Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29650 del 14/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 14/11/2019, (ud. 22/05/2019, dep. 14/11/2019), n.29650

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Presidente –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. D’OVIDIO Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

ricorso 14470-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

B.F., elettivamente domicilialo in ROMA VIA NOMENTANA 295,

presso lo studio dell’avvocato VINCENZO PENTELLA, rappresentato e

difeso dall’avvocato LUIGI RUSSO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 192/2013 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 18/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/05/2019 dal Consigliere Dott. PAOLA D’OVIDIO.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con ricorso proposto alla Commissione tributaria provinciale di Milano, B.F. impugnava la cartella di pagamento n. (OMISSIS), relativa all’anno 2008, recante l’iscrizione a ruolo delle maggiori sanzioni derivanti dal ritardato pagamento degli importi di cui alla comunicazione di irregolarità notificatagli, in data 4/1/2011, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, comma 3.

Il ricorrente in particolare, eccepiva la nullità della cartella impugnata per vizio della notifica e, nel merito, deduceva che il ritardato pagamento (avvenuto cinque giorni dopo la scadenza del termine di trenta giorni prescritto dalla legge al fine di godere della riduzione delle sanzioni al 10%) era stato determinato dal comportamento dell’Amministrazione, la quale, in violazione del principio di leale collaborazione sancito dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, non aveva risposto ad una specifica istanza di autotutela presentata dal contribuente in relazione alla comunicazione di irregolarità.

Si costituivano sia l’ente impositore che l’agente della riscossione, entrambi deducendo l’infondatezza delle censure relative al procedimento notificatorio; l’Agenzia delle entrate contestava altresì l’eccezione relativa alla pretesa violazione dello Statuto del contribuente, evidenziando che nessun obbligo giuridico di provvedere grava sull’Amministrazione finanziaria in caso di presentazione da parte del privato di un’istanza di autotutela.

2. Con sentenza n. 297/12/2012 la Commissione tributaria provinciale adita, disattesa la preliminare eccezione sollevata dal ricorrente in ordine al vizio di notifica, accoglieva il ricorso e compensava tra le parti le spese processuali.

3. Avverso tale pronuncia proponeva appello l’Agenzia delle entrate ribadendo che la mancata risposta dell’Amministrazione alla istanza di autotutela del privato non può determinare alcuna nullità dell’atto impositivo, nè è idonea ad incidere sui termini previsti dalla legge per il pagamento delle imposte.

Si costituiva il contribuente contestando le avverse deduzioni e chiedendo il rigetto dell’appello, sostenendo che l’Ufficio, in aderenza al principio di leale collaborazione stabilito dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, avrebbe dovuto emettere un provvedimento, anche eventualmente negativo, in riscontro all’istanza di autotutela del contribuente.

4. Con sentenza n. 192/45/13, depositata il 18 dicembre 2013 e non notificata, la Commissione tributaria regionale di Milano confermava la sentenza impugnata e condannava l’Ufficio alla refusione delle spese del grado.

5. Avverso tale sentenza l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo.

B.F. resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 426, art. 22 e della L. n. 212 del 2000, art. 10, in quanto il giudice del gravame, pur riconoscendo che non vi è alcun obbligo da parte dell’amministrazione finanziaria di fornire una risposta alle istanze di autotutela, ha respinto il gravame ritenendo che nella specie il comportamento dell’Ufficio avrebbe comunque violato il principio di collaborazione e buona fede sancito dallo Statuto del contribuente.

2. Il motivo è fondato.

In linea di fatto è pacifico in causa che il B. pagò quanto indicato nella comunicazione di irregolarità – notificatagli in data 4/1/2011 ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, comma 3, – con un ritardo di 5 giorni rispetto alla scadenza del termine di 30 giorni stabilito dalla legge per poter usufruire della riduzione al 10% delle sanzioni: come riferito dallo stesso contribuente, infatti, il pagamento è avvenuto in data 9/2/2011, mentre il termine di pagamento scadeva il 4 febbraio 2011 (v. pag. 3 del controricorso).

