Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9589 del 29/04/2011

Cassazione civile sez. lav., 29/04/2011, (ud. 24/03/2011, dep. 29/04/2011), n.9589

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE MICHELANGELO

9, presso lo Studio TRIFIRO’ e PARTNERS, rappresentata e difesa

dall’avvocato BERETTA STEFANO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

S.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE

DON MINZONI 9, presso lo studio dell’avvocato AFELTRA ROBERTO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ZEZZA LUIGI, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 351/2006 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 05/05/2006 R.G.N. 1766/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/03/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito l’Avvocato ZUCCHINALI PAOLO per delega BERETTA STEFANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

IN FATTO E DIRITTO

La Corte rilevato che:

il giudice di appello di Milano, confermando la sentenza di prime cure, ha dichiarato la illegittimita’ del termine apposto al contratto di lavoro stipulato fra il lavoratore in epigrafe da una parte, e Poste Italiane s.p.a. dall’altra; per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la societa’ Poste Italiane affidato a quattro motivi; il lavoratore ha resistito con controricorso;

la Corte territoriale con riferimento al contratto a termine stipulato per il periodo dal 16 giugno 2002 al 31 agosto 2002, “per esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi comprendendo un piu’ funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonche’ all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001, 11 gennaio 2002 e 17 aprile 2002”, ha, sulla premessa dell’applicabilita’ del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, confermato, ritenendo generica l’indicazione in contratto delle esigenze e non provata la effettiva sussistenza dei presupposti del contratto a termine nel caso concreto, la sentenza di primo grado in punto di declaratoria della nullita’ del termine apposto a detto contratto e di condanna della societa’ a pagare le retribuzioni omesse a far tempo dalla messa in mora;

la suddetta impostazione e’ stata censurata dalla societa’ che assume, con i primi due motivi, la violazione del citato D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368 in punto di ritenuta necessita’ di prova delle esigenze in relazione al caso concreto e di conseguenze giuridiche nell’ipotesi d’illegittimita’ del termine nonche’, con il terzo motivo, la violazione di legge in ordine alla spettanza delle retribuzioni in assenza di controprestazione e di’ messa in mora e, con il quarto motivo, il vizio di motivazione in relazione all’aliunde perceptum; i primi due motivi sono infondati;

questa Corte ha infatti, condivisibilmente, sancito, che in tema di apposizione del termine al contratto di lavoro, il legislatore, richiedendo l’indicazione da parte del datore di lavoro delle “specificate ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”, ha inteso stabilire, in consonanza con la direttiva 1999/70/CE, come interpretata dalla Corte di Giustizia (cfr. sentenza del 23 aprile 2000, in causa C-378/07 ed altre; sentenza del 22 novembre 2005, in causa C-144/04), un onere di specificazione a carico del datore di lavoro- e quindi di prova- delle ragioni oggettive del termine finale, vale a dire di indicazione sufficientemente dettagliata della causale nelle sue componenti identificative essenziali, sia quanto al contenuto, che con riguardo alla sua portata spazio-temporale e piu’ in generale circostanziale, perseguendo in tal modo la finalita’ di assicurare la trasparenza e la veridicita’ di tali ragioni, nonche’ l’immodificablita’ delle stesse nel corso del rapporto (per tutte Cass. 1 febbraio 2010 n. 2279);

parallelamente questa Corte ha affermato, ed in questa sede va ribadito, che il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 anche anteriormente alla modifica introdotta dalla L. n. 247 del 2007, art. 39 ha confermato il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato e’ normalmente a tempo indeterminato, costituendo l’apposizione del termine un’ipotesi derogatoria pur nel sistema, del tutto nuovo, della previsione di una clausola generale legittimante l’apposizione del termine “per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”. Pertanto, in caso di insussistenza delle ragioni giustificative del termine, e pur in assenza di una norma che sanzioni espressamente la mancanza delle dette ragioni, in base ai principi generali in materia di nullita’ parziale del contratto e di eterointegrazione della disciplina contrattuale, nonche’ alla stregua dell’interpretazione dello stesso art. 1 citato nel quadro delineato dalla direttiva comunitaria 1999/70/CE (recepita con il richiamato decreto), e nel sistema generale dei profili sanzionatori nel rapporto di lavoro subordinato, tracciato dalla Corte cost. n. 210 del 1992 e n. 283 del 2005, all’illegittimita’ del termine ed alla nullita’ della clausola di apposizione dello stesso consegue l’invalidita’ parziale relativa alla sola clausola e l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (V per tutte Cass. 21 maggio 2008 n. 12985);

il motivo (terzo),poi, proposto dalla societa’ Poste in relazione alle conseguenze economiche derivanti dalla accertata invalidita’ dell’apposizione del termine che si conclude con il seguente quesito di diritto: “se per il principio della corrispettivita’ della prestazione, il lavoratore – a seguito dell’accertamento giudiziale dell’illegittimita’ del contratto a termine stipulato- ha diritto al pagamento delle retribuzioni soltanto dalla data di riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in mora il datore di lavoro, offrendo espressamente la prestazione lavorativa nel rispetto della disciplina di cui all’art. 126 c.c. e segg.; in ogni caso se la comunicazione della lettera con cui viene esperito il tentativo di conciliazione ex art. 410-412 bis c.p.c. possa essere qualificato come messa in mora del datore di lavoro” e’ inammissibile per genericita’ de quesito e per violazione del principio di autosufficienza;

invero tale quesito prescinde del tutto dalla ratio decidendi posta a base della sentenza impugnata e si risolve nella enunciazione in astratto delle regole vigenti nella materia e come tale non e’ idoneo ad assolvere alla sua funzione;

questa Corte ha affermato, infatti, che, a norma dell’art. 366 bis c.p.c. non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo, e’ inammissibile il motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilita’ alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, (Cass. S.U. 11 marzo 2008 n. 6420); ovvero quando, essendo la formulazione generica e limitata alla riproduzione del contenuto del precetto di legge, e’ inidoneo ad assumere qualsiasi rilevanza ai fini della decisione del corrispondente motivo, mentre la norma impone al ricorrente di indicare nel quesito l’errore di diritto della sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (Cass. S.U. 9 luglio 2008 n. 187 59);

non e’ possibile valutare in questa sede se la lettera, con cui viene esperito il tentativo di conciliazione possa essere qualificato come messa in mora, atteso che la societa’ ricorrente omette del tutto di trascrivere nel ricorso, in violazione del richiamato principio di autosufficienza, il testo di siffatta lettera; del resto, trattandosi di atto di autonomia privata, l’interpretazione di tale atto fornita dal giudice del merito puo’ essere censurata in sede di legittimita’ solo per violazione dei canoni legali di ermeneutica di cui all’art. 1362 c.c. e segg. e/o per vizio di motivazione, nella specie non dedotti dalla societa’; l’ultimo motivo relativo all’aliunde perceptum e’ inammissibile in quanto trattasi di questione che, non trattata nella sentenza impugnata, va, in mancanza di specifica allegazione del ricorrente- il quale omette di indicare quando e dove ed in quali esatti termini la tematica e’ stata sottoposta al giudice del merito-, considerata sollevata per la prima volta solo nel giudizio di legittimita’ e, quindi, come tale inammissibile;

conseguentemente non vi e’ spazio per l’applicazione dello ius supervenines di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5,6 e 7;

in conclusione il ricorso va respinto con compensazione delle spese del giudizio di legittimita’ in considerazione della specifica materia del contendere sulla quale solo di recente questa Corte si e’ pronunciata.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimita’.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2011

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