Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28451 del 05/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 05/11/2019, (ud. 24/09/2019, dep. 05/11/2019), n.28451

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10373/2014 proposto da:

N.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA

BALDUINA 187, presso lo studio dell’avvocato STEFANO AGAMENNONE, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIA CRISTINA

BERGAMINI;

– ricorrente –

contro

AZIENDA USL DI BOLOGNA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA GRAZIOLI 5,

presso lo studio dell’avvocato MARIA ROSARIA RUSSO VALENTINI,

rappresentata e difesa dall’avvocato ARIANNA CECUTTA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 259/2013 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 16/04/2013, R.G.N. 230/2010.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 16.4.2013, la Corte d’appello di Bologna, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda di N.F. volta ad ottenere la somministrazione a carico del Servizio Sanitario Nazionale del c.d. multitrattamento D.B.;

che avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione N.F., deducendo due motivi di censura;

che l’Azienda Sanitaria Locale di Bologna ha resistito con controricorso;

che parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 32 Cost. e D.L. n. 536 del 1996, art. 1, comma 4 (conv. con L. n. 648 del 1996), anche in relazione al D.L. n. 186 del 1998, art. 1, comma 4 (conv. con L. n. 257 del 1998), ed eventualmente del D.L. n. 463 del 1983, art. 10, comma 2 (conv. con L. n. 638 del 1983), per non avere la Corte di merito ritenuto che l’acclarata efficacia, nei suoi confronti, della terapia valesse ad attrarre quest’ultima nell’ambito dei trattamenti alternativi che pure, ai sensi del cit. D.L. n. 536 del 1996, art. 1, comma 4, debbono essere posti a carico del Servizio Sanitario Nazionale;

che, con il secondo motivo, la ricorrente lamenta omesso esame circa un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., n. 5, per non avere la Corte territoriale vagliato le proprie argomentazioni difensive, rigettando la domanda in relazione all’avvenuta chiusura della sperimentazione sul c.d. multitrattamento D.B., nonostante che l’impostazione data dalla sua difesa prescindesse da tale aspetto della vicenda a beneficio dell’indispensabile e prioritaria l’indagine medico-legale sull’efficacia del trattamento medico-farmacologico nel caso concreto;

che il primo motivo è infondato, essendosi consolidato il principio di diritto secondo cui, prevedendo la disposizione cit. l’erogabilità a carico del servizio sanitario nazionale di farmaci non ancora autorizzati ma sottoposti a sperimentazione clinica e di farmaci da impiegare per una indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata, sempre che non esista valida alternativa terapeutica, e avendo l’Istituto Superiore della Sanità, con comunicazioni in data 28.7.1998 e 13.11.1998, reso nota l’assenza di risposte favorevoli in ordine alla verifica dell’attività antitumorale del trattamento in parola, la sperimentazione effettuata e ormai conclusa deve ritenersi che abbia escluso che il c.d. multitrattamento D.B. possa costituire una valida alternativa terapeutica, secondo la formula usata dall’art. 1, comma 4, cit., rispetto a quella tradizionale (cfr. in termini Cass. n. 23671 del 2011);

che argomentare diversamente equivarrebbe a sostenere che un trattamento medico-farmacologico debba essere posto a carico della collettività laddove sussista una qualsiasi “speranza terapeutica”, in contrasto con il consolidato principio secondo cui, al fine del riconoscimento del diritto alla erogazione da parte del S.S.N. di cure tempestive non erogabili dal servizio pubblico, l’evidenza scientifica dei benefici apportati alla salute dalla terapia o cura richiesta costituisce requisito imprescindibile della domanda, l’adeguatezza della terapia rispetto al singolo caso potendo venire in rilievo solo per escludere che terapie corroborate scientificamente possano comunque essere concesse (così da ult. Cass. n. 6775 del 2018, sulla scorta di Cass. nn. 17244 del 2016 e 18676 del 2014);

che in tale ultimo senso deve intendersi il rilievo attribuito dalla giurisprudenza di questa Corte alla necessità che il giudice di merito tenga conto del principio di appropriatezza fissato dalla norma di legge e operi in relazione ad esso anche il giudizio di efficacia della terapia (così Cass. nn. 10692 del 2008, 18676 del 2014, 7279 del 2015), non potendo l’eventuale efficacia meramente individuale di una terapia per la quale non esistano obiettive evidenze scientifiche giustificare l’accollo alla collettività della relativa spesa (in tal senso, da ult., Cass. n. 8733 del 2019);

che il secondo motivo è invece inammissibile, essendosi chiarito che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 (conv. con L. n. 134 del 2012), introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione che è relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nel quale paradigma non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass. n. 14802 del 2017);

che il ricorso, conclusivamente, va rigettato, nulla statuendosi sulle spese di lite in applicazione dell’art. 152 att. c.p.c.;

che, in considerazione del rigetto del ricorso, debbono ritenersi sussistenti i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2019

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