Conseguentemente, l’Ufficio ha iscritto a ruolo l’importo portato dalla cartella impugnata, corrispondente alle sanzioni in misura piena, pari al 30% delle imposte versate, deducendo la quota del 10% già corrisposta a seguito della comunicazione di irregolarità.

Il contribuente ha invocato l’art. 10 dello Statuto del contribuente, per essere stata emessa la cartella di pagamento impugnata nonostante egli avesse presentato una istanza di autotutela alla quale l’Amministrazione non aveva dato risposta.

La decisione qui impugnata, pur riconoscendo che nessuna norma sancisce la nullità dell’atto nè lo slittamento dei termini fissati per il pagamento in caso di mancata risposta dell’Ufficio all’istanza di autotutela presentata dal contribuente, ha tuttavia ritenuto che “non può essere negato che la mancata risposta dell’Amministrazione finanziaria, accertato il requisito della buona fede e di correttezza del comportamento del contribuente, violi il principio di leale collaborazione stabilito dalla L. n. 212 del 2000, art. 10”. Tale violazione, ad avviso della CTR, deriverebbe “dalla finalità della comunicazione di irregolarità, che è proprio quella di instaurare un contraddittorio preventivo con la parte”, sicchè, si legge ancora nella sentenza impugnata, “l’amministrazione era tenuta a dare risposta all’istanza del contribuente”, pur in assenza di una norma specifica che ne sanzioni l’omissione.

Osserva il Collegio che, contrariamente a quanto ritenuto dalla CTR, l’Ufficio ha fatto corretta applicazione del D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, a mente del quale “le somme che, a seguito dei controlli automatici, ovvero dei controlli eseguiti dagli uffici, effettuati ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 – bis e del D.P.R. 29 settembre 1972, n. 633, art. 54-bis, risultano dovute a titolo d’imposta, ritenute, contributi e premi o di minori crediti già utilizzati, nonchè di interessi e di sanzioni per ritardato o omesso versamento, sono iscritte direttamente nei ruoli a titolo definitivo” (comma 1), con la successiva precisazione (comma 2) che “riscn’zione a ruolo non è eseguita, in tutto o in parte, se il contribuente o il sostituto d’imposta provvede a pagare le somme dovute… entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione, prevista dai commi 3 dei predetti artt. 36 – bis e 54 – bis, ovvero della comunicazione definitiva contenente la rideterminazione in sede di autotutela delle somme dovute, a seguito dei chiarimenti forniti dal contribuente o dal sostituto d’imposta. In tal caso, l’ammontare delle sanzioni amministrative dovute è ridotto ad un terzo…”.

Dal tenore di tale norma, invero, si evince chiaramente che la disciplina prevista dal legislatore con riferimento alle somme dovute a seguito di controlli automatici o formali prevede l’attivazione della riscossione coattiva sulla base della mera rilevazione dell’irregolarità, pur essendo consentito al contribuente, una volta raggiunto dalla previa comunicazione bonaria di siffatta rilevazione, di attivarsi presso gli uffici competenti per fornire eventuali chiarimenti volti a dimostrare l’infondatezza totale o parziale della pretesa finanziaria.

Ove tale facoltà sia esercitata, tuttavia, non si realizza alcuna sospensione del termine di trenta giorni, decorrente dal ricevimento della comunicazione d’irregolarità, concesso al contribuente per effettuare il pagamento evitando l’iscrizione a ruolo ed usufruendo della riduzione ad un terzo dell’ammontare delle sanzioni.

Solo nel caso in cui l’amministrazione finanziaria, a seguito dei chiarimenti forniti dal contribuente, ridetermini in sede di autotutela l’importo delle somme dovute, decorrerà un nuovo termine dalla relativa comunicazione.

