Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10007 del 06/05/2011

Cassazione civile sez. I, 06/05/2011, (ud. 28/03/2011, dep. 06/05/2011), n.10007

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1319/2005 proposto da:

TIRRENA – COMPAGNIA DI ASSICURAZIONI S.P.A. IN L.C.A. (c.f.

(OMISSIS)), in persona del Commissario Liquidatore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LISBONA 3, presso l’avvocato

D’ALESSANDRO Floriano, che la rappresenta e difende, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.G. (C.F. (OMISSIS)), S.A.

(C.F. (OMISSIS)) vedova P., P.R.

(C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

PASUBIO 2, presso l’avvocato MERLINI Luigi, che li rappresenta e

difende, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 4587/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 25/10/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

28/03/2011 dal Consigliere Dott. SALVATORE DI PALMA;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato D’ALESSANDRO che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per i controricorrenti, l’Avvocato MERLINI che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento del primo

motivo del ricorso, assorbimento degli altri motivi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – A seguito della morte di Pi.Gi., l’Ufficio del Registro di Roma liquidò a carico degli eredi – S.A. ved. P., G. e P.R. – l’imposta di successione nella misura di L. 1.531.113.145. Gli eredi – chiesta ed ottenuta la dilazione di pagamento dell’imposta in dieci rate, in data 3 novembre 1984, stipularono con l’I.F.I. – Istituto Finanziario Italiano s.p.a. una convenzione, con la quale l’IFI si assunse l’obbligo di pagare il predetto debito tributario limitatamente alle nove rate successive alla prima, oltre “ogni penale per ritardato pagamento”. Al fine dell’adempimento di tale obbligo da parte dell’I.F.I., con la stessa scrittura, le parti convennero anche – dandovi immediata esecuzione – che l’I.F.I. acquistasse, per conto degli eredi e con danaro dagli stessi contestualmente versatole, obbligazioni di propria emissione per il valore nominale di L. 800.000.000.

Con successiva scrittura del 15 novembre 1984 la Compagnia Tirrena di assicurazioni s.p.a., dichiaratasi espressamente a conoscenza delle obbligazioni assunte dall’I.F.I., si costituì fideiussore per il loro adempimento, con esclusione del beneficio della preventiva escussione.

A seguito dell’inadempimento dell’I.F.I., che aveva omesso il pagamento delle ultime tre rate di imposta, i predetti eredi P. convennero in giudizio l’I.F.I. e la Tirrena per la loro condanna solidale al pagamento della somma di L. 562.131.000 – comprensiva delle predette ultime tre rate, delle soprattasse e degli ulteriori interessi per ritardato pagamento -, che essi avevano nel frattempo direttamente pagato all’Ufficio del Registro di Roma.

Nel corso di tale giudizio, intervenne la dichiarazione di fallimento dell’I.F.I. e la Tirrena fu posta in liquidazione coatta amministrativa, sicchè il giudizio stesso fu abbandonato.

Gli eredi P. – insinuatisi nel passivo sia del Fallimento I.F.I. sia della liquidazione coatta amministrativa della Tirrena -, mentre vennero ammessi al passivo del Fallimento dell’I.F.I., furono esclusi da quello della liquidazione coatta amministrativa della Tirrena, il commissario liquidatore della quale, con lettera del 16 marzo 2001, comunicò loro l’esclusione del credito (indicato, peraltro, in L. 449.130.140): “per nullità della fideiussione non rientrante nell’oggetto sociale; per carenza di poteri dell’Avv. A.M., che ebbe a sottoscrivere la fideiussione; per conflitto di interessi in cui versava l’Avv. A.M.; per insussistenza dei presupposti di operatività della garanzia”.

Proposta dagli eredi opposizione allo stato passivo, il Tribunale di Roma, in contraddittorio con la l.c.a. della Tirrena, con la sentenza n. 12936 del 28 marzo 2002, ammise allo stato passivo della liquidazione, in via chirografaria, il credito degli eredi, determinandolo però in Euro 231.956,31 (pari a L. 449.130.060), anzichè in Euro 290.316,43 (pari a L. 562.131.000), richiesto dagli stessi eredi.

2. – Avverso tale sentenza la Tirrena in l.c.a. propose appello principale dinanzi alla Corte d’Appello di Roma che, in contraddittorio con gli eredi P. – i quali proposero appello incidentale – con la sentenza n. 4587/04 del 25 ottobre 2004, rigettò l’appello principale e, in accoglimento di quello incidentale, a parziale modifica della sentenza impugnata, determinò in Euro 290.316,43 il credito degli eredi da ammettere al passivo della liquidazione.

