Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30371 del 21/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 21/11/2019, (ud. 28/05/2019, dep. 21/11/2019), n.30371

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. R.G. 21623/15, proposto da:

VESUVIUS HOLDINGS LIMITED, con sede in Gran Bretagna ed in Irlanda

del Nord, in persona dei legali rapp.ti p.t., rappresentata e

difesa, dall’Avv. Pietro Mastrangelo, giusta procura per notaio

G.E. di Londra, tutti elettivamente domiciliati presso lo

studio dell’Avv.to Berardino Iacobucci, in Roma, Via Q.E. Visconti

n. 99;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 151/06/15 della Commissione Tributaria

Regionale dell’Aquila, depositata in data 11.02.2015 non notificata;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 maggio

2019 dal Consigliere Dott.ssa d’Angiolella Rosita.

Fatto

RILEVATO

CHE:

La società Vesuvius Holdings Limited (già Cookson Group Plc), con sede in Gran Bretagna ed in Irlanda del Nord, presentava due istanze di rimborso, rispettivamente di Euro 12.656,25 e di Euro 16.706,25, a titolo di credito di imposta sui dividendi riscossi in Italia dalla società Vesuvius Italia s.p.a., della quale possedeva una quota di partecipazione dell’1% ma che controllava interamente per il tramite della propria partecipata Cookson Overseas Limited; assumeva di aver ricevuto il pagamento dei dividendi tra il 2002 ed il 2003 e di avere subito la ritenuta del 5%, sicchè ricorrevano le condizioni per il pagamento in suo favore da parte dell’Agenzia delle Entrate del 50% del credito di imposta sui dividenti che sarebbe spettato ad una persona fisica residente in Italia, in virtù dell’art. 10, paragrafo 4 lettera b), della Convenzione Italia-Regno Unito contro le doppie imposizioni.

La Commissione tributaria provinciale adita, cui la società ricorreva avverso il diniego dall’Amministrazione, rigettava il ricorso presentato dalla società. Tale decisione, appellata dalla società, veniva confermata dalla Commissione tributaria di secondo grado con la sentenza in epigrafe e che qui s’impugna.

La società ha dunque proposto ricorso per cassazione avverso tale decisione affidandosi a due motivi. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

La società ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo, la società ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del combinato disposto degli artt. 11 delle Disposizioni sulla legge in generale, nonchè della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 18 per aver il giudice di appello erroneamente applicato, retroattivamente, il doppio contributo unificato di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, al procedimento di appello (già pendente al 31/01/2013) nonostante si trattasse di norma applicabile ai procedimenti iniziati dal trentesimo giorno successivo alla data in vigore della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 17.

2. Col secondo motivo, denuncia la violazione e falsa applicazione art. 14 Disp. gen., nonchè degli artt. 43 e 56 del Trattato CE firmato a Roma il 25/03/1957, degli artt. 10, par. 4 lett. b) e 24, par. 2 della Convenzione Italo-Britannica, firmata il 21 ottobre 1988 e ratificata con L. 5 novembre 1990, n. 329, nonchè del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 11, comma 3, art. 14, commi 1 e 4, art. 92 e art. 94, comma 1, deducendo, tra l’altro, l’erroneità della decisione impugnata laddove ha statuito che il divieto di doppia imposizione presuppone un preventivo esborso, dimenticandosi che, trattandosi di norma eccezionale “il diritto di credito d’imposta a favore della società madre, che detiene anche indirettamente più del 10% del capitale sociale della società figlia operante in Italia, sorge, in presenza di dividendi distribuiti dalla figlia, se la società madre è soggetta ad imposta, a tale titolo, nel Regno Unito e non già se ha pagato un’imposta e ne chiede il rimborso”.

3. Il primo motivo di ricorso va accolto, risultando, invece, infondato il secondo motivo che va, conseguentemente, rigettato, per le ragioni di seguito esposte.

4. Quanto al primo motivo, è sufficiente richiamare le disposizioni vigenti all’epoca della proposizione del ricorso in appello.