Dunque, la mera presentazione di una istanza in autotutela da parte del contribuente, ove non seguita da una comunicazione di rideterminazione delle somme dovute, non esime quest’ultimo dall’onere di pagare entro il termine di legge, decorrente dalla comunicazione d’irregolarità, al fine di usufruire della riduzione della sanzione, attesa l’autonomia del procedimento di riscossione coattiva da quello introdotto dalla richiesta di provvedere in autotutela.

La mancata risposta dell’Amministrazione all’istanza presentata in autotutela, conseguentemente, non incide sui termini di legge per il pagamento degli importi richiesti, nè costituisce violazione del principio di collaborazione e buona fede sancito dalla L. n. 212 del 2000, art. 10.

Con riguardo a quest’ultimo profilo, giova ricordare che, secondo la giurisprudenza di codesta Suprema Corte, per l’accertamento della violazione del suddetto principio occorre che ricorrano specifiche condizioni.

In particolare, si è precisato che, ai sensi dell’art. 10, commi 1 e 2, dello Statuto del contribuente – il quale sancisce una regola avente portata generale ed idonea a disciplinare una serie indeterminata di casi – costituisce situazione tutelabile quella caratterizzata: a) da un’apparente legittimità e coerenza dell’attività dell’Amministrazione finanziaria, in senso favorevole al contribuente; b) dalla buona fede del contribuente, rilevabile dalla sua condotta, in quanto connotata dall’assenza di qualsiasi violazione del dovere di correttezza gravante sul medesimo; c) dall’eventuale esistenza di circostanze specifiche e rilevanti, idonee a indicare la sussistenza dei due presupposti che precedono. (Cass., sez. 6-5, 1471/2015 n. 537, Rv. 634360 – 01; Cass., sez. 5, 10/12/2002, n. 17576, Rv. 559128 – 01).

Orbene, il primo dei tre requisiti dianzi indicati non appare in alcun modo configurabile nel caso in esame, atteso che nessuna attività (nè omissione di attività) caratterizzata da una apparenza legittima e coerente in senso favorevole al contribuente può essere ravvisata nella mancata risposta dell’Amministrazione all’istanza presentata dal B., peraltro non sanzionata da alcuna norma di legge.

D’altro canto, costituendo tale istanza una mera sollecitazione del potere di autotutela, il cui esercizio è discrezionale, la sua proposizione non era affatto idonea ad ingenerare nel contribuente il legittimo affidamento in una risposta, tantomeno in senso favorevole, a nulla rilevando a tal fine la soggettiva convinzione del contribuente medesimo nella fondatezza delle proprie rimostranze, e neppure la oggettiva fondatezza delle stesse.

Peraltro, nel caso specifico, è altresì rilevante la circostanza che la proposizione dell’istanza è pacificamente avvenuta solo due giorni prima della scadenza del termine di trenta giorni dalla comunicazione di irregolarità (segnatamente in data 2/2/2011, come riferito dallo stesso B.: v. pag. 3 del controricorso). Tale circostanza temporale, indipendentemente dalle ragioni che l’hanno determinata, ragionevolmente non consentiva di confidare in una risposta dell’Amministrazione entro il termine utile (4/2/2011) per usufruire della riduzione della sanzione; anche in ragione di ciò deve escludersi che nella concreta fattispecie la mancata risposta da parte dell’Ufficio potesse configurare un comportamento contrario ai principi di collaborazione e buona fede.

La decisione qui impugnata, dunque, non ha fatto corretta applicazione delle norme e dei principi suesposti.

2. Conclusivamente, il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata cassata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con rigetto del ricorso originariamente proposto dal contribuente.

I diversi esiti dei primi due gradi rendono equo compensare tra le parti le spese dei giudizi di merito, ponendo a carico del resistente soccombente le spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte:

– accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario proposto da B.F.;

– compensa tra le parti le spese dei gradi di merito;

– condanna il resistente a pagare alla ricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.000,00 per compensi, oltre rimb. forf. ed oneri fiscali e previdenziali di legge.

Così deciso in Roma, dalla 5 sezione civile della Corte di cassazione, il 22 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2019

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA