Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8008 del 07/04/2011

Cassazione civile sez. II, 07/04/2011, (ud. 08/03/2011, dep. 07/04/2011), n.8008

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – rel. Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.A.M. (OMISSIS), C.M.

(OMISSIS), entrambe in proprio e nella qualità di eredi di

G.G., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA ROIATE 7,

presso lo studio dell’avvocato BARBUTO ANNA, rappresentate e difese

dall’avvocato DI MAIO PASQUALE;

– ricorrenti –

contro

G.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA TACITO 50, presso lo studio dell’avvocato IORIO PAOLO, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2079/2004 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 21/06/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/03/2011 dal Consigliere Dott. LUIGI PICCIALLI;

udito l’Avvocato DI MAIO Pasquale, difensore delle ricorrenti che ha

chiesto accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato IORIO Paolo, difensore del resistente che ha chiesto

il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LETTIERI Nicola che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

G.A., nuda proprietaria di una porzione, costituita da un piano cantinato e da uno rialzato, di un fabbricato in (OMISSIS), con atto notificato il 21.1.92 citò al giudizio del Tribunale di Napoli G.G. e G.A., proprietari della parte confinante, lamentando che gli stessi: a) avevano occupato parte del passetto comune, ampliando le originarie fabbriche; b) incorporato con la nuova costruzione il muro divisorio spostando la porta di accesso oltre il relativo limite esterno; c) coperto il realizzato ampliamento con tegole sporgenti, che ostacolavano l’apertura delle persiane dell’istante; d) realizzato una lunga balconata sull’area cortilizia, appartenente al primo dei convenuti, ma gravata da divieto di edificazione; e) sottratto, con l’avanzamento sul passetto del loro immobile, aria e luce a quello dell’istante.

Su tali doglianze l’attrice chiese la condanna dei convenuti all’eliminazione delle relative opere lesive dei propri diritti.

Costituitisi i convenuti .. contestarono la fondatezza di tutti gli addebiti ed, in via riconvenzionale, chiesero la condanna dell’attrice all’eliminazione, perchè determinanti rispettivamente, pericolo per l’incolumità, lesione del decoro architettonico ed illegittima servitù: 1) – 2) di una soglia di marmo sporgente dalla finestra del suo immobile e delle persiane apribili sul passetto comune;3)delle inferriate apposte alle finestre, sulla parte esterna del fabbricato; 4) delle staffe installate ai fini dello sciorinio dei panni, sporgenti su zona comune ed in parte di proprietà esclusiva degli istanti; 5) chiesero, ancora, regolarsi con eventuali recinzioni i passaggi sulle aree cortilizie e l’uso delle stesse.

Sulla scorta dell’espletata consulenza tecnica, l’adito tribunale in persona del g.o.a. della “sezione stralcio”, con sentenza del 17.8.00, accolse, per quanto di ritenuta regione le domande attrici sub a), c) e d), e quelle riconvenzionali sub 1), 2) e 4), rigettando ogni altra richiesta. Proposti appelli, principale dall’attrice, incidentale dai convenuti, interrotto e riassunto il processo per la morte di G.G., previa notifica collettiva ed impersonale ai relativi eredi (dei quali si costituiva la sola G. A.), con sentenza del 17/5, pubblicata il 21/6/04 la Corte di Napoli: A) dichiarava la nullità di quella impugnata, ex art. 354 c.p.c., per omessa citazione dell’usufruttuario, nella parte relativa alle domande riconvenzionali, compensando le relative spese e rimettendo le parti al primo giudice;

B) in accoglimento parziale dell’appello principale e disatteso quello incidentale, condannava la parte convenuta alla demolizione dell’intero corpo di fabbrica realizzato sul passetto, dichiarando assorbita la statuizione relativa al muro divisorio, nonchè al pagamento delle spese del giudizio. Tali, in sintesi, le ragioni delle citate statuizioni di merito: 1) il passetto, in quanto obiettivamente e funzionalmente destinato a dare accesso ad entrambe le proprietà esclusive delle parti, in assenza di alcuna previsione nei titoli, comprovante la proprietà esclusiva sulle porzioni antistanti le rispettive unità immobiliari e la sussistenza di eventuali servitù, era da considerarsi un bene comune per tutta la sua estensione; 2) conseguentemente illegittimo, ex art. 1102 c.c., era l’ampliamento dell’immobile dei convenuti, nella parte in cui lo aveva invaso, sottraendolo alla possibilità di uso da parte dell’altra comunista; 3) l’accertata creazione di un manufatto, costituito da una balconata e da un sottostante “vespaio”, realizzato sulla parte di cortile dei convenuti e non completamente interrato, sebbene di natura accessoria, integrava comunque, per i suoi connotati di stabilità ed immobilizzazione al suolo, una vera e propria costruzione, che insistendo ed elevandosi, sia pur parzialmente, su area gravata da servitus non tollendi, violava la stessa.

