione la società Credifarma, sulla base di due motivi, illustrazione dei quali è, tuttavia, preceduta da un’osservazione preliminare, rilevante ai fini del presente giudizio, giacchè vale a definire i limiti di intervento di questa Corte.

Rileva, infatti, l’odierna ricorrente che il secondo giudice “ha motivato l’accoglimento dell’appello proposto dalla USL” sulla base di “un unico fondamentale” – e a suo dire errato – “ragionamento”, vale a dire che “l’invio delle comunicazioni di messa in mora”, effettuato da essa Credifarma nella sua qualità di mandataria all’incasso, “non potrebbe considerarsi valida messa in mora”.

3.1. Ciò premesso, con il primo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), – si deduce “nullità parziale della sentenza per violazione e/o falsa applicazione di norme processuali”, in particolare “per extrapetizione e ultrapetizione”, oltre che per “violazione del principio del contraddittorio e omessa pronuncia sui motivi di appello”, il tutto in violazione degli artt. 99,101,112,115,116,342 e 345 c.p.c.

La ricorrente assume come il giudice di appello si sia, erroneamente, pronunciato d’ufficio (e dunque in supposta violazione delle norme di diritto testè menzionate), allorchè ha escluso che ad essa Credifarma spettassero gli interessi e il maggior danno, pervenendo a tale conclusione non sul rilievo che gli atti di messa in mora posti in essere dai farmacisti interessati avessero un contenuto inidoneo allo scopo, come era stato ipotizzato dalla appellante A.S.L. n. (OMISSIS), ma perchè l’invio e la ricezione delle raccomandate dirette a tale fine si sarebbe perfezionato prima che della scadenza del termine, previsto “ex lege”, entro cui la medesima azienda sanitaria locale avrebbe dovuto adempiere spontaneamente al pagamento della sorte capitale.

3.2. Il secondo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), – ipotizza violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1184,1219,1282,1324 e 1362 c.c., oltre che dell’art. 9 dell’accordo nazionale reso esecutivo con D.P.R. n. 21 febbraio 1989, n. 94, nonchè “omessa e comunque insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia”.

Sul presupposto che l’anticipazione delle somme spettanti alle singole farmacie, ad opera di essa Credifarma, risulta avvenuta dietro riconoscimento di interessi convenzionali, sicchè l’ammontare degli stessi costituirebbe il maggior danno patito dai farmacisti che si sono visti costretti a ricorrere al credito dalla stessa erogata, l’odierna ricorrente censura la sentenza impugnata, innanzitutto, per avere confuso la spedizione delle ricette con l’inoltro delle distinte, non essendosi, pertanto, avveduta che ciascuna scadenza si riferiva alle ricette spedite il mese precedente, come si evinceva dalla corrispondenza dei relativi importi, nonchè dalle ricevute di avvenuta consegna sottoscritte dalla stessa azienda sanitaria.

Errata, pertanto, sarebbe la decisione impugnata, laddove ha dichiarato inefficaci gli atti di costituzione in mora perchè antecedenti la data di scadenza dei pagamenti, senza considerare che ciascuno di tali atti faceva riferimento, invece, agli interessi successivi alla scadenza suddetta, dopo la quale essi erano stati inviati con indicazione di ciascun credito, nonchè del periodo di riferimento e delle relative distinte già inviate.

Sarebbe stato, in questo modo disatteso il principio, enunciato da questa Corte, secondo cui, “al debito di una USL nei confronti di un farmacista, la scadenza dell’obbligazione di pagamento si verifica, ai sensi dell’art. 10 dell’Accordo Nazionale tra USL e farmacisti del 27 giugno 1979 reso esecutivo con D.P.R. n. 15 settembre 1979 e del D.P.R.21 febbraio 1989, n. 94, art. 9 di identico contenuto, il venticinquesimo giorno dello stesso mese in cui avviene (entro il quindicesimo giorno) la trasmissione da parte della farmacia delle ricette e della relativa distinta riepilogativi, e quindi del mese successivo a quello in cui è avvenuta la spedizione delle ricette (per tale intendendosi l’esecuzione della prescrizione medica formulata nella ricetta con la consegna dei medicinali all’assistito e con la tariffazione mediante gli adempimenti formali previsti) di cui si chiede il pagamento definitivo e dello stesso mese della spedizione delle ricette per cui si chiede la corresponsione dell’acconto” (sono citate Cass. Sez. 1, sent. 30 agosto 2007, n. 18308, ed altre conformi).

Di qui, pertanto, la dedotta violazione di legge nonchè il vizio motivazionale da cui sarebbe affetta la sentenza impugnata.

4. La A.S.L. n. (OMISSIS) ha resistito, con controricorso, all’avversaria impugnazione, chiedendone la declaratoria di inammissibilità ovvero, in subordine, di infondatezza.