In particolare, la Corte romana, per quanto in questa sede ancora rileva:

A) ha così motivato la reiezione dell’appello principale della Tirrena: A1) quanto al primo motivo – con il quale la Tirrena aveva eccepito la nullità della fideiussione del 15 novembre 1984, sottoscritta dal legale rappresentante della Compagnia, Avv. A. M., per contrarietà con le norme imperative di cui al R.D. 4 gennaio 1925, n. 63, art. 130 (Approvazione del regolamento per l’esecuzione del R.D.L. 29 aprile 1923, n. 966, concernente l’esercizio delle assicurazioni private), e della L. 10 giugno 1978, n. 295, art. 5 (Nuove norme per l’esercizio delle assicurazioni private contro i danni), in forza delle quali il rilascio di fideiussioni, attività tipica del comparto finanziario creditizio e non di quello assicurativo, si pone in insanabile contrasto con tali norme -, ha osservato che: in primo luogo, “l’appellante non ha neppure offerto di provare di non essere stata autorizzata … ad effettuare quella che essa stessa definisce operazione di credito, operazioni che, peraltro, non sono estranee alle imprese assicuratrici, in quanto, espressamente indicate con tale titolo, sono comprese tra i vari rami previsti nella tabella, all. A, alla L. n. 295 del 1978”; in secondo luogo, “Comunque, è applicabile al caso in esame l’art. 2384 bis c.c., il quale dispone che l’estraneità all’oggetto sociale degli atti compiuti dagli amministratori in nome della società non può essere opposta ai terzi in buona fede; sul punto sì osserva che, a parte il fatto che non è stata neppure offerta dalla Tirrena, sulla quale incombeva il relativo onere, la prova della malafede in capo agli appellati, la buona fede degli eredi P. non può essere messa in dubbio atteso che proprio la Tirrena si è, a suo tempo, resa garante per loro nei confronti dell’Ufficio del Registro per il pagamento rateizzato dell’imposta di successione …”; A2) quanto al secondo motivo – con il quale la Tirrena aveva denunciato il conflitto di interessi in cui versava l’Avv. A.M. al momento di sottoscrivere la fideiussione – ha osservato che tale conflitto “di per sè non era certamente notorio e … avrebbe dovuto essere provato, non già oralmente, ma con la produzione della documentazione societaria, poichè le circostanze articolate a prova trovano la naturale fonte di conoscenza nella pubblicità resa dal Registro delle Imprese …”;

A3) quanto al terzo motivo – con il quale la Tirrena aveva eccepito la nullità della fideiussione in riferimento alla convenzione eredi P. – IFI del 3 novembre 1984, in quanto “l’acquisto da parte dell’IFI di titoli obbligazionari emessi da se medesima ha generato quella riunione della qualità di debitore e di creditore (l’obbligazione da luogo ad un vero rapporto creditorio tra acquirente ed emittente) comportante l’immediata estinzione per confusione del credito, con conseguente, inevitabile caduta del complesso negozio che lo prevedeva” – ha osservato: “La censura deve essere rigettata, in quanto è dato incontestato che all’acquisto delle obbligazioni l’I.F.I. provvide con danaro fornitogli dai sig.ri P., per cui non è ipotizzabile l’asserita confusione, con conseguente nullità dell’obbligazione principale”;

B) ha così motivato l’accoglimento dell’appello incidentale: dal momento che con la convenzione del 3 novembre 1984, l’I.F.I. si era accollata il debito tributario oltre ad “ogni penale per ritardato pagamento”, e che con la successiva scrittura del 15 novembre 1984, la Tirrena si era dichiarata espressamente a conoscenza delle obbligazioni assunte dall’I.F.I., costituendosi fideiussore per il loro adempimento, ne consegue che all’importo di Euro 231.956,31 (pari a L. 449.130.060) – corrispondente alle ultime tre rate dell’imposta di successione, rimaste insolute per l’inadempimento dell’I.F.I. e pagate direttamente dagli eredi P. all’Ufficio del Registro di Roma (necessariamente) in ritardo – vanno aggiunti quelli di Euro 40.910,62 (pari a L. 79.214.000), a titolo di soprattasse, e di Euro 17.449,45 (pari a L. 33.786.840), a titolo di ulteriori interessi per ritardato pagamento; sicchè, la somma complessiva da ammettere al passivo della l.c.a. della Tirrena – e quale già ammessa al passivo del Fallimento I.F.I. – va determinata in Euro 290.316,43 (pari a L. 562.131.000).

