Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5066 del 02/03/2011

Cassazione civile sez. trib., 02/03/2011, (ud. 25/01/2011, dep. 02/03/2011), n.5066

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 32715/2006 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

AVENTIS PHARMA SPA ora SANOFI-AVENTIS SPA, in persona

dell’Amministratore delegato pro tempore, elettivamente domiciliato

in ROMA VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato

MANZI LUIGI, rappresentato e difeso dagli avvocati CACCIATO Giuseppe,

ANTONINO SIMONETTA, giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 74/2005 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 29/09/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

25/01/2011 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito per il ricorrente l’Avvocato GALLUZZO, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 29.9.05 la Commissione Tributaria Regionale di Milano, riformando la sentenza di primo grado, accoglieva la richiesta della società Aventis Pharma spa (già Hoechst Marion Roussel spa) di rimborso dell’imposta di registro versata sul conferimento di capitale deliberato il 4.12.96 e sottoscritto da Merrel Pharmaceutical Inc mediante conferimento di azioni della società Gruppo Lepetit spa. Ciò in quanto il prelievo dell’imposta di registro sarebbe stato illegittimo per contrasto con la direttiva comunitaria 69/335/CEE, come modificata ed integrata dalle direttive 73/79CEE, 73/80CEE e 85/303CEE. A fondamento della propria decisione la Commissione Tributaria Regionale svolgeva le seguenti argomentazioni:

– Per il disposto della direttiva 73/80CEE, a decorrere dall’1.1.76 l’aliquota dell’imposta sui conferimenti era dell’1%;

conseguentemente, alla data del 10.7.84 l’aliquota applicabile ai conferimenti di cui di cui all’art. 7, par. 1, lettera b), della direttiva comunitaria 69/335CEE (disposizione che prevedeva il dimezzamento dell’aliquota impositiva nelle ipotesi dalla stessa contemplate), risultava pari allo 0,50%. – Per il disposto della direttiva 85/303CEE, le operazioni che alla data del 10.7.84 risultavano assoggettate ad imposta con aliquota non superiore allo 0,50% dovevano essere esentate dall’imposta stessa.

– L’operazione per cui è causa rientrava nella previsione dell’art. 7, par. 1, lett. b), della direttiva comunitaria 69/335CEE e pertanto, risalendo ad epoca (1996) in cui già vigeva la direttiva 85/303CEE, risultava esente da imposta ai sensi della disciplina comunitaria.

La direttiva comunitaria 69/335CEE e successive modificazioni era auto esecutiva e pertanto la legge nazionale in forza della quale l’imposta era stata versata – ossia l’art. 4, lett. a), n. 5 della Tariffa di Registro, Prima Parte, allegata al DPR 131/86, che, nel testo all’epoca vigente, prevedeva l’aliquota dell’1% – andava disapplicata e la contribuente aveva diritto alla restituzione del versato.

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale propongono ricorso per cassazione il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate, entrambi rappresentati dall’Avvocatura Generale dello Stato, sulla scorta del seguente motivo:

Art. 360 c.p.c., n. 3 – Violazione e falsa applicazione degli art. 4, art. 7 par. 1 lett. a), b), b) bis Direttiva 69/335CEE del 17.7.69, come modificata ed integrata dalle Direttive 73/79CEE, 73/80CEE e 85/303CEE; dell’art., 4 lett. a) n. 5 della Tariffa di Registro, Prima Parte, allegata al DPR 26 aprile 1986, n. 131.

Aventis Pharma spa (ora Sanofis-Aventis spa) si è costituito nel giudizio di cassazione depositando controricorso ed eccependo l’inammissibilità del ricorso per decadenza ex art. 327 c.p.c., comma 1, e l’improponibilità dell’unico di motivo di ricorso, in quanto avete ad oggetto una eccezione inammissibile D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 57, perchè proposta per la prima volta in appello; nel merito la contro ricorrente sviluppa le argomentazioni già svolte nella sentenza impugnata.

Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 25.1.011 in cui il PG ha concluso come in epigrafe.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente si rileva l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Quest’ultimo non è stato parte del giudizio di secondo grado (a cui ha partecipato solo l’Ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate), cosicchè non ha alcun titolo che lo legittimi a partecipare al presente giudizio.

