Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7888 del 06/04/2011

Cassazione civile sez. lav., 06/04/2011, (ud. 01/02/2011, dep. 06/04/2011), n.7888

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 15706/2007 proposto da:

L.C.I., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato GAMBINO Venerando, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

Alessandro, PULLI CLEMENTINA, VALENTE NICOLA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 105/2007 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 22/02/2007, R.G.N. 1344/06;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

01/02/2011 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito l’Avvocato CLEMENTINA PULLI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte di Appello di Catania, con la sentenza n. 105 del 2007, rigettava il ricorso proposto da L.C.I., nei confronti dell’INPS e del Ministero economia e finanze in ordine alla sentenza del Tribunale di Catania del 22 maggio 2006.

Il suddetto Tribunale aveva rigettato la domanda con la quale la L. C., lamentando la illegittimità della revoca della provvidenza di invalidità di cui beneficiava, chiedeva l’accertamento del diritto alla corresponsione della prestazione previdenziale di cui alla L. n. 118 del 1971, art. 13, dalla data della revoca o, comunque, dalla maturazione del diritto, oltre interessi.

2. Anche il Giudice dell’appello riteneva che il requisito reddituale non poteva essere provato con dichiarazione sostitutiva e che, nel giudizio che attiene alla contestazione del provvedimento di revoca, deve essere verificata la permanenza di tutti i requisiti di legge.

3. Ricorre la L.C. prospettando quattro motivi di ricorso.

4. Resiste con controricorso l’INPS.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta; omessa e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia rappresentato dalla sussistenza o meno dei requisiti reddituali e dell’incollocamento al lavoro e della prova dei medesimi.

La ricorrente si duole che non sia stato attribuito valore all’autocertificazione, tenuto conto, altresì di altri fattori (quali le condizioni di mercato nel Meridione), ai fini della sussistenza del requisito.

2. Con il secondo motivo è prospettata la violazione art. 112 c.p.c., error in procedendo in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Il giudice dell’appello non avrebbe esaminato la doglianza relativa al requisito sanitario. In ordine al suddetto motivo è formulato il seguente quesito di diritto: se il giudice di appello deve prendere in esame e pronunciato su ogni motivo di gravame, tranne se superato o reso superfluo dall’accoglimento o rigetto per altri motivi, e che la mancata statuizione si risolve in una violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, contemplato dall’art. 112 c.p.c..

3. Con il quarto motivo è dedotta: violazione art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa o contraddittoria motivazione sulla condanna alle spese.

Espone la ricorrente che la Corte d’Appello ha condannato la stessa al pagamento delle spese di giudizio, ritenendo la totale soccombenza della medesima. Tale pronuncia sarebbe errata perchè la Corte avrebbe omesso di pronunciarsi sul motivo di impugnazione relativo all’accertamento dello stato e del grado di invalidità, pronuncia che si sarebbe riverberato sul governo delle spese di giudizio.

4. I suddetti motivi devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione.

Gli stessi non sono fondati.