3. – Avverso tale sentenza la s.p.a. Tirrena-Compagnia di Assicurazioni in liquidazione coatta amministrativa ha proposto ricorso per cassazione, deducendo quattro motivi di censura.

Resistono, con controricorso, S.A. ved. P., G. e P.R..

Ambedue le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto: art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione alle norme imperative contenute nel R.D. 4 aprile 1925, n. 63, art. 130 e L. 10 giugno 1978, n. 295, art. 5. Vizio di motivazione: art. 360 c.p.c., n. 5”), la ricorrente critica la sentenza impugnata (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2, lettera Al), sostenendo che: a) quanto al primo argomento, i richiamati del R.D. n. 63 del 1925, art. 130 e della L. n. 295 del 1978, art. 5, contrariamente a quanto affermato dai Giudici dell’appello, statuiscono il divieto del rilascio di vere e proprie fideiussioni – quale quella di specie rilasciata dalla Tirrena – da parte delle imprese di assicurazione;

al riguardo, la ricorrente sottolinea che, se è vero che l’Allegato 1 alla L. n. 295 del 1978, contempla, tra i rami dì assicurazione autorizzabili, quello del “credito”, è anche vero che tale previsione riguarda esclusivamente la copertura dei rischi di credito, cioè i rischi inerenti alla posizione del creditore, come accade per i vari contratti di assicurazione del credito; del resto, il predetto divieto per le società di assicurazione di stipulare vere e proprie fideiussioni è confermato dall’orientamento della Corte di cassazione (viene richiamata la sentenza n. 4981 del 2001);

b) quanto al secondo argomento, la disciplina codicistica di cui agli artt. 2384 e 2384 bis cod. civ. “attiene esclusivamente al campo delle limitazioni convenzionali dei poteri rappresentativi e non ha dunque niente a che vedere … con le limitazione di fonte invece legale … quando il limite deriva dalla legge e colpisce direttamente la società non siamo più ovviamente sul terreno dei poteri rappresentativi dell’organo, ma su quello del divieto imposto alla persona giuridica rappresentata, con tutte le conseguenze che ne derivano anche e soprattutto ex art. 1418 c.c.”.

Con il secondo motivo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto: art. 360 c.p.c., n. 3. Erronea esclusione di un mezzo di prova richiesto dalla parte su fatto decisivo, con vizio di motivazione: art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”), la ricorrente critica la sentenza impugnata (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2, lettera A2), sostenendo che: a) essa intendeva dimostrare il denunciato conflitto di interesse del sottoscrittore della fideiussione, Avv. A.M., in quanto questi, al momento della sottoscrizione, rivestiva la qualità di amministratore sia dell’I.F.I. (società garantita) sia della Tirrena (società garante); b) tale circostanza, all’epoca della sottoscrizione – 1984 – era documentata soltanto dal libro dei soci, la cui consultazione era preclusa ai terzi estranei alla società; c) dunque, la mancata ammissione dei capitoli di prova per testimoni articolati al riguardo dalla Tirrena integra un vizio della decisione sub specie di violazione del diritto alla prova rilevante e decisiva – in ordine alla dedotta invalidità della fideiussione de qua.

Con il terzo motivo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto: art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè vizio di motivazione: art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione con gli artt. 1346, 1418, 1253 e 1939 c.c.”), la ricorrente critica la sentenza impugnata (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2, lettera A3), sostenendo che la Corte romana avrebbe completamente frainteso il motivo d’appello della Tirrena sul punto, avendo l’appellante dedotto che il contratto stipulato dall’I.F.I. con gli eredi P. in data 3 novembre 1984 doveva ritenersi nullo sulla base del seguente ragionamento: “L’accollo dell’I.F.I. trovava il suo indispensabile presupposto nella provvista e nel carattere fruttifero di questa, necessario a fornire i flussi finanziari occorrenti per soddisfare le ragioni del fisco. L’acquisto da parte di IFI di titoli obbligazionari dalla stessa emessi non poteva, tuttavia, se non determinare la loro estinzione per confusione. Il titolo obbligazionario è infatti un titolo di credito nel quale è incorporato un diritto verso l’emittente: ove nel corso della sua circolazione il titolo sia acquistato dall’emittente-debitore, la vicenda non può, se non altrimenti previsto in via di eccezione dalla legge, che produrre gli effetti indicati nell’art. 1253 c.c.”.

Alla dedotta nullità dell’obbligazione principale I.F.I. – P., per impossibilità dell’oggetto, conseguiva, pertanto, la nullità della fideiussione Tirrena – P., ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1939 cod. civ..