Sussistono giusti motivi, in considerazione del fatto che la giurisprudenza in argomento di questa Corte si è formata in epoca successiva alla proposizione del ricorso, per disporre la compensazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

Quanto al ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate, esso si fonda sul rilevo che l’operazione sottoposta a tassazione (conferimento di capitale mediante cessione alla società conferitaria delle azioni, detenute dalla società conferente, rappresentative del capitale di una terza società per azioni) sarebbe riconducibile non alla previsione della lettera b) del paragrafo 1 dell’art. 7 della direttiva comunitaria 69/335CEE, come ritenuto nella sentenza impugnata, bensì alla previsione della lettera b) bis del medesimo paragrafo. Il conferimento delle azioni rappresentative del capitale di una società per azioni non integrerebbe, infatti, l’ipotesi di conferimento di “uno o più rami di attività”, prevista dalla citata lettera b), bensì l’ipotesi di conferimento “di quote rappresentanti almeno il 75% del capitale sociale precedentemente emesso da un’altra società di capitale”, previsto dalla citata lettera b) bis. Poichè la lettera b) bis del paragrafo 1 dell’articolo 7 della direttiva comunitaria 69/335CEE non prevede – a differenza dalla lettera b) dello stesso paragrafo – alcun obbligo, ma solo una facoltà (all’epoca non esercitato dallo Stato italiano), di ridurre l’aliquota di imposta sulle operazioni ivi contemplate, erroneamente la Commissione Tributaria Regionale avrebbe ritenuto incompatibile con la disciplina comunitaria, e conseguentemente disapplicato, la norma nazionale italiana sulla cui base l’amministrazione aveva calcolata l’imposta di registro.

Vanno in primo luogo scrutinate le eccezioni preliminari di inammissibilità avanzate dalla contro ricorrente.

L’eccezione di inammissibilità per decadenza ex art. 327 c.p.c., è infondata. La sentenza impugnata è stata depositata il 29.9.2005 e non è stata notificata; il termine annuale (un anno più 46 giorni di sospensione feriale) scadeva il 14.11.2006; appunto in tale data il ricorso è stato consegnato agli ufficiali giudiziari per la notifica a mezzo posta, come si evince dal timbro col numero cronologico e la datata 14.11.06 apposto sul “cedolino copia multiplo” contenete la liquidazione delle spese di notifica (sulla idoneità del timbro contenente il numero cronologico dell’UNEP, anche non firmato, a documentare la data di consegna di un atto per la notifica, vedi le sentenze di questa Corte nn. 14294/07, 7440/08, 22003/08); pertanto, ai sensi dell’art. 149 c.p.c., u.c. (aggiunto dalla legge 263/2005), la notifica risulta perfezionata per la ricorrente l’ultimo giorno anteriore alla scadenza del termine.

Parimenti infondata è l’eccezione di inammissibilità del ricorso per essere esso fondato su un motivo – l’assoggettabilità dell’operazione tassata al disposto della lettera b) bis, e non della lettera b), del paragrafo 1 dell’art. 7 della direttiva comunitaria 69/335CEE – non speso dall’Amministrazione in primo grado e, pertanto, non proponibile in appello (nè quindi in sede di legittimità), per il divieto di eccezioni nuove di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2.

Al riguardo è sufficiente osservare che il divieto di proporre in appello “nuove eccezioni che non siano rilevabili anche di ufficio”, stabilito dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2, concerne appunto, la proposizione di “eccezioni” – ossia di fatti impeditivi, modificativi o estintivi del diritto azionato in giudizio dalla controparte – e non il dispiegamento di argomentazioni giuridiche. Si veda, in termini, la sentenza di questa Corte n. 18519/05: divieto di nuove eccezioni in appello, introdotto per il giudizio contenzioso ordinario con la L. 26 novembre 1990, n. 353, tramite la riforma dell’art. 345 cod. proc. civ., e successivamente esteso al giudizio tributario dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, si riferisce esclusivamente alle eccezioni in senso stretto o proprio, rappresentate da quelle ragioni delle parti sulle quali il giudice non può esprimersi se ne manchi l’allegazione ad opera delle stesse, con la richiesta di pronunciarsi al riguardo. Detto divieto non può mai riguardare, pertanto, i fatti e le argomentazioni posti dalle parti medesime a fondamento della domanda, che costituiscono oggetto di accertamento, di esame e di valutazione da parte del giudice di secondo grado, il quale, per effetto dell’impugnazione, deve a sua volta pronunciarsi sulla domanda accolta dal primo giudice, riesaminando perciò i fatti, le allegazioni probatorie e le argomentazioni giuridiche che rilevino per la decisione (In applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha quindi ritenuto che fosse senz’altro deducibile da parte dell’Amministrazione finanziaria, nel giudizio di appello, la questione relativa alla conformità alle disposizioni del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 della dichiarazione dei redditi presentata da una società in relazione all’esercizio 1987, quale condizione imprescindibile per l’applicazione retroattiva a tale esercizio delle previsioni di cui all’art. 72 del medesimo decreto, invocate dalla predetta società a fondamento di una istanza di rimborso di imposta: e ciò in quanto tale deduzione integrava una mera argomentazione difensiva relativa ad una circostanza che, in quanto costituente elemento costitutivo della domanda di rimborso, faceva già parte del “thema decidendum”).

