Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7347 del 31/03/2011

Cassazione civile sez. trib., 31/03/2011, (ud. 22/12/2010, dep. 31/03/2011), n.7347

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 10051-2006 proposto da:

CURATELA DEL FALLIMENTO GEFIN SRL in persona del Curatore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso la

cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato TUCCITTO VINCENZO con studio in SIRACUSA VIA UNIONE

SOVIETICA 49, (avviso postale), giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 126/2004 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

SIRACUSA, depositata il 31/12/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/12/2010 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito per il resistente l’Avvocato GIACOBBE, che si riporta ;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CICCOLO Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per il rigetto del

primo e terzo motivo, accoglimento del secondo motivo del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 31/12/2004 la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia accoglieva il gravame interposto dall’Agenzia delle entrate di Siracusa nei confronti della pronunzia della Commissione Tributaria Provinciale di Siracusa di parziale accoglimento dell’opposizione spiegata dalla società Gefin s.r.l., poi fallita, in relazione ad avviso di rettifica emesso a titolo di I.V.A. e sanzioni per l’anno d’imposta 1993, all’esito di disconoscimento di credito d’imposta per L. 91.079.000.

Avverso la suindicata sentenza del giudice dell’appello il Fallimento Gefin s.r.l. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1^ motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione del D.L. n. 853 del 1984, art. 2, comma 28, (conv. in L. n. 17 del 1985), in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè “difetto di motivazione”, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che il giudice dell’appello non abbia considerato che il D.L. n. 853 del 1984, art. 2, comma 28, (conv. in L. n. 17 del 1985) prevede non già “percentuali di ricarico” bensì “percentuali di deduzione”, e ciò “al fine di verificare se il reddito dichiarato è congruo”.

Lamenta non essersi dall’A.F. verificato quali siano stati “i prezzi effettivamente praticati nel periodo”, nonchè essersi “omesso di calcolare la percentuale di strido della merce stante la peculiarità dell’esercizio”, consistente in un bar e ristorante.

Si duole che “priva di motivazione” e “contraddittoria” sia “la sentenza della commissione Tributaria laddove ha ritenuto corretto l’operato dell’Ufficio senza, spiegare il motivo per cui riteneva corretto l’iter argomentativo seguito dall’accertatore nel verbale di verifica”.

Con il 2^ motivo denunzia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30 “dell’ordinanza n. 2057 del 21.12.1990 e del D.M. 31 luglio 1993”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè “difetto e contraddittorietà di motivazione”, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Lamenta di avere “documentalmente provato in primo grado, con la produzione della dichiarazione IVA, che la stessa era stata presentata nel 1994. Circostanza confermata nel verbale di verifica della G.d.F. che a pag. 4 fa riferimento alla omessa presentazione della dichiarazione I.V.A. per l’anno 1996”, laddove “la Commissione non ha motivato su un punto decisivo della controversia limitandosi ad affermare che la compensazione non era ammissibile perchè mancava una valida dichiarazione”, senza “motivare perchè riteneva la dichiarazione … inesistente o nulla”.

Con il 3^ motivo denunzia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 51, 52, 54, 55 e 56, art. 2729 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè “omessa e insufficiente motivazione” su punti decisivi della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che nel caso la l’A.F. abbia fatto “generico riferimento ai criteri dettati dalla Legge Visentini, non precisando il contenuto della prova cui si è fatto riferimento, ai criteri adottati per determinare i maggiori ricavi e alle fonti comparative che avrebbe dovuto indicare per accertare i maggiori ricavi”.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa, con – fra l’altro – l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo (se per contrasto con la norma indicata, o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito.

Sebbene l’esposizione sommaria dei fatti di causa non deve necessariamente costituire una premessa a sè stante ed autonoma rispetto ai motivi di impugnazione, è tuttavia indispensabile, per soddisfare la prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che il ricorso, almeno nella parte destinata alla esposizione dei motivi, offra, sia pure in modo sommario, una cognizione sufficientemente chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, nonchè delle vicende del processo e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato, in modo che tali elementi possano essere conosciuti soltanto mediante il ricorso, senza necessità di attingere ad altre fonti, ivi compresi i propri scritti difensivi del giudizio di merito, la sentenza impugnata ed il ricorso per cassazione (v. Cass., 23/7/2004, n. 13830; Cass., 17/4/2000, n. 4937; Cass., 22/5/1999, n. 4998).

E’ cioè indispensabile che dal solo contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del “fatto”, sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo (v.

Cass., 4/6/1999, n. 5492).

Quanto al vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, va invero ribadito che esso si configura solamente quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (in particolare cfr.

Cass., 25/2/2004, n. 3803).

Tale vizio non consiste pertanto nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito (v. Cass., 14/3/2006, n. 5443; Cass., 20/10/2005, n. 20322).

La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., 7/3/2006, n. 4842;. Cass., 27/4/2005, n. 8718).

Orbene, i suindicati principi risultano invero non osservati dall’odierno ricorrente.

Già sotto l’assorbente profilo dell’autosufficienza, va posto in rilievo come il medesimo faccia richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito (es., a “locazioni immobiliari” effettuate “nel periodo oggetto della verifica”, alla “fatturazione al 9% (presunta come errata)”, alla “dichiarazione IVA per l’anno 1992”, a “n. 32 fatture di cui si contesta l’inerenza”, al “p.v.c.”, alla “suddivisione dei beni destinati al bar e di quelli destinati al ristorante”, alla dichiarazione IVA per l’anno 1993″, alla sentenza di 1^ grado, all'”avviso di rettifica”, alla “percentuale di sfrido della merce”, all'”avviso di accertamento”) di cui lamenta la mancata o erronea valutazione, limitandosi a meramente rinviare agli atti del giudizio di merito, senza invero debitamente riprodurli nel ricorso.

A tale stregua non pone questa Corte nella condizione di effettuare il richiesto controllo (anche in ordine alla tempestività e decisività dei denunziati vizi), da condursi sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 172/1995, n. 1161).

Quanto al 1 e al 4 motivo di ricorso va in ogni caso osservato che la giustificazione del ricorso all’accertamento induttivo risulta nell’impugnata sentenza congruamente indicata nella “incoerenza dei dati dichiarati dalla verificata, particolarmente avuto riguardo alla località e al periodo cui i maggiori ricavi sì riferiscono”, e, quanto alla detrazione, nella omessa presentazione della dichiarazione IVA per l’anno 1992 (e non già in relazione a dichiarazione inesistente o nulla).

Emerge dunque evidente, alla stregua di quanto tutto sopra rilevato ed esposto, come, lungi dal denunzi are vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni dell’odierno ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., n. 4, in realtà si risolvono nella mera rispettiva doglianza circa l’asseritamente erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via, infatti, come sì è sopra osservato, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’art. 360 c.p.c., il ricorrente in realtà sollecita, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

All’inammissibilità ed infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 4,200,00, di cui Euro 4.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 22 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2011

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