Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31609 del 04/12/2019
Cassazione civile sez. trib., 04/12/2019, (ud. 13/06/2019, dep. 04/12/2019), n.31609
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –
Dott. MANZON Enrico – Consigliere –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. CHIESI Gian Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11765/2012 R.G. proposto da:
IN.TE.PRO. Srl in liquidazione, quale rappresentante fiscale della
Euronet Associated Limited, rappresentata e difesa dall’Avv.
Maurizio Coppa, con domicilio eletto presso Antonia De Angelis in
Roma via Portuense n. 104, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura
Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via
dei Portoghesi n. 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della
Campania n. 112/3/11, depositata in data 31 marzo 2011.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 giugno
2019 dal Consigliere Giuseppe Fuochi Tinarelli.
Lette le conclusioni depositate dal Sostituto Procuratore generale
Umberto de Augustinis che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
RILEVATO
CHE:
IN.TE.PRO. Srl in liquidazione quale rappresentante fiscale della Euronet Associated Limited, impugnava l’avviso di accertamento per Iva, Irpeg ed Irap per l’anno 2000, emesso dall’Agenzia delle entrate in relazione al mancato assoggettamento ad Iva di cessioni intracomunitarie per la mancanza dei modelli INTRA e, quanto alle imposte dirette, per aver la società operato quale stabile organizzazione della Euronet.
La contribuente, in particolare, contestava la fondatezza della pretesa per essere state le merci cedute a clienti intracomunitari e per la carenza dei presupposti della stabile organizzazione.
L’impugnazione, accolta dalla CTP di Caserta limitatamente alla ripresa Iva, era integralmente respinta dal giudice d’appello.
IN.TE.PRO. Srl in liquidazione propone ricorso per cassazione con quattro motivi, depositando, altresì, memoria difensiva.
Resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso.
Diritto
CONSIDERATO
CHE:
1. Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 7, del D.L. n. 331 del 1993, artt. 40, 41 e 50, D.L. n. 16 del 1993, art. 2697 c.c., nonchè insufficiente, contraddittoria ed errata motivazione in ordine al carattere intracomunitario delle operazioni commerciali, erroneamente qualificate.
1.1. Il motivo è inammissibile.
Al di là dell’inestricabile intreccio tra censure in fatto e in diritto che caratterizza la complessiva doglianza, tale da renderla in sè inammissibile, è dirimente che il motivo non coglie la ratio della decisione che ha escluso il riconoscimento del regime di non imponibilità delle cessioni intracomunitarie non sul mero fatto che per esse non erano stati redatti i modelli INTRA ma sul più incisivo riscontro che, dai controlli effettuati dall’Ufficio sugli operatori comunitari intestatari delle fatture, era emersa la prova positiva che le esportazioni non erano state in concreto effettuate (“gli stessi avevano dichiarato di non avere effettuato nel 2000 acquisti intracomunitari, in particolare dalla Euronet Associates”).
A fronte di tale riscontro positivo della pretesa erariale, inoltre, la CTR ha escluso la sufficienza e l’idoneità della prova contraria offerta dalla contribuente, costituita dal riscontro, formale, di “alcune fatture e altra documentazione” contabile, che, tra l’altro, era meramente “frammentaria”, valutazione la cui contestazione nel presente giudizio è ulteriormente inammissibile perchè del tutto inosservante del principio di autosufficienza, nulla essendo stato riprodotto in ricorso.
2. Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17, del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 4 e 60, per aver la CTR ritenuta legittima la notifica dell’accertamento ai fini delle imposte dirette alla IN.TE.PRO. quale rappresentante fiscale mentre doveva essere effettuata direttamente presso la società estera.
2.1. Il motivo è infondato.
La notifica dell’avviso di accertamento è stata effettuata nei confronti del rappresentante fiscale, la cui designazione è stata formalmente operata ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17.
Si tratta di indicazione che rileva necessariamente anche ai fini delle imposte dirette atteso che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e-bis, considera esplicitamente, per la notifica “degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente” soggetto estero, l’avvenuta indicazione di un rappresentante fiscale in Italia senza ulteriori distinzioni, posizione che, dunque, assume – al di là del contenuto degli obblighi e della responsabilità in materia di Iva che discendono dal citato art. 17, valore di specificazione della sede di interessi della società estera in Italia.
E, del resto, la contestata natura di stabile organizzazione della società estera di per sè legittimava la notificazione dell’avviso.
3. Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, vizio di ultrapetizione per aver la CTR ritenuto il requisito della stabile organizzazione ai sensi del tuir, art. 162, commi 3 e 6, (conclusione abituale nel territorio dello Stato di affari diversi dall’acquisto in nome dell’impresa estera; supervisione per oltre tre mesi dell’attività svolta da terzi di assemblaggio), mentre l’Ufficio aveva contestato la ricorrenza della previsione di cui al tuir, art. 162, commi 1 e 2, (esistenza di sede fissa d’affari, in ispecie, di officina).
3.1. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza per l’omessa riproduzione nel ricorso dell’avviso di accertamento e, dunque, dell’asserita differente contestazione operata dall’Ufficio.
Appare scarsamente pertinente, peraltro, il richiamo al tuir, art. 162, singoli commi, poichè la condotta, anteriore al 2004, trova il riferimento nel tuir, art. 20, ratione temporis vigente, e, quanto ai contenuti, al modello OCSE, art. 5, espressamente richiamato dalla CTR.
4. Il quarto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione del tuir, art. 162, e del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 169, per aver la CTR erroneamente ritenuto sussistere i requisiti della stabile organizzazione.
4.1. Il motivo è infondato.
4.2. Occorre sottolineare, come recentemente ribadito dalla Suprema Corte (Cass. n. 32078 del 12/12/2018), che “in tema di assoggettabilità ad imposizione fiscale di soggetti non residenti nel territorio nazionale, ai fini della sussistenza del requisito della stabile organizzazione in Italia non è necessario che quest’ultima debba essere di per sè produttiva di reddito, ovvero dotata di autonomia gestionale o contabile, essendo sufficiente che vi sia una sede fissa di affari in cui l’impresa esercita in tutto o in parte la sua attività”.
La citata decisione ha evidenziato, in particolare, che gli elementi assunti a prova, o a riscontro, dell’esistenza di tale condizione sono chiaramente individuabili nella nozione di stabile organizzazione di una società straniera in Italia desunta dal modello di convenzione OCSE, art. 5, contro la doppia imposizione e dal suo commentario, integrata con i requisiti prescritti dalla sesta Dir. n. 77/388/CEE, art. 9, sicchè, “al fine della identificazione del criterio di collegamento per la tassazione in Italia dei redditi prodotti da non residenti, gli indici di emersione della stabile organizzazione possono trovare sintesi, secondo una definizione di autorevole dottrina, nel cd. criterio della attività”.
4.3. Orbene, la sentenza impugnata ha posto in risalto che “nel caso specifico si è in presenza di un soggetto, la IN.TE.PRO. Srl, abitualmente operante – per quanto dichiarato dal legale rappresentante della stessa – per conto dell’impresa non residente; la IN.TE.PRO., inoltre, non si limitava all’acquisto di beni per conto della Euronet, ma provvedeva all’assemblaggio dei componenti importati dalla Cina, trasformandoli in forni a microonde che successivamente cedeva ad altri soggetti”.
Giova sottolineare che tali circostanze sono state ritenute dalla CTR decisive per la qualificazione della vicenda e ciò anche a prescindere dal fatto che la stessa sede – ossia il capannone in cui si svolgeva l’attività in questione – pur locata come deposito era, in concreto, utilizzata “come officina”, ossia integrava la “struttura dotata di risorse materiali ed umane”, ulteriore indice della stabile organizzazione.
La CTR neppure ha trascurato l’allegazione della contribuente, secondo cui le operazioni di assemblaggio erano affidate a terzi, che ha valutato inidonea perchè priva di riscontri (“senza fornire i relativi contratti”) e perchè, in ogni caso, l’attività avveniva “sotto la supervisione” della società medesima.
Nè, infine, l’attività era stata svolta solo per un breve periodo poichè – anzi – si era “protratta anche negli anni successivi (al 2000) ben oltre il termine di dodici mesi richiamato dalla contribuente”.
4.4. La CTR, dunque, si è attenuta ai criteri sopra enunciati avendo, correttamente, concentrato la sua attenzione sull’attività in concreto svolta dalla contribuente, valutata duratura ed abituale (sia alla luce delle dichiarazioni rese dal rappresentante legale, sia del periodo di effettiva realizzazione delle prestazioni, proseguite anche negli anni successivi a quello in contestazione), effettiva (perchè non limitata nè al solo deposito o alla rivendita dei beni ma intesa alla realizzazione dei prodotti e al coordinamento e controllo della produzione) e accompagnata dall’utilizzazione (come officina) di una stabile struttura a ciò destinata.
5. Il ricorso va pertanto rigettato e le spese liquidate, come in dispositivo, per soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la contribuente al pagamento delle spese, che liquida in complessivi Euro 7.800,00, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 13 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2019