La L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, ha aggiunto il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, secondo cui: “Quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1 bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso.”. Tale disposizione, a norma del successivo comma 18, si applica ai procedimenti civili di impugnazione iniziati dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge medesima e cioè poichè la L. n. 228 del 2012 è entrata in vigore il giorno 01701/2013 -a decorrere dal 31/01/2013.

5. Per stabilire a quali procedimenti applicare la norma in oggetto occorre risalire alla data di proposizione dell’impugnazione (principale od incidentale) e non, invece, a quella di introduzione del giudizio di primo grado, come più volte affermato da questa Corte che applica la disposizione in esame in base all’epoca di proposizione del ricorso ex art. 360 c.p.c..

6. Nella specie, poichè risulta dalla sentenza impugnata che il ricorso in appello è stato depositato in data 17/08/2012, e poichè è pacifico – non avendo la difesa erariale sollevato alcuna contestazione sul punto – che il ricorso è stato notificato in data 31/07/2012, ha ragione la ricorrente di dolersi dell’erronea applicazione della norma in esame.

7. Passando all’esame del secondo motivo di ricorso, va in primo luogo evidenziato che è incontestato tra le parti, oltre che rimasto accertato dalla sentenza impugnata, che la società ricorrente – società madre di diritto inglese – riportò i dividendi ricevuti dalla società italiana, tra il 2002 ed il 2003, nella dichiarazione dei redditi presentata al fisco britannico, godendo della esenzione accordata a tutti i redditi di fonte estera in base alla norma pattizia (art. 10, par. 4, lett. b) Convezione Italo britannica); è incontestato, altresì, la sussistenza in capo alla società ricorrente di tutti i requisiti richiesti dalla Convenzione, per ottenere il credito di imposta di cui all’art. 10, par. 4, lett. b) Convezione italo britannica.

8. Ciò che è contestato, e che costituisce il nucleo essenziale delle diverse censure articolate dalla ricorrente, è il significato da attribuire alla norma pattizia, art. 10, parag. 4, lett. b) ultimo capoverso, nella parte in cui dispone “(…) a condizione che la società la quale riceve i dividendi ed il credito d’imposta sia a tal titolo soggetta all’imposta del Regno Unito”.

L’art. 10, par. 4, lett. a) e b) della Convenzione tra Italia e Regno Unito, ratificata e resa esecutiva in Italia con L. 5 novembre 1990, n. 329, prevede, infatti, il diritto al credito di imposta, cui una persona fisica residente in Italia avrebbe avuto diritto, in favore del residente nel Regno Unito che riceve dividendi da una società residente in Italia (lett. a), subordinandolo, per le società che controllano, da sole o insieme ad una o più società collegate, direttamente o indirettamente, il 10 per cento o più del potere di voto nella società che paga i dividenti, alla “(…) condizione che la società la quale riceve i dividendi ed il credito d’imposta sia a tal titolo soggetto all’imposta del Regno Unito.”.

9. La sentenza impugnata ha chiarito di aver scelto un’interpretazione “non meramente formale, ma teleologica della norma” (v. pagina 4 della sentenza), affermando che la convenzione previene la doppia imposizione e non la doppia imponibilità, e poichè il rimborso presuppone un preventivo esborso, esso deve essere provato dal solvens, sicchè la società madre avrebbe dovuto provare non soltanto di aver subito la ritenuta di acconto in Italia (fatto, si ripete, incontestato), ma di aver pagato nel regno Unito l’imposta sui medesimi dividenti assoggettati a ritenuta dal fisco italiano. All’uopo richiama la sentenza di questa Corte del 20/02/2013 n. 4164.

10. Ritiene il Collegio che la Commissione abruzzese non solo ha fatto buon governo della normativa in materia, ma, richiamando la sentenza n. 4164 del 20/02/2013, si è uniformata ai principi già affermati da questa Corte ed a cui si intende dare seguito (da Cass. n. 4164-4165 del 20/02/2013, a Cass. n. 18628 del 23/09/2016, Cass. n. 4771 del 24/0272017, Cass. n. 23367 del 06/10/2017, Cass. n. 4568 del 15/02/2019). In base a tale orientamento, il diritto al credito di imposta sancito dall’art. 10 della Convenzione su citata “presuppone la duplice dimostrazione che la società del Regno Unito che riceve i dividendi ne sia “la effettiva beneficiaria” e che la società che “riceve i dividendi ed il credito di imposta sia a tale titolo soggetta all’imposta nel Regno Unito”, gravandone il corrispondente onere probatorio che investe gli elementi costitutivi del diritto del contribuente beneficiarlo dei dividendi a non subire una seconda tassazione della stessa ricchezza già tassata in capo alla società, e di conseguire il rimborso di quanto indebitamente pagato – sulla società che abbia percepito i predetti dividendi.” (così Cass. nn. 4164-4165 del 2013).

