Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27822 del 30/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 30/10/2019, (ud. 28/06/2019, dep. 30/10/2019), n.27822

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello – Consigliere –

Dott. PERINU Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. R.G. 27112/15, proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– Ricorrente –

contro

L.A., rappresentato e difeso dall’avv.to Fabio Pace, con il

quale sono elettivamente domiciliati in Milano al Corso di Porta

Romana n. 89/b, giusta mandato in margine al controricorso;

– Controricorrente –

avverso la sentenza n. 11/36/15 della Commissione Tributaria

Regionale del Piemonte, depositata in data 13/01/2015 e non

notificata.

Udita la relazione del Consigliere Rosita d’Angiolella svolta nella

Camera di consiglio del 28 giugno 2019.

Fatto

RITENUTO

che:

L.A., ex dirigente ENEL, impugnò il silenzio rifiuto opposto dall’amministrazione finanziaria avverso l’istanza di rimborso Irpef, a suo dire indebitamente ritenuta alla fonte, sull’importo erogato a titolo di corresponsione anticipata della pensione integrativa prevista dall’accordo nazionale del 16 maggio 1985.

La Commissione Tributaria Provinciale di Torino (di seguito, per brevità, CTP), con sentenza n. 18/25/2007, respingeva ricorso del contribuente.

Tale decisione, appellata dal contribuente, veniva confermata dalla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte (di seguito, per brevità, CTR) che accoglieva le ragioni dell’Ufficio. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il contribuente che, con ordinanza n. 2692 del 2012, accoglieva il ricorso, con rinvio ad altra sezione della CTR, richiamandosi il principio di diritto enunciato con Cass. S.U. n. 13642 del 2011, secondo cui la ritenuta del 12,50% doveva ritenersi applicabile solo sulle somme rinvenienti dalla liquidazione del cd. rendimento netto, imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato.

La CTR adita in sede di riassunzione dal contribuente, con la sentenza di cui in epigrafe, sul rilievo che “dai conteggi esposti in atto (ripresi in parte dalla dichiarazione Fondenel del 24.01.2001 e dalla perizia)” risultava fondata la domanda di rimborso, dichiarava dovuta la a somma di Euro 135.142,01. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate affidandosi a tre motivi.

Resiste con controricorso L.A., il quale in prossimità dell’udienza ha presentato memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c..

Il P.G. della Corte di Cassazione ha presentato memoria con la quale ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo d’impugnazione, la difesa erariale deduce il vizio di motivazione apparente. Con il secondo lamenta, in relazione, all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1 e 4, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, degli artt. 384 e 2607 c.c. per aver, i secondi giudici, erroneamente interpretato i principi richiamati dall’ordinanza di rinvio quali espressi da Cass. S.U. n. 13642 del 2011, senza accertare l’effettivo – e non ipotizzabile investimento sul mercato finanziario e senza considerare che vi sono diversi regimi tributari per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000 e che l’applicazione della ritenuta nella misura ridotta del 12,50%, prevista per i redditi di capitali, trova applicazione sugli importi corrisposti dal Fondo del capitale accantonato che ne costituiscano il rendimento in quanto solo tali somme sono assimilabili, anche sotto il profilo fiscale, ai redditi di capitale. Con il terzo, deduce l’omesso esame del fatto decisivo per il giudizio e controverso per il giudizio riguardante il se ed in quale misura i capitali rinvenienti dalla contribuzione fossero stati effettivamente investiti sul mercato finanziario, essendo all’uopo del tutto inconferenti la dichiarazione Fondenel del 24.01.2001 e la perizia, prese in considerazione dalla CTR.

Il primo motivo è infondato.

Le motivazioni addotte dalla Commissione Regionale nella gravata sentenza, consentono individuare subito la loro “ratio decidendi”, in quanto enunciano, in maniera obiettivamente adeguata, le ragioni che, sia sul piano logico che su quello giuridico, hanno portato all’accoglimento dell’appello del contribuente, ritenendo che l’accertamento richiesto con il rinvio disposto dalla ordinanza di questa Corte n. 2692 del 2012, fosse sufficientemente provato dalla certificazione Fondenel e dalla perizia, tale da giustificare l’accoglimento della pretesa. E’ evidente dunque che tale motivazione, per quanto stringata, rappresenti appieno la “ratio decidendi” in quanto le enunciazioni ivi contenute soddisfano l’obbligo motivazionale, esponendo le ragioni per le quali sono state accolte le argomentazioni del contribuente e sono state respinte quelle dell’Ufficio.

Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, che consentono l’esame congiunto per la lor stretta connessione, sono fondati. Occorre anzitutto rammentare che, a decorrere dal 1 gennaio 1986 (in base all’art. 12, comma 4 del CCNL del 16 maggio 1985, recepito dall’Enel), venne prevista a favore dei dirigenti Enel la stipula di un’assicurazione sulla vita con la previsione contrattuale dell’erogazione di una prestazione al momento del collocamento a riposo.

Successivamente, sempre nel 1986 (16 aprile 1986), a seguito di apposita richiesta delle rappresentanze sindacali dei dirigenti, tale previsione venne modificata con l’accordo tra l’Enel e la Federazione nazionale dirigenti di aziende industriali (Fndai), in virtù del quale venne sostituito il trattamento assicurativo di cui sopra con un rapporto di previdenza pensionistica integrativa (c.d. P.I.A., ovvero Previdenza Integrativa Aziendale) con prestazioni da erogare in forma di trattamento periodico (ciò peraltro con efficacia retroattiva al 1 gennaio 1986, da ciò potendosi desumere che la 4 0), disposizione che prevedeva la stipula di polizze vita di fatto non venne mai applicata).

Tale forma di previdenza venne però dismessa nel 1998 e i fondi accumulati trasferiti a Fondenel, Fondo di Previdenza integrativa esterno, chiamato a gestire una forma di previdenza complementare a capitalizzazione individuale, con diritto degli aderenti alla liquidazione dell’intero capitale in luogo della rendita vitalizia.

Risulta dalla sentenza della CTR piemontese nonchè è pacifico tra le parti, che il contribuente, L.A., si è iscritto al Fondo anteriormente al 1993.

Ciò posto, secondo i principi di questa Corte consolidatesi proprio a seguito della sentenza delle Sez. U. 22 giugno 2011, n. 13642, in tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17, solo per quanto riguarda la “sorte capitale”, corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del cd. rendimento si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6; b) per gli importi maturati a decorrere dall’1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui al D.P.R. n. 917 cit., art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17.

E’ altresì principio consolidato, che il trattamento tributario dei “vecchi” iscritti, quindi prima del 21 aprile 1993, dipende dalla “composizione strutturale delle prestazioni”, che sono appunto composte da una “sorte capitale”, costituita dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati dal datore di lavoro (e in notevole misura dal lavoratore) e da un “rendimento netto”, imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato.

Sul punto, la successiva ed attuale giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. 26 aprile 2017 n. 10285; Cass. 18 ottobre 2017, n. 24525; Cass. 7 marzo 2018, n. 5436; Cass. n. 4941 del 2018), si è già attestata, con numerosi arresti, di gran lunga prevalenti su quelli di segno diverso, su una lettura del principio affermato dalle Sezioni Unite secondo la quale il più favorevole criterio impositivo può trovare applicazione limitatamente alle somme rinvenienti dall’effettivo investimento, da parte del fondo, sul mercato finanziario (o comunque di riferimento) del capitale accantonato e che ne costituiscono il rendimento.

Resta dunque confermato che sono tassabili con l’aliquota del 12,50%, ai sensi della L. n. 482 del 1985, art. 6, i capitali maturati anteriormente al 1 gennaio 2001 dai soggetti iscritti al fondo di previdenza integrativa di che trattasi (P.I.A., poi Fondenel) prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, limitatamente a quella parte di essi costituita dal rendimento netto, derivante dalla gestione sul mercato da parte del fondo del capitale accantonato, con la realizzazione di un rendimento.

La Commissione regionale si è limitata ad affermare, dopo aver riportato il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite di questa Corte (Cass., Sez. Un., 13642 del 2011), senza alcuna indicazione degli elementi di fatto esaminati, che “il contribuente ha comunicato la rinuncia per Euro 39.826,11 quale importo da detrarsi dalla richiesta iniziale di Euro 174.968 determinando l’importo definitivo a rimborso di Euro 135.142,01. Dai conteggi esposti in atto (ripresi in parte dalla dichiarazione Fondenel del 24.01.2001 e dalla perizia) si determina in Euro 135.142,01 l’importo dovuto.”.

In tal modo la Commissione ha ritenuto che parte dell’importo corrisposto al contribuente aveva natura di “rendimento”, senza però specificare le ragioni per cui vi sarebbe stata la prova che parte del capitale accantonato era stato investito nel “mercato di riferimento”. Sebbene, per quanto innanzi evidenziato, tale requisito andrà ricercato anche per i capitali maturati e gli accantonamenti effettuati anteriormente alla trasformazione del fondo da P.I.A. a Fondenel, è certamente da escludere che esso possa considerarsi soddisfatto dall’essere il rendimento corrispondente alla redditività ottenuta sul mercato dell’intero patrimonio dell’Enel, poichè tale coerenza costituisce il risultato di una mera operazione matematica e non effettivamente il frutto dell’investimento di quegli accantonamenti nel libero mercato.

