Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30637 del 25/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 25/11/2019, (ud. 15/10/2019, dep. 25/11/2019), n.30637

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23501-2017 proposto da:

ALVOL DI V. E BUSI SNC, in persona dei soci e legali

rappresentanti V.E., C.S.,

C.R., elettivamente domiciliati in ROMA, CORSO TRIESTE 87, presso lo

studio dell’avvocato ARTURO ANTONUCCI, che li rappresenta e difende

unitamente agli avvocati ROBERTO VASSALLE, FRANCESCA VIRGILI;

– ricorrenti –

contro

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA SPA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PIETRO COSSA, 13, presso lo studio dell’avvocato MARIA TROPIANO,

rappresentata e difesa dall’avvocato ANGELICA SILVETTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 943/2017 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 23/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. NAZZICONE

LOREDANA.

Fatto

RILEVATO

– che con sentenza del 23 giugno 2017, la Corte d’appello di Brescia ha accolto l’appello incidentale proposto da Monte dei Paschi di Siena s.p.a., condannando la Alvol di V. e Busi s.n.c. a pagare il saldo passivo alla banca, pari ad Euro 15.238,04, con interessi dalla domanda;

– che avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione la società correntista, sulla base di due motivi;

– che la banca intimata resiste con controricorso;

– che sono stati ritenuti sussistenti i presupposti ex art. 380-bis c.p.c.;

– che la ricorrente ha depositato la memoria.

Diritto

RITENUTO

– che il primo motivo lamenta la violazione dell’art. 2697 c.c., comma 2, nonchè degli artt. 61,101 e 191 c.p.c., in quanto, ritenendo le rimesse solutorie sulla base della c.t.u. ed accogliendo l’eccezione di prescrizione sollevata dalla banca, la corte d’appello avrebbe invertito l’onere probatorio sulla natura delle rimesse, ponendolo a carico del correntista, invece che dell’istituto: mentre al contrario, nell’assunto del ricorrente, le rimesse hanno “normalmente funzione ripristinatozia” e la banca ha l’onere di dettagliare l’eccezione con riferimento ai singoli versamenti eseguiti sul conto; inoltre, al riguardo, la corte del merito ha disposto una c.t.u. esplorativa sostitutiva di tale onere probatorio della banca;

– che il secondo subordinato motivo deduce la violazione dell’art. 342 c.p.c., per avere la sentenza impugnata ritenuto inammissibile, perchè aspecifico, il secondo motivo dell’appello principale, concernente l’illegittimità degli interessi addebitati, mentre essi erano individuati nei documenti in atti e non esisteva detto onere di specificità in capo all’appellante;

– che la corte del merito, premesso come con la propria sentenza non definitiva del 14 maggio 2015 siano stati decisi tutti gli altri motivi dell’appello incidentale, per quanto ancora ivi di rilievo ha ritenuto che: a) il c.t.u. ha accertato che tutte le rimesse furono solutorie, nel periodo antecedente al decennio anteriore alla notifica dell’atto di citazione; b) il secondo motivo dell’appello principale, secondo cui il tribunale avrebbe errato nel non detrarre dal saldo passivo iniziale gli addebiti di somme non dovuti, in precedenza effettuati dalla banca, è inammissibile, perchè la critica non è stata dettagliata; c) la banca resta creditrice di quanto corrisposto alla controparte in relazione alle anticipazioni a fronte di fatture;

– che, a fronte di tale decisum, il primo motivo è manifestamente infondato, avendo chiarito le Sezioni unite di questa Corte, con la sentenza del 18 giugno 2019, n. 15895, come nel formulare l’eccezione di prescrizione la banca non sia onerata di indicare il termine iniziale del decorso della prescrizione medesima, vale a dire l’esistenza di singoli versamenti solutori, a partire dai quali l’inerzia del titolare del diritto può venire in rilievo, potendo essa limitarsi ad allegare tale inerzia, spettando poi al giudice verificarne effettività e durata, in base alla norma in concreto applicabile; le medesime S.U., in motivazione, hanno altresì chiarito come il problema della specifica individuazione delle rimesse solutorie si sposta dal piano delle allegazioni a quello della prova, “sicchè il giudice valuterà la fondatezza delle contrapposte tesi al lume del riparto dell’onere probatorio, se del caso avvalendosi di una consulenza tecnica a carattere percipiente”: onde, essendosi la sentenza impugnata esattamente attenuta a tali principi, il motivo va respinto;

– che il secondo motivo è manifestamente infondato, in quanto l’atto di appello deve contenere una critica adeguatamente specifica alla sentenza di primo grado, confutando le ragioni addotte dal primo giudice (Cass. civ., sez. un., 16-11-2017, n. 27199, fra le altre); invero, nel giudizio di appello la cognizione del giudice resta circoscritta alle questioni dedotte dall’appellante attraverso specifici motivi, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., e tale specificità esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, non essendo le statuizioni di una sentenza separabili dalle argomentazioni che le sorreggono; ne consegue come, nell’atto di appello, le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di specificità;

– che tale onere non è stato ritenuto assolto dal giudice d’appello, per la mancanza di indicazione degli importi addebitati e nell’assunto non dovuti, senza che la ricorrente in questa sede confuti tale decisione, se non contrapponendo genericamente la propria personale valutazione a quella contestata, e senza neppure assolvere all’onere di specificità, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., omettendo ancora di fornire tali precisazioni; non senza considerare come la pretesa di scomputare ulteriori importi dal saldo passivo iniziale con riguardo al decennio non coperto da prescrizione finirebbe per vanificare e contraddire l’effetto prescrizionale medesimo;

– che le spese devono seguire la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di legittimità, liquidate in Euro 4.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie al 15% sui compensi ed agli accessori di legge.

Dichiara che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto, pari a quello richiesto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 15 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 25 novembre 2019

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