Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10611 del 13/05/2011

Cassazione civile sez. lav., 13/05/2011, (ud. 20/01/2011, dep. 13/05/2011), n.10611

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19363-2009 proposto da:

C.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VALADIER 39,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO PRECENZANO, rappresentato e

difeso dall’avvocato TENUTA GIOVANNI CARLO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI

INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE N. 144,

presso lo studio degli avvocati LA PECCERELLA LUIGI, PUGLISI LUCIA,

che lo rappresentano e difendono giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1392/2008 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 04/09/2008 R.G.N. 1964/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/01/2011 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito l’Avvocato PARROTTA MATTEO CARLO per delega TENUTA GIOVANNI

CARLO;

udito l’Avvocato FABBI RAFFAELA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’Appello di Catanzaro, con sentenza del 4 settembre 2008, accoglieva l’appello proposto dall’INAIL avverso la sentenza del Tribunale di Cosenza n. 1828 del 2005 e rigettava il relativo appello incidentale (volto ad ottenere il riconoscimento di una percentuale di invalidità superiore a quella riconosciuta in primo grado) proposto da C.L..

2. Con la suddetta sentenza, il Tribunale di Cosenza aveva condannato l’INAIL alla costituzione ed erogazione, in favore di C. L., della rendita per inabilità permanente, Rapportata, a decorrere dal 4 giugno 1999, ad una riduzione della capacità lavorativa generica nella misura del 11 per cento, in relazione ad infortunio sul lavoro avvenuto il 3 gennaio 1992.

3. Ricorre per la cassazione della sentenza resa in grado di appello L.C., prospettando quattro motivi di ricorso.

4. Resiste con controricorso l’INAIL.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso è prospettata omessa o insufficiente motivazione, in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4.

Il quesito di diritto è stato articolato come segue: se in un giudizio in materia di infortunio lavorativo in itinere, per non incorrere nel denunciato vizio di omessa o insufficiente motivazione in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, nel caso che le due consulenze tecniche, rispettivamente disposte in primo e in secondo grado, rechino conclusioni diverse in ordine al grado di invalidità residuata al lavoratore, il Giudice debba rilevare il contrasto e debba spiegare, in modo analitico e/o critico le ragioni per le quali abbia ritenuto di accogliere le conclusioni del proprio consulente e debba, inoltre, enunciare le ragioni per le quali abbia ritenuto di disattendere quelle del consulente tecnico di primo grado, senza limitarsi ad una acritica adesione al parere del secondo ausiliario.

2. Con il secondo motivo di impugnazione è stata prospettata, sotto altro profilo, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4.

Il quesito di diritto ha il seguente tenore: se nelle controversie in materia di infortunio sul lavoro, ancorchè in itinere, nel caso in cui per la medesima lesione al ginocchio sia stata determinata, in primo grado, una invalidità dell’11 per cento, dato che la deambulazione era senza sostegno e l’accosciamento o accovaciamento era difficoltoso, e sia stata determinata in secondo grado, una invalidità del 7 per cento, tenuto conto che era stata obiettivata una deambulazione con sostegno ed un accovacciamento non possibile, se tali conclusioni costituiscono una documentata devianza dai canoni fondamentali della scienza medico-legale o dai protocolli praticati dalle assicurazioni sociali, di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965, e/o rappresentino un vero e proprio vizio della motivazione, ex art. 360, c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, atteso che alla patologia diagnostica è stato attribuita un minor grado di percentuale invalidante benchè oggettivamente ed in base alle regole di comune esperienza sia da ritenere più grave.

3. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 78, comma 3, nonchè omessa ed insufficiente motivazione.

In ordine al suddetto motivo è stato articolato il seguente quesito di diritto: se in materia di infortunio sul lavoro in itinere, per non incorrere nella violazione e falsa applicazione di norme di diritto di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, nel caso che dall’infortunio sia derivata la perdita funzionale parziale di un arto (nello specifico, ginocchio destro) il grado della riduzione complessiva dell’attitudine lavorativa (cui deve essere commisurata la eventuale rendita da liquidarsi all’assicurato) deve essere calcolata a norma del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 78, comma 3, sulla base di un giudizio che accerti, in concreto, l’esatta misura del danno risentito dall’infortunato e determini il grado di invalidità sulla base della percentuale stabilita per la perdita totale ed in proporzione al valore lavorativo della funzione perduta.

4. Con il quarto motivo di ricorso è stata dedotta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione al rigetto dell’appello incidentale.

Il relativo quesito di diritto ha il seguente contenuto: se, ove il Giudice di secondo grado avesse correttamente tenuto conto delle risultanze della CTU ed avesse correttamente rigettato l’appello principale, ritenendo che dall’infortunio in itinere fossero residuati postumi indennizzabili, lo steso doveva, per non incorrere nella violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., esaminare e valutare l’appello incidentale e fornire una adeguata motivazione in ordine al rigetto o all’accoglimento della domanda.

5. I suddetti motivi di ricorso devono essere esaminati congiuntamente in ragione della loro connessione.

6. I suddetti motivi non sono fondati.

E’ necessario premettere che, in linea di principio – come in analoghe occasioni questa Corte ha avuto modo di affermare (Cass. n. 4850 del 2009, n. 6106 del 1998) ogni statuizione contenuta in sentenza deve emergere dagli elementi della causa come un prodotto necessario, tale da escludere ogni alternativa decisione.

E la motivazione, quale percorso logico che conduce dagli elementi della causa alla decisione, è la descrizione di questa necessità attraverso adeguata critica che escluda la rilevanza degli elementi esterni (al predetto percorso logico), di natura materiale, logica o processuale, astrattamente idonei a delineare conseguenze divergenti dall’adottata decisione; elementi che per la loro astratta potenzialità (possibilità di una divergente decisione, quale esclusione della ritenuta necessità), esigono, appunto, adeguata critica da parte del giudice di merito che li disattenda.

Da ciò discende che ove fra due successive contrastanti indagini tecniche d’ufficio il giudice aderisca al parere del consulente tecnico che abbia espletato la sua opera per ultimo, la motivazione della sentenza è sufficiente – ed è escluso, quindi, il vizio deducibile in cassazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 – pur se tale adesione non sia specificamente giustificata, ove il secondo parere fornisca gli elementi che consentano, sul piano positivo, di delineare il percorso logico seguito e, sul piano negativo, di escludere la rilevanza degli elementi di segno contrario, siano essi esposti nella prima relazione od aliunde deducibili (Cass. n. 4840 del 2009).

Nel caso in esame, la Corte d’Appello di Catanzaro, sulla scorta dell’atto di appello e delle critiche ivi contenute alla consulenza di primo grado, ha evidentemente ritenuto opportuno il rinnovo della consulenza.

La Corte d’Appello ha, quindi, ritenuto come la individuazione dei postumi permanenti trovasse giustificazione nella descrizione fornita dal consulente che, con valutazione pienamente condivisibile rilevava che gli esisti descritti costituivano un’ inabilità permanente nella misura del 7 per cento che scaturiva dalla obiettiva limitazione funzionale di lieve entità residuata dell’infortunato. Il Giudice dell’Appello ha, pertanto, affermato che non vi era ragione di discostarsi dalla conclusione raggiunta dal consulente, avuto riguardo alla analitica descrizione dei postumi ed alla corretta valutazione degli stessi.

Il ragionamento della Corte d’Appello è corretto ed immune da vizi, essendo la stessa pervenuta alle contestate conclusioni sulla base della espletata consulenza tecnica, censurata dal ricorrente, in quanto posta alla base della decisione, con modalità insufficienti a invalidarne il contenuto e non essendo ravvisabile nell’impianto argomentativo della sentenza la dedotta carenza di motivazione. In generale, può ricordarsi, altresì, che il giudice del merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento.

Le critiche di parte, che tendano al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in tal caso in mere allegazioni difensive, che non possono configurare il vizio di motivazione previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. n. 12080 del 2000).

Le critiche del ricorrente, nella specie, in ragione di quanto sopra esposto, anche con riguardo alle prospettate violazione di norme di legge, tendono, in effetti, al riesame degli elementi di giudizio e si risolvono, in ultima analisi, in mere argomentazioni difensive, aventi sostanziale natura di merito, volte come sono a prospettare una valutazione diversa dei dati raccolti, che non può trovare ingresso in questa sede.

7. Il ricorso, pertanto, è infondato e deve essere rigettato.

8. Nulla per le spese ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo precedente all’entrata in vigore del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, nella L. 24 novembre 2003, n. 326.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2011

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