Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30095 del 19/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 19/11/2019, (ud. 03/07/2019, dep. 19/11/2019), n.30095

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sul ricorso 23004-2018 proposto da:

B.V., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

STEFANIA MARCHESE;

– ricorrente –

contro

L.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso

la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GAETANO

D’AGOSTINO;

– controricorrente –

contro

C.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 561/2017 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 7/6/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 3/7/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ALDO

CARRATO.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il sig. C.F. conveniva in giudizio con citazione del settembre 2003, dinanzi al Tribunale di Vallo della Lucania, la figlia C.A. chiedendo l’accertamento dell’inadempimento della stessa e la dichiarazione di risoluzione del contratto di vitalizio che era stato tra essi stipulato, con il quale la convenuta si era obbligata al mantenimento e alla coabitazione con i genitori e ad assicurare tutte le forme di assistenza necessarie, a fronte del trasferimento della nuda proprietà di un appartamento sito in Marina di Camerota, con riserva di usufrutto vita natural durante di esso attore e della consorte B.V..

Nella costituzione della predetta convenuta e con l’intervento in giudizio del terzo L.C., nella qualità di creditore della C.A. (munito di garanzia ipotecaria sulla nuda proprietà dell’immobile oggetto del contratto di vitalizio), l’adito Tribunale, con sentenza depositata il 13 novembre 2009, rigettava la domanda e dichiarava l’inammissibilità dell’atto di intervento.

Decidendo sull’appello formulato da B.V., in proprio e quale erede del coniuge C.F., nella contumacia dell’appellata C.A. e nella costituzione del terzo L.C. (che proponeva, a sua volta, appello incidentale), la Corte di appello di Salerno, con sentenza n. 561/2017, rigettava il gravame principale ed accoglieva parzialmente quello incidentale, dichiarando ammissibile l’intervento del L., confermando nel resto l’impugnata sentenza.

Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione la B.V., affidato a due motivi.

L’intimato L.C. ha resistito con controricorso, mentre la C.A. non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Con il primo motivo la ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – l’omesso esame e, comunque, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione nonchè la violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1455 c.c., avuto riguardo alla mancata prova dell’avvenuto adempimento degli obblighi assunti dalla C.A. con il contratto di vitalizio dedotto in giudizio, il cui onere gravava sulla stessa.

Con il secondo motivo la ricorrente ha dedotto – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – un’ulteriore violazione e falsa applicazione dei citati artt. 1453 e 1455 c.c., con riferimento alla ritenuta esclusione, nell’impugnata sentenza, di un grave inadempimento da parte della C.A..

Con il terzo motivo la ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. in ordine alle spese ed ai compensi dei precedenti gradi di giudizio.

Su proposta del relatore, il quale rilevava che entrambi i motivi principali potessero essere ritenuti manifestamente infondati (ed il primo propriamente inammissibile con riferimento al dedotto vizio di motivazione), in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Rileva il collegio che il primo motivo si prospetta inammissibile con riguardo al denunciato vizio di motivazione dedotto alla stregua della precedente formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5), non essendo esso più applicabile “ratione temporis”, tenendo conto che l’impugnata sentenza è stata pubblicata successivamente all’11 settembre 2012.

Lo stesso motivo è, invece, da rigettare in ordine al resto della prospettata censura perchè – conformemente alla redatta proposta ex art. 380-bis c.p.c. – la Corte territoriale non ha affatto omesso di valutare il fatto decisivo relativo al prospettato inadempimento della C.A. nè è incorsa nella dedotta violazione di legge, dal momento che, nella valutazione della insussistenza di detto inadempimento, lo stesso giudice di appello si è conformato alla giurisprudenza di questa Corte in tema di vitalizio “alimentare”, il quale, pur essendo assoggettabile al rimedio della risoluzione di cui all’art. 1453 c.c. (v., ad es., Cass. n. 7033/2000n. 13232/2017), comporta che al medesimo si applichi la relativa disciplina, ivi compresa dell’art. 1455 c.c., circa la valutazione della “non scarsa importanza” dell’inadempimento (cfr. Cass. n. 24014/2004).

Orbene, sulla scorta di questo presupposto, ritiene il collegio che, in effetti, la prospettata censura si risolve in una risollecitazione della valutazione delle risultanze istruttorie di merito circa l’emergenza o meno delle condizioni per addivenire all’invocata risoluzione del contratto di vitalizio per inadempimento, come tale inammissibile nella presente sede di legittimità, siccome adeguatamente motivata dalla Corte salernitana.

Infatti, quest’ultima, con valutazione di merito insindacabile, ha accertato che – sulla scorta delle condizioni previste nel contratto di vitalizio ed in base alla volontà manifestata dagli stessi beneficiari -l’obbligazione assunta da parte della C.A. avrebbe dovuto essere valutata nella sua complessità, avuto riguardo a tutti gli obblighi contemplati nello stesso contratto, e che solo l’inadempimento di tale complessiva obbligazione avrebbe potuto determinare la risoluzione per inadempimento. Senonchè, la Corte territoriale ha accertato che le doglianze dedotte dai genitori dell’obbligata erano state prospettate in modo essenzialmente generico e che, in ogni caso, non era stata fornita la prova univoca della inosservanza di tutti gli obblighi di assistenza convenuti (che incombeva ai vitaliziandi), non essendo, peraltro, risultato che i genitori, per condizioni di salute o per altra ragione, avessero una speciale esigenza di essere esclusivamente assistiti dalla figlia e che la medesima, a tale scopo, non potesse in assoluto allontanarsi da casa.

Anche il secondo motivo – riferito alla stessa asserita violazione degli artt. 1453 e 1455 c.c. – è da ritenersi infondato per le stesse ragioni indicate con riferimento alla reiezione del primo, avendo, come evidenziato, la Corte di appello, sulla scorta della richiamata adeguata motivazione, escluso che, nella condotta della C.A., potesse ravvisarsi un inadempimento di tutti gli obblighi assunti e che, perciò, l’eventuale inadempimento potesse, in ogni caso, essere qualificato come grave e, quindi, tale da legittimare la dichiarazione di risoluzione del contratto.

Il terzo motivo è altrettanto infondato, non potendo, all’evidenza, il giudice di appello, per effetto del rigetto del gravame principale della Brenno, pronunciare sulle spese del giudizio di secondo grado in suo favore, essendo state, peraltro, le stesse integralmente compensate (malgrado l’accoglimento parziale del gravame incidentale).

In definitiva, alla stregua delle svolte argomentazioni, il ricorso deve essere totalmente respinto, con la conseguente condanna della soccombente ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore del controricorrente L.C., che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo. Nulla va disposto, invece, sulle spese relative al rapporto processuale incardinatosi in questa sede tra la ricorrente e l’intimata C.A., non avendo quest’ultima svolto alcuna attività difensiva.

Sussistono, inoltre, le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1- quater al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 – dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario nella misura del 15% ed accessori nella misura e sulle voci come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2 Sezione civile della Corte di cassazione, il 12 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2019

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