Avverso la suddetta sentenza G.A., in proprio e nella qualità di erede di G.G., e C.M., in quest’ultima qualità, hanno congiuntamente proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi. Ha resistito G.A. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, deducente violazione e falsa applicazione dell’art. 102 c.p.c., oltre ad omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo, si censura la statuizione ex art. 354 c.p.c. adottata, in ordini alle domande riconvenzionali, dalla Corte d’Appello, che mentre la giurisprudenza citata nella sentenza impugnata avrebbe affermato la necessità di integrazione del contraddittorio solo in quelli in cui l’azione fosse stata promossa soltanto contro il secondo. Sotto un secondo e più limitato profilo, si sostiene che, comunque, le domande di regolamentazione dell’uso delle parti comuni e di recinzione di quelle esclusive ben avrebbero potuto esser proposte nei confronti della sola nuda proprietaria.

Il motivo è fondato, considerato che effettivamente, nella sentenza citata dalla corte di merito, Cass. n. 35/2000, la necessità dell’integrazione del contraddittorio fu affermata in relazione ad un’ipotesi nella quale la domanda era stata proposta nei confronti del solo usufruttuario e non anche del nudo proprietario, mentre il principio secondo cui nelle azioni reali dirette alla riduzione in pristino sussisterebbe un litisconsorzio necessario di entrambi tali soggetti non fu corredato da espressa motivazione, con specifico riferimento all’ipotesi inversa a quella oggetto della decisione. Ma a tal riguardo questa Corte, con una più recente pronunzia ha avuto modo di stabilire che “la legittimazione passiva in ordine alla riduzione in pristino conseguente all’esecuzione, su immobile concesso in usufruito, di opere edilizie illegittime, perchè realizzate in violazione delle distanze legali, spetta al nudo proprietario, potendosi riconoscere all’usufruttuario il solo interesse a spiegare nel giudizio intervento volontario ad adiuvandum, ai sensi dell’art. 105 cod. proc. civ., comma 2, volto a sostenere le ragioni del nudo proprietario alla conservazione del suo immobile, anche quando le opere realizzate a distanza illegittima abbiano riguardato sopravvenute accessioni sulle quali si sia esteso il godimento spettante all’usufruttuario in conformità all’art. 983 cod. civ.” (Cass. n. 5900/10). A quest’ultimo principio il collegio ritiene di aderire e dare continuità, in quanto più specifico e coerente alla natura delle facoltà, di mero godimento e non anche comportanti poteri di diretto intervento, modificativo o additivo, sulla cosa che ne forma oggetto, spettanti all’usufruttuario, in considerazione delle quali l’interesse alla partecipazione al giudizio (in funzione dell’incidenza negativa sulle suddette facoltà dell’eventuale statuizione restitutoria) è da ritenersi meramente riflesso e, pertanto, tutelabile nelle sole forme di un facoltativo intervento adesivo dipendente.

Va conseguentemente esclusa la necessità di integrazione del contraddittorio nei confronti dell’usufruttuario, nell’ipotesi in cui, come nella specie, l’azione diretta alla riduzione in pristino sia stata spiegata soltanto contro il proprietario, ancorchè nudo, essendo quest’ultimo l’unico soggetto titolare delle facoltà di modificare e incrementare la cosa a lui appartenente e, pertanto, il naturale responsabile dei relativi interventi interessanti il bene, salvi i casi, comunque non comportanti litisconsorzio necessario, ma solo facoltativo, in cui le opere modificative o additive siano state realizzate dall’usufruttuario.

La necessità di integrazione del contraddittorio va poi a fortiori esclusa in relazione a quei capi di domanda, oggetto del secondo profilo di censura, il cui accoglimento non avrebbe inciso sulla consistenza dei beni gravati da usufrutto.

Con il secondo motivo si deduce violazione degli artt. 1362 e segg.

c.c., omissione, insufficienza e contraddittorietà di motivazione, perchè la corte di merito, travisando le posizioni assunte dagli appellanti incidentali, contro il chiaro tenore letterale della comparsa, che gli stessi si fossero doluti della qualificazione di pertinenza dei rispettivi immobili, che al passetto aveva attribuito il primo giudice, che i deducenti avevano in realtà ritenuto legittimatale errore avrebbe comportato il mancato esame della dedotta natura pertinenziale, punto decisivo della controversia ai fini del riconoscimento della proprietà esclusiva sulla relativa porzione. Il motivo è testualmente infondato, risultando, dall’esame della sentenza impugnata (pagg. 10-11), l’esatto inquadramento delle tesi contrapposte, dandosi atto che con l’una, quella dell’attrice appellante principale, si sosteneva la natura di bene comune ed indiviso del “passetto”, mentre con l’altra, quella degli appellati ed appellanti incidentali, so stanzialmente accolta dal primo giudice, si sosteneva che l’area in questione appartenesse, nelle porzioni antistanti le rispettive unità immobiliari delle parti cui dava accesso, in via esclusiva a ciascuna delle stesse, essendo peraltro, quella dell’attrice, in quanto posta nel tratto iniziale, gravata da servitù di passaggio a favore di quella più interna, appartenente ai convenuti.

