Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29123 del 11/11/2019
Cassazione civile sez. VI, 11/11/2019, (ud. 05/06/2019, dep. 11/11/2019), n.29123
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21183-2018 proposto da:
S.M., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,
presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati
SCHEMBARI ENRICO, DISTEFANO MARINO GIOVANNI;
– ricorrente –
contro
POSTE ITALIANE SPA (OMISSIS), in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 175,
presso la sede della FUNZIONE AFFARI LEGALI dell’Istituto medesimo,
rappresentata e difesa dagli avvocati FICELI MASSIMO, PINO ANTONIA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1380/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,
depositata il 22/12/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 05/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ESPOSITO
LUCIA.
Fatto
RILEVATO
Che:
la Corte d’Appello di Catania, con sentenza del 22 dicembre 2017, confermò la statuizione del giudice di primo grado che, in accoglimento della domanda proposta da Poste Italiane s.p.a. nei confronti di S.M., aveva condannato quest’ultima al pagamento a titolo di risarcimento del danno di una somma di denaro corrispondente all’ammanco di cassa riscontrato a seguito di verifica interna del 12/7/2006 nella contabilità dei valori bollati dell’ufficio postale di Ragusa Centro, cagionato dal mancato versamento e contabilizzazione sul conto di servizio del corrispettivo di una vendita di valori bollati effettuata l’8/1/2005;
la Corte territoriale aveva ritenuto che la responsabilità fosse da ascrivere alla S., la quale aveva materialmente curato la vendita dei valori bollati e avrebbe dovuto verificare il completamento della procedura, assicurandosi che il versamento del corrispettivo fosse stato eseguito e registrato;
avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione S.M. sulla base di unico motivo, illustrato con memoria;
la società ha resistito con controricorso;
la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata notificata alla parte costituita, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.
Diritto
CONSIDERATO
Che:
Con l’unico motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2104 e 2118 c.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, osservando che la sua condotta doveva essere ricondotta nell’alveo della diligenza richiesta dall’art. 2104 c.c., poichè dalla istruttoria era emerso che le era stata affidata esclusivamente l’attività di front office per la vendita di valori, mentre non rientravano tra i suoi compiti, ma, piuttosto, tra i compiti di altro soggetto, il versamento e la contabilizzazione delle somme incassate, dovendosi la sua attività interrompersi al momento dell’incasso delle somme relative alla vendita;
il motivo di ricorso è inammissibile, poichè con essa, sub specie di vizio di violazione di legge, la ricorrente mira alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. n. 8758 del 04/04/2017), peraltro in ipotesi di doppia conforme, in cui è escluso il sindacato di legittimità sul vizio di motivazione (ex multis Cass. n. 5528 del 10/03/2014, Cass. n. 26774 del 22/12/2016);
che, specificamente, la Corte territoriale aveva chiarito come fosse emerso dall’istruttoria, per dichiarazione della stessa S., che ella fosse l’incaricata della contabilità della vendita dei valori bollati e del riscontro dei versamenti degli introiti, e che l’inadempimento della stessa era emerso allorchè la versione sostenuta dalla lavoratrice, di aver predisposto la documentazione inerente la registrazione dell’incasso senza effettuarla, dovendo cessare dal servizio alle 14.30, era stata smentita dalle risultanze del prospetto presenze, attestante la presenza in servizio della S. sino alle 14.59;
in base alle svolte argomentazioni il ricorso va dichiarato inammissibile, con liquidazione delle spese secondo soccombenza.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 5 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2019