Nel merito il ricorso è fondato.

Il principio per cui l’operazione di conferimento delle azioni rappresentative di tutto il capitale di una società per azioni, o di parte maggioritaria (oltre il 75%) di tale capitale, non è sussumibile nella nozione di “uno o più rami di attività” di cui alla lettera b) del paragrafo 1 dell’art. 7 della direttiva comunitaria 69/335CEE, bensì nell’ipotesi di cui lettera b) bis del medesimo paragrafo è stato infatti fissato dalla Corte di giustizia delle Comunità europee con la sentenza n. 164 del 13/12/1991 nella causa C-164/90. Tale sentenza ha stabilito che l’art. 7, n. 1, lett. b), della direttiva 69/335, concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali, come modificata dalle direttive 73/79 e 73/80, che obbliga gli Stati membri a ridurre l’aliquota dell’imposta sui conferimenti quando una società conferisce in un’altra uno dei suoi rami di attività, deve essere interpretato nel senso che il conferimento di un insieme di quote che una società detiene in un’altra società non costituisce conferimento di ramo di attività, anche se le quote conferite rappresentino il 100% del capitale della società partecipata; infatti le operazioni consistenti in conferimento di quote costituiscono oggetto della disposizione speciale dell’art. 7, n. 1, lett. b) bis, della direttiva, che conferisce agli Stati membri la semplice facoltà di ridurre l’aliquota.

I principi fissati dalla Corte di Giustizia nella menzionata sentenza 164/1991 sono stati recepiti da questa Corte con la sentenza 6079 del 2001, che ha affermato: “In tema d’imposta di registro, gli artt. 7 e 9 della direttiva del Consiglio 17 luglio 1969, 69/335/CEE, come modificata dalle direttive del Consiglio 9 aprile 1973, 73/79 CEE e 73/80 CEE, e 10 giugno 1985, 85/303/CEE, concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali – direttiva d’immediata applicabilità “in toto” – non ostano, anche alla luce della sentenza della Corte di Giustizia del 13 dicembre 1991 in causa C-164/90 (Muwi Bouwgroep BV contro Staatssecretaris vn Financien), alla riscossione della imposta proporzionale di registro, in base al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, in caso di aumento del capitale sociale di una società per azioni (nella specie deliberato il 15 giugno 1989), operato mediante conferimento da parte di società di capitale sode, di partecipazioni societarie da esse detenute in altra società, non trattandosi di conferimento di ramo d’azienda o di totalità del patrimonio di una società, ai sensi dell’art. 7 n. 1, lett. b) della stessa direttiva 69/335/CEE (secondo il concetto di autonomia funzionale espresso dalla Corte di Giustizia nel punto 22 della motivazione della citata pronuncia e ribadito nella sentenza 13 ottobre 1992 in causa C-50/91, Commerz – Credit – Bank, nella quale si definisce come ramo di attività “un insieme di beni e di persone capaci di concorrere alla realizzazione di un’attività determinati”), e non avendo esercitato lo Stato italiano la facoltà di riduzione dell’imposta concessagli dal medesimo art. 7, n. 1, lett. b bis”.

Da tale precedente, seguito dalle conformi pronunce nn. 5862/03, 12384/04, 22527/07, non vi è ragione di discostarsi.

La sentenza impugnata, secondo la quale l’operazione di cui trattasi rientrava nella disposizione di cui art. 7, n. 1, lett. b), della direttiva del Consiglio 17 luglio 1969, 69/335/CEE, è conseguentemente errata e come tale va cassata; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., con il rigetto dell’originario ricorso della società contribuente.

Le spese si compensano per le fasi di merito, mentre seguono la soccombenza per il giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso del Ministero dell’Economia e delle Finanze e, in accoglimento del ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassa la sentenza impugnata; decidendo nel merito ex art 384 c.p.c., rigetta la domanda proposta in primo grado dalla società resistente.

Compensa le spese delle fasi di merito; condanna la resistente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 12.000,00 per onorari, oltre le spese prenotate a debito; compensa le spese tra Ministero e resistente.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2011

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