Il thema decidendum, devoluto dalla contrapposizione delle due opposte tesi, risulta dunque essere stato ben individuato dai giudici di appello, anche se la relativa decisione, per quanto si dirà oltre esaminando i successivi motivi, non può ritenersi correttamente adottata. Con il terzo motivo, deducente violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., artt. 840 e 934 c.c., si lamentano, quali conseguenze del sopra indicato errore di interpretazione, omessa pronuncia sulla domanda di riconoscimento della proprietà esclusiva sulla porzione di passetto occupata dalla contestata costruzione, nonchè omesso esame a tal fine di punto decisivo dedotto dagli appellanti incidentali, costituito dalla circostanza che gli stessi fossero proprietari esclusivi dei piani cantinato e seminterrato sottostanti in proiezione la porzione de qua. Con il quarto motivo si censura, per violazione delle regole ermeneutiche di cui agli artt. 1362 e segg. c.c. e contraddittorietà di motivazione, ‘interpretazione del titolo, di comune provenienza dei beni delle parti, fornita dalla corte di merito, che avrebbe: a) sotto un primo profilo, non tenuto conto, ai fini dell’accertamento dell’intenzione delle parti, del tenore sia letterale, sia complessivo del negozio, considerato che mentre per altre porzioni immobiliari era stata espressamente prevista la natura comune, per il passetto ciò non era avvenuto; b) dopo aver affermato che per la costituzione di una servitù convenzionale sarebbe stata necessaria una previsione ad hoc, subito dopo richiamato il diverso principio giurisprudenziale, secondo cui per la costituzione anzidetta non sarebbero necessarie formule sacramentali, essendo sufficiente che dall’atto si desuma la volontà di costituire un vantaggio a favore dell’uno ed un peso a carico dell’altro: motivazione contraddittoria perchè basata su due argomentazioni contrastanti.

I motivi suesposti, che per la stretta connessione tra le relative censure vanno esaminati congiuntamente, fondati nei limiti di seguito esposti, vanno accolti per quanto di ragione.

Pur escluse la violazione dell’art 112 c.p.c., dedotta con il primo profilo del terzo motivo, per quanto considerato nell’esame del precedente mezzo d’impugnazione, nonchè la sussistenza del profilo d’illogicità sub b), dedotto con il quarto motivo, dacchè la ravvisata esigenza di una previsione ad hoc della costituzione della servitù non è in contraddizione con l’affermata possibilità di desumerla dal contesto dell’atto, pur in assenza di formule sacramentali, deve tuttavia e per il resto rilevarsi che l’indagine svolta dalla corte di merito, al fine di accertare la natura ed il regime giuridico del cd. “passetto”, se di bene comune ed indiviso o di spazio pertinenziale diviso in due distinte porzioni, non risulta adeguata.

A tal riguardo, come si è avuto modo di esporre in narrativa, i giudici di appello, ribaltando il pur motivato giudizio di quello di primo grado che aveva recepito il parere del c.t.u., sono pervenuti alla conclusione che l’area in questione costituisse un bene comune, riconducibile al novero di cui all’art. 1117 c.c., n. 1, sulla base di due considerazioni, la prima e principale delle quali desunta dalla obiettiva funzione di dare accesso agli immobili, la secondaci ritenuta natura rafforzativa, dalla rilevata assenza, nel comune titolo di acquisto dei diritti, di una convenzione costitutiva di un diritto di servitù.

Ma di tali elementi di giudizio, il secondo è da considerarsi di scarso rilievo, non solo perchè la lesione lamentata dall’attrice non atteneva ad un diritto di servitù (che, in ipotesi, avrebbe dovuto gravare solo sulla sua porzione, a favore dell’altra), bensì al proprio assunto diritto di comunione indivisa sull’intero “passetto” (estesa fino alla parte terminale ed antistante l’immobile della controparte), ma anche e soprattutto in considerazione del fatto che, nel particolare contesto di un complesso immobiliare, originariamente appartenuto ad unico proprietario e diviso con l’atto di donazione da cui gli odierni contendenti avevano derivato i rispettivi diritti, la costituzione di una servitù avrebbe potuto desumersi dall’assetto stesso dei luoghi, dalle posizioni degli immobili e dall’eventuale apparenza delle opere, vale a dire per destinazione del padre di famiglia ai sensi dell’art. 1062 c.c., cosicchè poco o punto avrebbe potuto rilevare l’assenza di una previsione ad hoc nel titolo, o, sull’opposto versante, la mancata allegazione da parte dei convenuti di quella particolare modalità di costituzione del diritto reale, essendo lo stesso “autodeterminato”.

Il secondo elemento, correlato alla funzione del bene in questione, costituisce frutto di una valutazione non esaustiva, che non da adeguatamente conto del percorso logico – giuridico in base al quale i giudici di appello, superando – anzi non esaminando – le serie argomentazioni correlate al principio dell’espansione verticale della proprietà, desumibile dagli artt. 840 e 934 cod. civ., ed a quello ermeneutico ubi volui dixit, ubi noluit non dixit, siano pervenuti alla conclusione che il “passetto” avrebbe costituito, per tutta la sua estensione, un bene comune, pur essendo stata la sua peculiare destinazione, evidenziata dal termine stesso, di passaggio destinato a dare accesso agli immobili di proprietà esclusiva, ritenuta dal primo giudice e dall’ausiliare assolvibile separatamente dalle porzioni rispettivamente antistanti gli stessi. La qualificazione di bene comune ed indiviso, basato sul solo elemento funzionale, avrebbe, invece, richiesto l’accertamento di una sua obiettiva indivisibilità, derivante dalla particolare conformazione e consistenza, di guisa tale che, se materialmente diviso, lo stesso non sarebbe stato idoneo ad assolvere alla naturale e sopra indicata destinazione; in diversa ipotesi, di accertata possibilità delle singole porzioni di assicurare gli accessi alle rispettive antistanti unità immobiliari, soltanto una espressa previsione del titolo, da cui poter desumere una volontà di mantenerlo comunque in stato di comunione, a guisa di vero e proprio cortile (come tale destinato anche a dare aria e luce agli immobili circostanti), avrebbe giustificato l’affermazione della sua indivisibilità, di natura tuttavia convenzionale.

Con il quinto motivo si lamenta, infine ed in subordine, omissione, carenza ed illogicità della motivazione su due punti decisivi, consistiti nell’avere, con riferimento sia alla costruzione ritenuta invasiva del passetto, sia alla balconata, disposto la demolizione dei relativi manufatti in tutta la loro consistenza ed anche per le parti insistenti su proprietà esclusiva e libera da pesi, degli appellanti incidentali, sulla base di erronei rilievi del c.t.u., che erano stati specificamente denunciati, con supporto documentale e della consulenza tecnica di parte. Il motivo, nella parte relativa alla costruzione realizzata nel “passetto” resta assorbito dall’accoglimento dei due precedenti e per il resto risulta fondato.

1 giudici di appello, infatti, pur avendo dato atto che gli appellanti incidentali avevano anche denunciato errori di misurazione in cui sarebbe incorso il ctu., al cui parere il primo giudice si era attenuto nell’accogliere il relativo capo di domanda, con riferimento alla balconata, si sono limitati a rispondere, con articolate argomentazioni (in narrativa riportate sub 3) alle sole censure nella parte in cui avevano contestato la natura di costruzione del manufatto in questione e la conseguente lesività della servitus non tollendi mentre alla più specifica e subordinata doglianza, secondo cui il manufatto avrebbe occupato soltanto per mt. 7 e non per la maggiore estensione ritenuta dal primo giudice, la zona gravata dalla suddetta servitù, hanno fornito la generica risposta secondo cui detta doglianza non avrebbe trovato “alcun riscontro” e sarebbe rimasta “mera affermazione”. Ma il riscontro, secondo l’assunto degli appellanti incidentali, sarebbe stato costituito dagli specifici rilievi metrici, puntualmente esternati nel corso del giudizio di merito, dal consulente tecnico di parte, dal cui esame, quanto meno sommario, i giudici non avrebbero potuto del tutto esimersi, limitandosi a richiamare la relazione del consulente di ufficio, motivazione per relationem che, per costante giurisprudenza di questa Corte, può ritenersi sufficiente soltanto nei casi in cui la parti non abbiano contestato le risultanze della consulenza o le abbiano solo genericamente confutate.

Sussiste, pertanto, il denunciato difetto di motivazione su punto decisivo.

In definitiva il ricorso, salvo che per il non rilevante secondo motivo e per gli altri secondari profili di censura, ritenuti non fondati o assorbiti, come da motivazione che precedeva accolto, con conseguente cassazione della sentenza e rinvio, per nuovo esame sui punti censurati, ad altra sezione della corte di provenienza, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglierei limiti di cui in motivazione, il ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli.

Così deciso il Roma, il 8 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 aprile 2011

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