Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30295 del 20/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 20/11/2019, (ud. 18/06/2019, dep. 20/11/2019), n.30295

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. De Felice Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11349-2018 proposto da:

P.M.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

TIBULLO 10, presso lo studio dell’avvocato MARIA VITTORIA PIACENTE,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ORSOLA CARMELA

GENNUSO;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS), in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati

CLEMENTINA PULLI, EMANUELA CAPANNOLO, NICOLA VALENTE, MANUELA MASSA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1033/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 06/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 18/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ALFONSINA

DE FELICE.

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte d’appello di Palermo, confermando la sentenza del locale Tribunale, ha rigettato la domanda di P.M.C., riconosciuta invalida civile in misura del 74% dal 1977 e, in misura del 100% dal 1986, la quale aveva chiesto il ripristino dell’assegno d’inabilità, sospeso dall’Inps a far data dal 2011 per l’asserito superamento del limite reddituale previsto dalla legge, essendo divenuta, nel frattempo, la beneficiaria titolare della pensione di reversibilità da parte del padre e della madre, defunti rispettivamente nel 1996 e nel 2009;

la Corte territoriale ha ritenuto che la circostanza che l’appellante fosse stata dichiarata invalida al 100% non fosse idonea a produrre – di per sè – l’effetto di elevare la soglia reddituale tanto da renderla insensibile alla variazione conseguente al conferimento della pensione di reversibilità;

ha inoltre accertato che la P., nel corso del giudizio di merito, non aveva fornito la prova di essere titolare di una pensione di inabilità, non aveva contestato in via amministrativa la mancata corresponsione della pensione (onde era decaduta dalla relativa azione), nè aveva mai fatto domanda per ottenerla, avendo ritenuto – in buona fede – di esserne titolare per il solo fatto di possedere il 100% d’invalidità;

ha accertato inoltre che ella aveva avanzato domanda amministrativa per la prima volta il 2 marzo 2013, successivamente alla proposizione del ricorso in primo grado (7 febbraio 2013), e che la stessa era stata archiviata per mancata presentazione dell’istante alla visita medico-legale;

in assenza del presupposto amministrativo necessario per ottenere la prestazione rivendicata, la Corte territoriale ha, quindi, ritenuto assorbita ogni questione riguardante la condizione reddituale dell’appellante;

la cassazione della sentenza è domandata da P.M.C. sulla base di due motivi, illustrati da successiva memoria; l’Inps ha opposto difese con tempestivo controricorso;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 5 e 4, la ricorrente lamenta “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti; omessa valutazione della prova documentale offerta e violazione dell’art. 115 c.p.c., e dell’art. 116 c.p.c., comma 1”; sotto il primo dei profili dedotti contesta alla Corte territoriale di aver omesso di valutare l’avvenuto riconoscimento dell’invalidità al 100%, nonchè i documenti allegati con i quali le autorità sanitarie a ciò preposte avevano diagnosticato la grave condizione sanitaria in cui ella versava fin dalla nascita, che, qualora adeguatamente valutati, avrebbero comportato il ripristino della prestazione e l’annullamento dell’indebito pari a Euro 1.737,84, per quote di integrazione al minimo indebitamente percepite in relazione al periodo 1/1/2010 28/2/2012; che il mancato compimento dell’iter amministrativo relativo al riconoscimento della pensione di invalidità era da attribuirsi a inoperosità della Prefettura e dell’Inps ma non certo dell’istante;

quanto al vizio di omessa pronuncia, la Corte territoriale avrebbe mancato di esprimersi sulla richiesta, rivolta anche al primo giudice, di nominare un consulente tecnico al fine di accertare se la patologia sofferta fosse riconducibile alla nascita, come dichiarato nel verbale della Commissione regionale per gli invalidi civili; la pronuncia gravata appare incongruente nel non aver valutato i verbali medici sulla base dei quali l’Inps aveva riconosciuto la pensione ai superstiti fin dal 1996, proprio in virtù della totale inabilità della P.;

col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1 nn. 3, 4 e 5, la ricorrente contesta “Violazione e falsa applicazione delle disposizioni previste dall’art. 152 disp. att. c.p.c.; omessa valutazione della prova documentale offerta, violazione dell’art. 115 c.p.c., e dell’art. 116 c.p.c., comma 1; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti”; la condanna alle spese processuali del grado costituirebbe un’erronea conseguenza dell’avere la Corte territoriale ignorato la richiesta di esenzione depositata ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c. e allegata alla domanda; in proposito, la difesa argomenta in modo articolato come, sulla base della prassi delle Cancellerie delle Corti di merito, le richieste ex art. 152, sebbene non inserite materialmente nel fascicolo d’ufficio, risulterebbero certificate dall’attestazione di corrispondenza – da parte della cancelleria – dei documenti indicati nell’indice del ricorso con gli allegati depositati dalla parte; nel caso in esame la Corte avrebbe ignorato la richiesta di parte di esaminare la nota di iscrizione a ruolo (contenente l’originale della dichiarazione di esenzione ai sensi dell’art. 152), preferendo – illegittimamente – confermare la sentenza di primo grado (p. 9 ric.);

il primo motivo è inammissibile;

secondo il costante orientamento di legittimità “Nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5 (applicabile, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (nel testo riformulato dal citato D.L. n. 83, art. 54, comma 3, ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse”(Cass. n. 26774 del 2016; Cass. n. 19001 del 2016; Cass. n. 5528 del 2014);

nel caso in esame, la prospettazione della censura conferma come pur nella molteplicità degli aspetti considerati, sussista una totale consonanza di opinioni tra il primo e il secondo giudice, di tal che le doglianze della ricorrente appaiono piuttosto rivolte a sollecitare un riesame del merito della causa, inibito in questa sede;

il secondo motivo è fondato;

la censura non è priva di fondamento giuridico, atteso che risulta agli atti che la ricorrente aveva depositato col ricorso in appello la dichiarazione di esenzione dalla condanna alle spese processuali ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c. proposta dinanzi al primo giudice; pertanto, ha errato la Corte d’appello a confermare la statuizione di condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di merito, già disposta in prime cure;

in definitiva, il secondo motivo va accolto, il primo va dichiarato inammissibile; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e vanno dichiarate non dovute da P.M.C. le spese del primo e del secondo grado del giudizio di merito; le spese del presente giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

in considerazione dell’esito del giudizio, si dà atto che non sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo, dichiara inammissibile il primo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e dichiara non dovute da D.P.M.C. le spese del primo e secondo grado del giudizio di merito. Condanna l’Inps al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore della ricorrente, che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 2.000 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 18 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2019

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