Come la giurisprudenza ha, da ultimo, avuto modo di affermare (Cass. n. 4254 del 2009, n. 3404 del 2006), nel giudizio che abbia ad oggetto la contestazione di un provvedimento di revoca del beneficio assistenziale basato esclusivamente sulla sopravvenuta insussistenza del requisito sanitario, deve essere verificata la permanenza di tutti i requisiti ex lege richiesti, non già soltanto di quelli la cui sopravvenuta insussistenza sia posta a fondamento della revoca, giacchè la domanda di ripristino della prestazione, al pari di quelle concernenti il diritto ad ottenere per la prima volta prestazioni negate in sede amministrativa, non da luogo ad un’impugnativa del provvedimento amministrativo di revoca, ma riguarda il diritto del cittadino ad ottenere la tutela che la legge gli accorda; conseguentemente, il giudice è chiamato ad accertare se sussista, o meno, il diritto alla prestazione, verificandone le condizioni di esistenza alla stregua dei requisiti richiesti ex lege, con riguardo alla legislazione vigente al momento della nuova domanda, trattandosi del riconoscimento di un nuovo diritto del tutto diverso, ancorchè identico nel contenuto, da quello estinto per revoca. Tale opzione ermeneutica risulta maggiormente rispettosa della ratio sottesa alle prestazioni assistenziali che, alla stregua dell’art. 38 Cost., induce a preferire soluzioni volte a riconoscere le prestazioni assistenziali solo in presenza di effettivi bisogni, ed a rifuggire da soluzioni suscettibili di creare ingiustificate disparità di trattamento nell’area di quanti dette prestazioni rivendicano, quale quella che finirebbe per crearsi con riferimento ai requisiti per usufruire delle stesse, tra coloro che chiedono per la prima volta dette prestazioni e quanti, invece, avendo di queste già goduto, ne pretendono un perdurante godimento pur in presenza di mutate, e più favorevoli, condizioni reddituali.

La Corte d’Appello ha fatto corretta applicazione di detto principio, ritenendo con argomentazioni esenti da vizi, che una volta intervenuta la revoca per il venir meno di un requisito, deve essere verificata la sussistenza di tutti gli altri, ai fini del ripristino del beneficio.

Occorre, altresì, ricordare che questa Corte ha, con giurisprudenza costante, affermato (Cass. n. 25800 del 2010) che la prova dell’incollocamento al lavoro e del reddito per beneficiare delle prestazioni di invalidità civile non può essere data mediante dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, essendo questa rilevante nei soli rapporti amministrativi ed invece priva di efficacia probatoria in sede giurisdizionale (Cass., S.U., n. 5167 del 2003).

Quindi, in applicazione di tale principio, con motivazione congrua, la Corte d’Appello ha ritenuto privo di valore probatorio l’autocertificazione, tenuto conto che la mancata contestazione, con riguardo al documento in questione, per le ragioni sopra esposte sul valore dello stesso, non può supplire all’onere probatorio gravante sulla ricorrente.

Pertanto, in mancanza della prova di detti requisiti, alcuna rilevanza poteva avere la pronuncia sul requisito sanitario, così che, la Corte, pronunciava sul punto e affermava che le considerazioni relative alla percentuale di invalidità accertato dal CTU rimanevano superato dall’orientamento giurisprudenziale sopra richiamato di cui faceva applicazione, come si è detto.

5. Con il terzo motivo di ricorso è prospettata la violazione dell’art. 152 disp. att. c.p.c., in relazione ad art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. E’ formulato, in proposito, il seguente quesito di diritto: se, ai fini della esenzione dal pagamento di spese, competenze e onorari nei giudizi previdenziali o assistenziali, è necessario che la dichiarazione di cui all’art. 152 disp. att. c.p.c., sia formulata nell’atto introduttivo del giudizio ovvero sia sufficiente che la predetta dichiarazione risulti anche aliunde, e, in particolare, dal decreto o altro provvedimento di ammissione al gratuito patrocinio.

La ricorrente veniva condannata al pagamento in ragione della mancanza della dichiarazione di cui all’art. 152 disp. att. c.p.c., ma, ad avviso della ricorrente tale dichiarazione sarebbe rappresentata dalla delibera di ammissione al gratuito patrocinio prodotta in appello.

5.1. Il motivo non è fondato.

Ed infatti, la ricorrente sovrappone due istituti, il primo disciplinato dal citato art. 152 disp. att. c.p.c., il secondo, di cui al D.P.R. 115 del 2002, art. 76, che come si evince dal dato normativo trovano applicazione in ragione di differenti presupposti.

6. Il ricorso, pertanto, deve esser rigettato.

7. Nulla per le spese nei confronti dell’INPS, ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., e nei confronti del Ministero Economia e Finanze in quanto non costituito.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 1 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2011

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