12. La giurisprudenza su richiamata, ha soggiunto, con argomentazioni che qui si condividono e si fanno proprie, che tale interpretazione della norma pattizia è l’unica in linea con il sistema del credito d’imposta che il diritto nazionale, applicabile ratione temporum, (all’epoca -2002/2003 – in cui vennero distribuiti dalla società italiana Vesuvius Italia S.p. A. i dividendi alla società ricorrente era in vigore il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 14, mentre le modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 344 del 2003, hanno effetto per i periodi di imposta successivi all’1.1.004), prevedeva al fine di elidere la doppia imposizione interna, attribuendo ai soci, precettori dei dividendi, un credito d’imposta in misura corrispondente all’imposta già versata dalla società erogatrice – e ciò alla scopo di non tassare due volte il reddito prodotto (a carico della società produttrice del reddito e in capo al socio che percepisce il dividendo). Anche nel sistema interno, cioè, l’effettività del divieto delle doppie imposizioni è assicurata soltanto laddove la detrazione del credito d’imposta per gli utili distribuiti ai soci non solo risulti dalla dichiarazione dei redditi regolarmente presentata, ma sia stata anche richiesta nella dichiarazione stessa, dal che ne consegue, armonizzando il sistema nazionale con quello sovranazionale, che per radicare il diritto al credito di imposta nei rapporti transfrontalieri tra società madre, di diritto straniero, e società figlia, di diritto italiano, non è sufficiente l’astratta soggezione all’imposizione sui redditi di impresa nello stato “estero” (in questo caso il Regno Unito), occorrendo la prova che i dividendi percepiti dalla società italiana siano stati concretamente sottoposti a tassazione nel paese della società madre.

13. Tali principi, ancorati ad un interpretazione che va leva sui principi costituzionali di proporzionalità (effettività del divieto della doppia imposizione) e di armonizzazione del diritto interno con il diritto sovranazionale, non sono scalfiti dalle deduzioni difensive di parte ricorrente – che a suo sostegno richiama Cass. n. 26377 del 19/10/2018, Rv. 650810-01 all’uopo considerando quanto chiarito dalla giurisprudenza di legittimità innanzi richiamata, e cioè che il rimborso presuppone la duplice dimostrazione che la società del Regno Unito che riceve i dividendi ne sia la effettiva beneficiaria e che la società che riceve i dividendi ed il credito di imposta sia a tale titolo soggetta all’imposta nel Regno Unito, gravandone il corrispondente onere probatorio sulla società che abbia percepito i predetti dividendi (cfr. Cass. n. 4568 del 15/02/2019).

14. Nel caso in esame, essendo pacifico che la società ricorrente – società madre di diritto inglese – pur avendo dichiarato l’imponibile derivante dalla percezione dei dividendi nella propria dichiarazione dei redditi presentata al fisco inglese, non è stata assoggettata ad alcuna imposizione sugli stessi (stante la specifica esenzione da tassazione prevista dalla normativa inglese), la CTR abruzzese ha rettamente rigettato il ricorso per mancata dimostrazione da parte della società inglese “di aver pagato nel Regno Unito l’imposta sui medesimi dividendi assoggettati a ritenuta dal fisco italiano”. 15. L’accoglimento del primo motivo e la novità della materia, di cui al secondo motivo, esistente al tempo della proposizione del ricorso, giustificano la compensazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso in relazione al primo motivo; rigetta il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e per l’effetto dichiara non dovuto il doppio contributo per il ricorso in appello. Compensa le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 28 maggio 2019.

Depositato in cancelleria il 21 novembre 2019

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