In particolare, va rilevato che il prospetto posto alla base della decisione e riscontrato in atti, non rappresenta un elemento probatorio idoneo a dimostrare che il capitale accantonato della contribuente ha costituito una “posizione individuale” ed è stato investito nel mercato di riferimento (immobiliare o finanziario), con l’assoggettabilità all’aliquota più favore del 12,50%.

Al contrario, esso certifica soltanto che il capitale lordo da liquidare è pari a Euro 749.452,44, che la dotazione iniziale al 1 gennaio 1986 era di Euro 41.603,00, che i contributi a carico del dirigente per il periodo 1-1-1986/31-8-1998 erano di Euro 22.838,10, che i contributi a carico dell’azienda, nello stesso periodo, erano di Euro 79.933,35, e che il rendimento conseguito nel periodo di riferimento era di Euro 605.077,99, ossia la differenza tra il totale del capitale lordo da liquidare e la somma di dotazione iniziale, contributi del lavoratore e contributi del datore di lavoro.

Il rendimento indicato nella certificazione Enel è, dunque, il rendimento ottenuto corrispondente alla redditività conseguita sul mercato dell’intero patrimonio dell’Enel, quindi il rapporto tra il margine operativo lordo e il capitale investito, che, in quanto tale, non può considerarsi frutto dell’investimento di quegli accantonamenti nel libero mercato, essendo, al contrario, dipeso da un predeterminato calcolo di matematica attuariale.

In conclusione, la CTR non ha fatto, dunque, buon governo dei principi esposti laddove ha ritenuto che il rendimento netto sul quale deve essere applicata l’aliquota del 12,50% è costituito “dai conteggi esposti in atto”, avendo questa Corte specificato che “è certo da escludere che il requisito dell’essere il rendimento imputabile alla gestione sul mercato possa corrispondere alla reddività ottenuta sul mercato dall’intero patrimonio dell’Enel”. (cfr. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 10285 del 2017); non solo, ha errato anche laddove, senza indicare gli elementi di fatto caratterizzanti la fattispecie, ha ritenuto che la certificazione Enel costituisse la prova di un impiego sul mercato di capitali accantonati, assoggettabili ad un’aliquota minore.

In conclusione, va ribadito che – posto che grava sul contribuente che impugna un’istanza di rimborso l’onere di provare quale sia la parte dell’indennità ricevuta ascrivibile a rendimenti frutto d’investimento sui mercati finanziari di riferimento – che la certificazione Enel, non è idonea ad assolvere l’onere probatorio gravante sul contribuente che agisca per ottenere l’accertamento del suo diritto al rimborso poichè non contiene alcuna specificazione dei criteri utilizzati per la quantificazione della voce rendimento, così da chiarire se si tratta effettivamente di incremento della quota individuale del fondo attribuita al dipendente in forza di investimenti effettuati dal gestore sul mercato (cfr. Cass. 15/03/2017 n. 13278; 16/03/2017 n. 13281; Cass. 16116 del 2018; Cass. n. 9246 del 2019).

La sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto del ricorso introduttivo del contribuente, dichiarando che le somme rinvenienti dal fondo PIA sono assoggettate a tassazione separata ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 16 e 17.

E’ infatti, pacifico che si controverta solo su capitali rinvenienti dall’accantonamento in PIA (il periodo dei U1/41 versamenti è dal 1986 al gennaio 1998, quindi prima del trasferimento dei fondi da PIA in FONDENEL nel 1998) e dalla certificazione in atti si desume che in nessuna misura il rendimento ottenuto sulle somme accantonate nel fondo descritto di previdenza integrativa sia stato ricavato dal loro investimento sul mercato (Cass., 10285 del 2017; Cass., 4941 del 2018), con la conseguenza che non risulta per esso applicabile in concreto il regime fiscale dettato dall’art. 6 della L. 26 settembre 1985, n. 482 (aliquota del 12,50 % sulla differenza tra l’ammontare del capitale corrisposto e quello dei premi riscossi, ridotta del 2 % per ogni anno successivo al decimo).

Le difficoltà sorte per la concreta applicazione del principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 13642 del 2011, come ribadito dalla su indicata Cass. 2692 del 2012, che ha dato luogo al giudizio di rinvio conclusosi con la sentenza qui impugnata, giustificano la compensazione tra le parti dell’intero giudizio.

P.Q.M.

Accoglie i motivi secondo e terzo di ricorso, rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente. Compensa per intero tra le parti le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della V sezione civile della Corte di Cassazione, il 28 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2019

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