Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8762 del 15/04/2011
Cassazione civile sez. I, 15/04/2011, (ud. 22/03/2011, dep. 15/04/2011), n.8762
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –
Dott. CECCHERINI Aldo – rel. Consigliere –
Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –
Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
A.E. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA G. NICOTERA 24, presso l’avvocato SPOSATO GIANLUCA,
rappresentata e difesa dall’avvocato FERRARI FRANCESCO, giusta
procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,
domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di SALERNO depositato il
29/10/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
22/03/2011 dal Consigliere Dott. ALDO CECCHERINI;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato SPOSATO LUCA, per delega, che ha
chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
LETTIERI Nicola, per l’accoglimento parziale del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto 29 ottobre 2007, la Corte d’appello di Salerno ha condannato il Ministero della giustizia al pagamento di Euro 2.000,00 a favore di A.E., a titolo di equa riparazione per l’eccessiva durata del processo presupposto, iniziato davanti al Tribunale di Lamezia Terme il 24 novembre 1993 e terminato con sentenza della Corte d’appello di Catanzaro in data 28 marzo 2006.
Per la cassazione di questo decreto, non notificato, la signora A. ricorre per un unico motivo.
L’amministrazione resiste con controricorso.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso, posto sotto la rubrica della violazione o mancata applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e degli artt. 6, 1, e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, premesse delle considerazioni critiche sulla durata effettiva del procedimento, sull’entita’ del risarcimento per ogni anno di ritardo, sul comportamento del giudice e di ogni altra autorita’ coinvolta o intervenuta, sulla complessita’ del caso e sul comportamento delle parti, si pone alla corte il seguente quesito di diritto:
“se vi e’ violazione o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 degli artt. 1223, 1226, 1227 e 2056 c.c. nonche’ dell’art. 6 par. 1 e dell’art. 13 della CEDU, nel caso in cui non venga indicato il periodo di eccessiva durata e comunque non venga liquidato in misura congrua e corretta l’equo indennizzo ad un soggetto fisico – nel caso di specie, parte in un giudizio civile introdotto con citazione del 24.11.1993 e definito in primo grado dal Tribunale di Lamezia Terme con sentenza del 20.1.2003 e in secondo grado dalla Corte d’appello di Catanzaro con sentenza 28.3.2006 – che abbia subito un danno non patrimoniale derivante dall’eccessiva durata del processo medesimo”.
Il ricorso espone censure eterogenee all’interno di un unico motivo posto sotto la rubrica della violazione di diverse norme di diritto.
Secondo la disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 40 del 2006, e applicabile alla fattispecie ratione temporis, il quesito di diritto prescritto dall’art. 366-bis cod. proc. civ. non puo’ essere unico per l’intero ricorso, ma deve essere formulato separatamente rispetto a ciascuna censura espressa, come si evince sia dall’indicazione separata nella norma dei singoli motivi di ricorso, sia dall’espressione “ciascun motivo”, che si legge nel suo comma 2 (Cass. 19 dicembre 2006 n. 27130, 23 luglio 2007 n. 16275); ed e’ inammissibile l’unico quesito formulato in termini tali da richiedere una previa attivita’ interpretativa della Corte, come accade nell’ipotesi in cui sia proposto un quesito multiplo, la cui formulazione imponga alla Corte di sostituirsi al ricorrente mediante una preventiva opera di semplificazione, per poi procedere alle singole risposte che potrebbero essere tra loro diversificate (Cass. 29 gennaio 2008 n. 1906). A cio’ deve aggiungersi che ogni quesito, formulato per ciascun motivo di ricorso, deve consentire l’individuazione del principio di diritto censurato posto dal giudice a quo alla base del provvedimento impugnato e, correlativamente, del principio, diverso da quello, la cui auspicata applicazione da parte della Corte di cassazione possa condurre a una decisione di segno inverso (Cass. Sez. un. 24 dicembre 2009 n. 27368), requisito che manca nella fattispecie; e che esso non puo’ tradursi, come sostanzialmente avviene nel caso in esame, in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte in ordine alla fondatezza della censura cosi’ come illustrata (Cass. Sez. un. 5 febbraio 2008 n. 2658).
Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile, e le spese del giudizio di legittimita’ devono essere poste a carico della parte soccombente.
P.Q.M.
LA CORTE dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in Euro 800,00, oltre alla spese prenotate a debito.
Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima della Corte suprema di cassazione, il 22 marzo 2011.
Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2011