Con il quarto motivo (con cui deduce: “Violazione di legge e difetto di motivazione: art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione con gli artt. 1227, 1362, 1365 e 1942 c.c.”), la ricorrente critica la sentenza impugnata (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2, lettera B), sostenendo che la Corte romana avrebbe erroneamente affermato la debenza di soprattasse ed ulteriori interessi da parte dell’I.F.I. e, quindi, della Tirrena, perchè, quanto all’I.F.I., questa non doveva rispondere del ritardo nel pagamento delle rate residue, il ritardo medesimo essendo invece imputabile agli eredi P., e, quanto alla Tirrena, questa non doveva rispondere del pagamento di detti accessori, la lettera della fideiussione limitando il debito della garante soltanto alla sorte e, tra gli accessori, alla sola penale.

2. – Il primo motivo del ricorso merita accoglimento.

Quanto alla fattispecie sottostante a tale motivo, la sentenza impugnata riferisce, senza alcuna contestazione delle parti, che gli eredi P., chiesta la dilazione di pagamento dell’imposta di successione in dieci rate – ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, art. 43, commi 1 e 4, applicabile alla specie ratione temporis, commi che, rispettivamente, disponevano: “Al contribuente può essere concesso di eseguire il pagamento dell’imposta, delle soprattasse e pene pecuniarie e degli interessi a rate annuali posticipate primo comma”; “La dilazione può essere concessa a condizione che il contribuente presti idonea garanzia mediante ipoteca o cauzione in titoli di Stato o garantiti dallo Stato al valore di borsa, o fideiussione rilasciata da un istituto o azienda di credito o polizza fideiussoria rilasciata da un’impresa di assicurazione regolarmente autorizzata comma 4”), in data 3 novembre 1984, avevano stipulato con l’I.F.I.-Istituto Finanziario Italiano s.p.a. una convenzione, in forza della quale l’IFI si era assunta l’obbligo di pagare il predetto debito tributario limitatamente alle nove rate successive alla prima, ed ancora che, con la scrittura privata del 15 novembre 1984, la Compagnia Tirrena di assicurazioni s.p.a., dichiaratasi espressamente a conoscenza degli obblighi assunti dall’I.F.I. nei confronti di detti eredi, si era costituita fideiussore per il loro adempimento, con esclusione del beneficio della preventiva escussione.

Il motivo in esame pone la questione della invalidità – negata invece dalla sentenza impugnata – della fideiussione prestata dalla compagnia di assicurazione Tirrena alla società finanziaria I.F.I., perchè rilasciata in violazione delle norme imperative di cui al combinato disposto del R.D. 4 gennaio 1925, n. 63, art. 130 (Approvazione del regolamento per l’esecuzione del R.D.L. 29 aprile 1923, n. 966, concernente l’esercizio delle assicurazioni private) – secondo cui “E’ vietato ad ogni impresa di assicurazione, di riassicurazione, di capitalizzazione, di risparmio di fare operazioni estranee all’esercizio delle dette industrie”, e della L. 10 giugno 1978, n. 295, art. 5, comma 2 (Nuove norme per l’esercizio delle assicurazioni private contro i danni) – secondo il quale “Le società e gli istituti di cui al precedente comma le società che si costituiscono in Italia e che hanno per oggetto l’esercizio sul territorio della Repubblica delle assicurazioni contro i danni debbono limitare l’oggetto sociale all’esercizio dell’attività assicurativa, riassicurativa e di capitalizzazione e delle operazioni connesse a tali attività, con esclusione di qualsiasi altra attività commerciale”, applicabili alla specie ratione temporis.

La ratio di tali disposizioni e del divieto in esse contenuto è stata da tempo, e condivisibilmente, individuata da questa Corte “proprio nella volontà della legge di evitare che i capitali formati con i premi siano impegnati in operazioni economiche alle quali non è applicabile … il procedimento tecnico che è alla base della gestione assicurativa” (così la sentenza n. 1759 del 1992). La successiva sentenza n. 21247 del 2010 ha ulteriormente precisato:

“Come è stato evidenziato in dottrina, … con il R.D.L. 29 aprile 1923, n. 966, integrato dai regolamenti del R.D. 4 gennaio 1925, n. 63, si attuò una riforma del mercato assicurativo estremamente significativa, prevedendosi, tra l’altro, la necessità di un rigoroso rispetto delle procedure tecniche e finanziarie da parte delle imprese assicuratrici; privilegiando l’accertamento della solvibilità della singola compagnia nei confronti dei propri assicurati, anche in considerazione dell’inversione del ciclo di produzione, su cui si fonda lo stesso rapporto assicurativo”.