In particolare, quanto al primo motivo di ricorso, se ne deduce l’inammissibilità, anche ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), giacchè la ricorrente non avrebbe individuato quali siano le parti della sentenza impugnata oggetto di censura. In ogni caso, poi, le censure articolate sarebbero prive di correlazione con quanto effettivamente deciso dalla Corte abruzzese, la quale ha escluso di poter soddisfare la domanda proposta da Credifarma, e ciò non solo sul presupposto che, nel caso specie, non ricorra un’ipotesi di mora “ex re”, ma anche perchè la fattispecie oggetto di giudizio sarebbe assoggettata alla disciplina speciale di cui al già più volte citato D.P.R. n. 371 del 1998.

In merito, invece, al secondo motivo di ricorso, si evidenzia come, in base al vigente e testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), il sindacato sulla motivazione sia ormai ammissibile soltanto nel caso in cui la stessa presenti carattere apparente.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Il ricorso va rigettato.

6. In via preliminare, tuttavia, occorre ribadire – in conformità con quanto già rilevato nell’illustrazione del contenuto del presente ricorso (cfr. “supra”, p. 3.) – che esula dall’esame di questa Corte la questione relativa all’applicabilità, alla presente fattispecie, degli interessi previsti dal D.Lgs. n. 231 del 2002.

Siffatta questione, per vero, oggetto della domanda principale già proposta da Credifarma innanzi al Tribunale di Chieti, nonchè reiterata con appello incidentale (stante il suo rigetto da parte del primo giudice, che accoglieva, invece, la domanda subordinata di riconoscimento del “maggior danno” ex art. 1224 c.c., comma 2), è stata rigettata dalla Corte aquilana, con statuizione di inapplicabilità degli interessi di mora D.Lgs. n. 231 del 2002, ex art. 2 e ciò perchè il rapporto tra A.S.L. e farmacisti, per l’acquisto dei farmici, non può configurare una transazione commerciale; statuizione, questa, non impugnata nella presente sede di legittimità e, quindi, da ritenersi coperta da giudicato.

Invero, l’odierno atto di impugnazione proposto da Credifarma sì indirizza esclusivamente avverso l’accoglimento del gravame principale già esperito dalla A.S.L. n. (OMISSIS), come reso evidente anche dalla premessa operata dall’odierna ricorrente nella “sintesi dei motivi” (pag. 10 del ricorso) che precede la loro specifica illustrazione. Ivi, infatti, si afferma che la sentenza oggi censurata si basa “su un unico fondamentale ragionamento” (da Credifarma ritenuto errato), vale a dire che “l’invio delle comunicazioni di messa in mora”, effettuato dall’odierna ricorrente, nella sua qualità di mandataria all’incasso, “non potrebbe considerarsi valida messa in mora”.

Che tale sia, nella stessa prospettazione della ricorrente, la sola “ratio” qui utilmente scrutinabile della decisione di rigetto della domanda di riconoscimento del “maggior danno” – “ratio” che i motivi di ricorso contestano nei termini dianzi illustrati, e di cui meglio si dirà di seguito – è confermato, del resto, dalla circostanza che Credifarma neanche formula specifiche doglianze in relazione alle affermazioni (pure aggiuntivamente svolte dal giudice di appello, e ciò in accoglimento del secondo motivo del gravame principale) circa l’impossibilità di configurare, nel presente caso, un’ipotesi di “mora ex re”, ovvero circa la “esaustività” degli interessi legali, giusta il disposto del D.P.R. n. 371 del 1998, art. 8, comma 5. Si tratta, all’evidenza, di considerazioni ultronee, non esaminabili da questa Corte e, come detto, neppure specificamente censurate – non a caso – da Credifarma.

E’, pertanto, alla luce del giudicato interno formatosi all’esito del grado di appello che devono essere esaminati i motivi di ricorso.

6.1. Ciò detto, il primo motivo non è fondato.

6.1.1. Esso, in sostanza, ipotizza – sotto vari angoli visuali – la violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, senza, però, cogliere nel segno.

La Corte abruzzese, invero, non ha affatto esorbitato dai limiti della propria “potestas iudicandi”, considerato che “il giudizio di appello, pur limitato all’esame delle sole questioni oggetto di specifici motivi di gravame, si estende ai punti della sentenza di primo grado che siano, anche implicitamente, connessi a quelli censurati, sicchè non viola il principio del “tantum devolutum quantum appellatum” il giudice di secondo grado che fondi la propria decisione su ragioni diverse da quelle svolte dall’appellante nei suoi motivi, ovvero esamini questioni non specificamente da lui proposte o sviluppate, le quali, però, appaiano in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi stessi e, come tali, comprese nel “thema decidendum” del giudizio” (“ex multis”, Cass. Sez. Lav., sent. 3 aprile 2017, n. 8604, Rv. 643897-01).

