Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28418 del 05/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 05/11/2019, (ud. 04/06/2019, dep. 05/11/2019), n.28418

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7480-2018 proposto da:

ATAC SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PRENESTINA 45, presso lo

studio dell’avvocato STEFANO BIBBOLINO, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

B.M., C.S., elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO

FARANDA, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

PASQUALE MARIA CRUPI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 3908/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 06/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 04/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LUIGI

CAVALLARO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 6.9.2017, la Corte d’appello di Roma ha rigettato l’appello proposto da ATAC s.p.a. avverso la pronuncia di primo grado che aveva accolto le domande proposte da C.S. e B.M. per conseguire differenze retributive; che avverso tale pronuncia ATAC s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura;

che C.S. e B.M. hanno resistito con controricorso;

che è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380 – bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio;

che i controricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione dell’art. 434 c.p.c. per avere la Corte di merito rigettato l’appello per mancata impugnazione di una delle due rationes decidendi della pronuncia impugnata, laddove a ben vedere il gravame concerneva entrambe;

che, con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione degli artt. 1362 e 2113 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto che la transazione non potesse riguardare diritti il cui acquisto era prevedibile al momento della stipula;

che, con riguardo al primo motivo, è assolutamente consolidato il principio secondo cui il giudice, decidendo su una questione che, benchè logicamente pregiudiziale sulle altre, attiene al merito della causa, a differenza di quanto avviene qualora dichiari l’inammissibilità della domanda o il suo difetto di giurisdizione o competenza, non si priva della potestas iudicandi in relazione alle ulteriori questioni di merito, sicchè, ove si pronunci anche su di esse, le relative decisioni non configurano obiter dicta, ma ulteriori rationes decidendi, che la parte ha l’interesse e l’onere d’impugnare, in quanto da sole idonee a sostenere il decisum (cfr. da ult. in termini Cass. n. 6985 del 2019);

che, nella specie, benchè la pronuncia di primo grado avesse rigettato l’eccezione di inammissibilità della domanda proposta dall’odierna ricorrente sul duplice rilievo che la transazione su cui detta eccezione si fondava non prevedeva fra il proprio oggetto il diritto agli scatti di anzianità che era stato fatto valere in quel giudizio e, quand’anche l’avesse contemplato, sarebbe stata nulla perchè al momento della sua stipula il relativo diritto non era ancora maturato, l’odierna ricorrente ha censurato l’anzidetta decisione sostenendo che gli scatti di anzianità dovevano rientrare nell’oggetto della transazione in quanto ricompresi nell’ampia dizione “differenze retributive” (cfr. la sentenza di primo grado e l’atto di appello per come debitamente trascritti a pagg. 8-10 del ricorso per cassazione);

che, come esattamente rilevato dai giudici territoriali, codesto motivo di gravame era inidoneo ad attingere l’ulteriore ratio decidendi della sentenza impugnata, concernente, come detto, non già ciò che della transazione aveva concretamente formato oggetto, ma ciò che legittimamente avrebbe potuto essere oggetto di disposizione transattiva;

che il ricorso, assorbito logicamente il secondo motivo, va pertanto rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che seguono la soccombenza;

che, in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 4 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2019

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