La questione ha già formato oggetto di esame, anche molto recente, da parte di questa Corte.

Infatti, con la citata sentenza n. 21247 del 14 ottobre 2010 – in una fattispecie molto simile a quella de qua, è stato enunciato il principio di diritto, per il quale il divieto di compiere operazioni estranee rispetto a quelle di assicurazione, riassicurazione, capitalizzazione e risparmio, gravante sulle compagnie assicuratrici ai sensi dei richiamati del R.D.L. n. 63 del 1925, art. 130 e della L. n. 295 del 1978, art. 5, comma 2, comporta che la prestazione di garanzia autonoma e di garanzia autonoma a prima domanda, (nella specie assunte da impresa poi ammessa alla liquidazione coatta amministrativa) è affetta da nullità, per contrarietà a dette norme imperative, ai sensi dell’art. 1418 cod. civ., comma 1, trattandosi di operazioni che non possono essere previste dall’oggetto sociale dell’impresa assicuratrice, e non di operazioni od atti non contemplati dall’oggetto sociale che potrebbero ricadere nel regime di opponibilità stabilito dall’art. 2384 cod. civ. (nella fattispecie la Corte, decidendo nel merito, ha respinto l’opposizione allo stato passivo proposta da un istituto bancario, in qualità di creditore garantito da garanzia autonoma a prima richiesta rilasciata da impresa assicurativa in liquidazione coatta amministrativa).

Ancor prima, con la sentenza n. 4981 del 2001, erano stati affermati i principi, secondo cui la qualificazione di un contratto di garanzia fideiussoria, rilasciata da una società assicuratrice, in termini di polizza fideiussoria ovvero di fideiussione vera e propria rileva ai fini della declaratoria di validità ovvero di nullità della stipulazione, atteso che la conclusione di un contratto di fideiussione è inibita alle compagnie assicuratrici dal combinato disposto del R.D. n. 63 del 1925, art. 130 e della L. n. 295 del 1978, art. 5, comma 2, e secondo cui l’accertamento della natura giuridica del negozio così concluso è questione di fatto rimessa all’apprezzamento del giudice del merito, la cui decisione è incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata ed immune da vizi logici e giuridici.

Alla luce di tali principi – che il Collegio condivide ed ai quali intende dare continuità -, va sottolineato che, nella specie, da quanto riferito dalla Corte romana sia nello “Svolgimento del processo” sia nei “Motivi della decisione”, non emerge alcun elemento dal quale possa desumersi che la garanzia prestata dalla Società Tirrena presentasse contenuti riconducibili allo schema della polizza o della assicurazione fideiussoria -quale ribadito dalla recente sentenza delle sezioni unite n. 3947 del 2010 (così come nella fattispecie alla base della citata sentenza n. 21247 del 2010) emergendo anzi che tale garanzia non prevedeva il pagamento di alcun premio, cioè dì uno degli elementi fondamentali che connotano il contratto dì assicurazione. Questa mancata previsione del premio – che induce ad una qualificazione della garanzia prestata dalla Tirrena come semplice fideiussione gratuita – costituisce significativa riprova della piena operatività, a maggior ragione nella specie, del predetto divieto e della conseguente radicale invalidità della stessa garanzia.

Dalle considerazioni che precedono discende che la Corte romana ha violato le norme di cui al combinato disposto del R.D. n. 63 del 1925, art. 130 e della L. n. 295 del 1978, art. 5, comma 2, con la conseguenza che la sentenza impugnata deve essere annullata in relazione alla censura accolta, con l’ulteriore conseguenza che tutti i restanti motivi di censura devono ritenersi assorbiti.

3. – Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., comma 2, con la reiezione della opposizione allo stato passivo della s.p.a. Tirrena-Compagnia di Assicurazioni in liquidazione coatta amministrativa, promossa con ricorso del 22 marzo 2001 da S.A. ved. P., P.G. e R., i quali avevano proposto domanda di ammissione al passivo della Tirrena facendo valere un titolo – la fideiussione del 15 novembre 1984, appunto – nullo.

4. – La sostanziale novità della questione trattata giustifica la compensazione integrale delle spese sia del giudizio di merito sia del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, respinge la opposizione allo stato passivo della s.p.a. Tirrena-Compagnia di Assicurazioni in liquidazione coatta amministrativa, promossa da S.A. ved. P., P.G. e R. con ricorso del 22 marzo 2001. Compensa le spese del giudizio di merito e di quello di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 28 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2011

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