In questa prospettiva, dunque, non coglie nel segno la censura della ricorrente, secondo cui, mentre l’appellante A.S.L. n. (OMISSIS) avrebbe solo contestato l’assenza, negli atti di costituzione in mora, di un contenuto “idoneo allo scopo” (solo su tali basi, dunque, assumendo di non essere tenuta al pagamento del “maggior danno” ex art. 1224 c.c., comma 2), la Corte territoriale sarebbe pervenuta alla medesima conclusione, ma sul diverso rilievo che l’invio delle raccomandate, perchè effettuato prima che scadesse il termine “ex lege” entro cui la ASL avrebbe dovuto spontaneamente adempiere al pagamento della sorte capitale, escludeva la configurabilità di un danno risarcibile. In realtà, così pronunciandosi, il giudice di appello non ha fatto altro se non individuare – in diretta connessione con il “thema decidendum” devoluto al suo esame – quale fosse la ragione dell’inidoneità dell’atto di costituzione in mora a giustificare la pretesa volta al riconoscimento del “maggior danno”.

6.2. Il secondo motivo è, invece, inammissibile.

6.2.1. Tale esito si impone, innanzitutto, laddove esso deduce un supposto vizio motivazionale della sentenza impugnata, peraltro prospettato (anche) nei termini – non più attuali – della “insufficienza” della stessa.

Al riguardo, infatti, va notato che ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – nel testo “novellato” dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile “ratione temporis” al presente giudizio) – il sindacato di questa Corte è destinato ad investire la parte motiva della sentenza solo entro il “minimo costituzionale” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01, nonchè, “ex multis”, Cass. Sez. 3, ord. 20 novembre 2015, n. 23828, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16502, Rv. 637781-01).

Lo scrutinio di questa Corte è, dunque, ipotizzabile solo in caso di motivazione “meramente apparente”, configurabile, oltre che nell’ipotesi di “carenza grafica” della stessa, quando essa, “benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento” (Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01), in quanto affetta da “irriducibile contraddittorietà” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940, Rv. 645828-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 25 settembre 2018, n. 22598, Rv. 650880-01), ovvero connotata da “affermazioni inconciliabili” (da ultimo, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 25 giugno 2018, n. 16111, Rv. 649628-01), o perchè “perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. Sez. 6-3, ord. 25 settembre 2018, n. 22598, Rv. 650880-01), mentre “resta irrilevante il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. 2, ord. 13 agosto 2018, n. 20721, Rv. 650018-01).

Orbene, nel caso di specie, risulta del tutto intellegibile il percorso argomentativo – come sopra ricostruito – cha ha portato la Corte territoriale ad escludere l’applicazione dell’art. 1224 c.c., comma 2, senza che ricorrano quelle ipotesi di imperscrutabilità o radicale contraddittorietà della parte motiva della sentenza, necessarie perchè possa ritenersi integrata la fattispecie della motivazione apparente.

6.2.2. Inammissibile è anche la censura di violazione di legge.

Come sopra meglio indicato, la ricorrente censura la sentenza impugnata perchè avrebbe confuso la spedizione delle ricette con l’inoltro delle distinte, non essendosi, pertanto, avveduta che ciascuna scadenza si riferiva alle ricette spedite il mese precedente, come si evinceva dalla corrispondenza dei relativi importi, nonchè dalle ricevute di avvenuta consegna sottoscritte dalla stessa azienda sanitaria.

Su tali basi si ipotizza essere stato disatteso il principio – più volte enunciato da questa Corte – secondo cui, al debito di una A.S.L. nei confronti di un farmacista, la scadenza dell’obbligazione di pagamento si verifica il venticinquesimo giorno dello stesso mese in cui avviene la trasmissione da parte della farmacia delle ricette e della relativa distinta riepilogativa, e quindi del mese successivo a quello in cui è avvenuta la spedizione delle ricette di cui si chiede il pagamento definitivo e dello stesso mese della spedizione delle ricette per cui si chiede la corresponsione dell’acconto (sul punto si veda, da ultimo, Cass. Sez. 1, sent. 25 ottobre 2013, n. 24157, Rv. 628204-01).

Al riguardo, tuttavia, nel senso della inammissibilità della censura, deve richiamarsi il principio secondo cui “il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa” – che è quanto si lamenta nel caso di specie, dal momento che ci si duole, in definitiva, di un cattivo apprezzamento delle risultanze degli atti di causa – “è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” (“ex multis”, Cass. Sez. 3, ord. 13 marzo 2018, n. 6035, Rv. 64841401).

7. L’alterno esito delle fasi di merito integra “giusti motivo”, ex art. 92 c.p.c., comma 2, (nel testo di cui alla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a, applicabile “ratione temporis” al presente giudizio, visto che l’atto di citazione risulta notificato il 20 novembre 2008), che consente l’integrale compensazione, tra le parti, delle spese del presente giudizio.

8. A carico della ricorrente sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, compensando integralmente tra le parti le spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, all’esito di pubblica udienza della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 30 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2019

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