Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27818 del 30/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 30/10/2019, (ud. 28/06/2019, dep. 30/10/2019), n.27818

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello – Consigliere –

Dott. PERINU Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12619/2012 R.G. proposto da:

Studio Dentistico Associato B. Dott. N. e Dott. F.,

in persona dei legali rapp.ti p.t., B.N. e F.,

nonchè B.F. e B.N. in proprio, rappresentati

e difesi, in forza di procura in calce al ricorso, dall’Avv.to

Domenico D’Arrigo, con il quale sono elettivamente domiciliati in

Roma, alla Via Prestinari n. 13, presso lo studio dell’Avv.to Paola

Ramadori.

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa, ope legis, dall’Avvocatura Generale

dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 37/40/11 della Commissione Tributaria

Regionale della Lombardia, depositata in data 08/04/2011 e non

notificata.

Udita la relazione del Consigliere Rosita d’Angiolella svolta nella

Camera di consiglio del 28 giugno 2019.

Fatto

RITENUTO

che:

La controversia trae origine da una verifica dell’Amministrazione finanziaria nei confronti dello Studio Dentistico Associato B. – Dott. N. e Dott. F., con la quale si accertava, per l’anno 2003, un reddito di lavoro autonomo di Euro 247.162, in luogo di quello dichiarato di Euro 77.018,00, ed un valore della produzione netta di Euro 322.281,00, al posto di quello dichiarato di Euro 144.637,00; venivano, dunque, notificati a B.F. e B.N. due distinti avvisi di accertamento, con i quali l’Agenzia delle Entrate rettificava il reddito di partecipazione dei medesimi conseguiti nello studio dentistico, così accertando le maggiori imposte Irpef dovute e irrogando le relative sanzioni. Detti avvisi venivano impugnati distintamente innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Brescia (di seguito, CTP) che, riuniti i ricorsi, li accoglieva parzialmente.

Avverso tale sentenza, proponeva appello l’Ufficio innanzi la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia (di seguito, per brevità, CTR), che, in riforma della decisione della CTP, accoglieva l’appello e confermava gli avvisi di accertamento emessi nei confronti dello studio dentistico.

Avverso la sentenza della CTR, di cui in epigrafe, hanno proposto ricorso per Cassazione lo Studio Dentistico Associato B., in persona dei soci e legali rappresentati, B.F. e B.N., nonchè questi ultimi in proprio, affidandosi a quattro motivi.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti censurano la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, in relazione agli artt. 2697,2727 e 2729 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la CTR fondato il suo convincimento sulla base di elementi specificamente contestati dal contribuente ed in ogni caso irrilevanti non avendo in sè una valenza di prova indiziaria, in quanto non costituenti fatti gravi, precisi e concordanti su cui risalire al fatto ignoto. Secondo l’assunto dei ricorrenti, ciò varrebbe sia con riguardo al conteggio delle ore di attività lavoro dei dottori odontoiatri, sia per il calcolo della durata media delle sedute odontoiatriche, sia per il consumo dei guanti. In via di sintesi, i ricorrenti deducono che la violazione denunciata, consisterebbe nell’aver male applicato le regole sulle prove presuntive accertando il maggior reddito sulla base di elementi parziali, limitati e contestati dal contribuente (v. pagina 31 del ricorso).

2. Col secondo motivo denunciano la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 e degli artt. 2697,2727, e 2729 c.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, asserendo che la CTR non avrebbe considerato la documentazione giustificativa prodotta da essi ricorrenti sia in fase di osservazioni al p.v.c., sia in fase di accertamento con adesione, con la quale erano state fornite motivate e documentate argomentazioni difensive circa l’erronea ricostruzione dell’accertamento dell’Agenzia delle Entrate. In via di sintesi, i ricorrenti deducono che la violazione denunciata consisterebbe nell’aver male applicato le norme richiamate, avendo la CTR desunto i maggiori compensi da elementi parziali, limitati e contestati dal contribuente (v. pag. 49 ricorso).

3. Col terzo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza per vizio di insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riguardante il se il contribuente, nell’anno 2003, avesse conseguito maggiori compensi per Euro 170.144,00. In via di sintesi, deducono che la motivazione non ha tenuto conto degli elementi addotti dal contribuente, dai quali risultava che le ore di attività prestate erano inferiori a quelle accertate, ovvero che tutti gli elementi utilizzati erano meri indizi, nè determinanti, nè verificabili, ma contestati documentalmente (v. 76 del ricorso).

4. Con il quarto motivo di ricorso, deducono la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non aver la Commissione Regionale statuito sulla domanda formulata dal contribuente di illegittimità dell’accertamento per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5, comma 1.

5. I primi tre motivi di ricorso vengono esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi.

6. Tutti e tre i motivi sono inammissibili per quanto qui di seguito esposto.

6.1. Con il primo ed il secondo motivo, parte ricorrente qualifica come vizio di violazione di legge ciò che poi espone come omesso esame di elementi fattuali da parte del giudice di merito; con il terzo, pur evocando il vizio di motivazione, fondato sul n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, vecchia formulazione, nuovamente si appiglia ad elementi fattuali (monte ore delle sedute odontoiatriche), contestando il mancato esame motivazionale degli elementi fattuali allegati dal contribuente per contestare l’accertamento dell’Ufficio.

Dalla lettura di tali motivi, balza evidente come parte ricorrente tenda ad introdurre una nuova valutazione dei fatti oggetto del giudizio di merito, seppur ciò fa surrettiziamente, contestando, ora, il mancato rispetto delle regole in materia di prova presuntiva per l’accertamento induttivo (motivi primo e secondo), ora, invece, l’insufficienza della motivazione sugli elementi a discarico (terzo motivo). Emblematico di tale surrettizia trasposizione di elementi di fatto nel giudizio di legittimità, è che, per i primi due motivi, la difesa del ricorrente chiude con un momento di “sintesi” sostanzialmente identico; per il terzo, lo fa nella sostanza, chiedendo a questa Corte di accertare il vizio di motivazione nella parte in cui la CTR non avrebbe esaminato gli elementi indiziari addotti dal contribuente.

6.2. Da tanto, ne deriva l’inammissibilità delle relative censure in quanto implicanti “una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito” (così, Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017, Rv. 643690 – 01).

7. Anche il quarto motivo ricorso, è infondato.

7.1. Va premesso che parte ricorrente, nel giudizio di secondo grado, instaurato dall’Ufficio, aveva proposto appello incidentale, con il quale chiedeva accertarsi l’illegittimità dell’avviso anche con riguardo alle sanzioni irrogate ed in particolare, per mancato rispetto del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5, comma 1, che prevede che “nelle violazioni punite con sanzioni amministrative ciascuno risponde della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa.”.

7.2. Sebbene nella motivazione della sentenza impugnata non vi è argomentazione esplicita riferibile alla questione de qua, essa deve ritenersi decisa implicitamente dalla CTR. Ed infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, da cui non v’è motivo di discostarsi, “Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia..” (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017; Sez. 2 n. 20718 del 13/08/2018).

7.3. Applicando tali principi al caso all’esame, la C.T.R., giudicando integralmente fondato l’avviso di accertamento impugnato, ha reputato, dunque, che i contribuenti abbiano volontariamente sottratto all’imposizione tributaria oltre due terzi dei compensi percepiti, con ciò ritenendo implicitamente sussistente l’elemento psicologico della colpevolezza previsto dal D.Lgs. cit., art. 5, comma 1 (nella forma indifferenziata del dolo o della colpa).

8. Il ricorso va, dunque, rigettato.

9. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle Entrate che liquida in complessivi Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 28 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2019

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