Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4305 del 22/02/2011
Cassazione civile sez. trib., 22/02/2011, (ud. 02/12/2010, dep. 22/02/2011), n.4305
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MERONE Antonio – Presidente –
Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –
Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –
Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 10836-2009 proposto da:
C.V. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA COSSERIA 2, presso il dott. ALFREDO PLACIDI, rappresentato
e difeso dall’avvocato SERRA NICOLA, giusta procura speciale in calce
al ricorso;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del legale rappresentante pro-
tempore e MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona del
Ministro pro-tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li
rappresenta e difende, ope legis;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 31/2008 della Commissione Tributaria Regionale
di BARI del 10.3.08, depositata il 05/05/2008;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
02/12/2 010 dal Consigliere Relatore Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. ENNIO
ATTILIO SEPE.
Fatto
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Considerato che è stata depositata in cancelleria relazione del seguente tenore:
“Con sentenza del 5/5/2008 la Commissione Tributaria Regionale della Puglia respingeva il gravame interposto dal contribuente sig. C.V. nei confronti della pronunzia della Commissione Tributaria Provinciale di Bari di rigetto di riunite opposizioni spiegate in relazione ad avvisi di accertamento emessi a titolo di IRPEF, ILOR, S.S.N. e TASSA EUROPA per gli anni d’imposta 1996 e 1997.
Avverso la suindicata sentenza del giudice dell’appello il C. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 2 motivi.
Resistono con controricorso l’Agenzia delle entrate e il Ministero dell’economia e delle finanze.
Con il 1 motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 e del D.M. 10 settembre 1992, art. 2, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Con il 2 motivo denunzia contraddittorietà della motivazione su fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Il ricorso dovrà essere ritenuto in parte inammissibile in applicazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 366-bis c.p.c. e art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5, e in parte infondato, per violazione del principio autosufficienza.
L’art. 366-bis c.p.c. dispone infatti che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 l’illustrazione di ciascun motivo deve, a pena di inammissibilità, concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass., 19/12/2006, n. 27130).
Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede allora che con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto.
Il quesito di diritto deve essere in particolare specifico e riferibile alla fattispecie (v. Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), risolutivo del punto della controversia – tale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità (v. Cass., 3/8/2007, n. 17108) -, e non può con esso invero introdursi un tema nuovo ed estraneo (v.
Cass., 17/7/2007, n. 15949).
Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c. deve comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo, sicchè la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile, non potendo considerarsi in particolare sufficiente ed idonea la mera generica richiesta di accertamento della sussistenza della violazione di una norma di legge (da ultimo v. Cass., 28/5/2009, n. 12649).
Orbene, nel non osservare i requisiti richiesti dallo schema delineato in giurisprudenza di legittimità (cfr. in particolare Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), i quesiti recati dai motivi di ricorso risultano formulati in termini generici e privi di riferimento alla fattispecie concreta, tali da non consentire, in base alla loro sola lettura (v. Cass., Sez. Un., 27/3/2009, n. 7433; Sez. Un., 14/2/2008, n. 3519; Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., 7/4/2009, n. 8463), di individuare la soluzione adottata dalla sentenza impugnata e di precisare i termini della contestazione (cfr. Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645;
Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360), nonchè di poter circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (cfr., Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258), senza che essi debbano richiedere, per ottenere risposta, una scomposizione in più parti prive di connessione tra loro (cfr.
Cass., 23/6/2008, n. 17064).
L’inidonea formulazione del quesito di diritto equivale invero alla relativa omessa formulazione, in quanto nel dettare una prescrizione di ordine formale la norma incide anche sulla sostanza dell’impugnazione, imponendo al ricorrente di chiarire con il quesito l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (v. Cass., 7/4/2009, n. 8463; Cass. Sez. un., 30/10/2008, n. 26020; Cass. Sez. un., 25/11/2008. n. 28054), (anche) in tal caso rimanendo invero vanificata la finalità di consentire a questa Corte il miglior esercizio della funzione nomofilattica sottesa alla disciplina del quesito introdotta con il D.Lgs. n. 40 del 2006 (cfr., da ultimo, Cass. Sez. un., 10/9/2009, n. 19444).
La norma di cui all’art. 366 bis c.p.c. è d’altro canto insuscettibile di essere interpretata nel senso che il quesito di diritto possa, e a fortiori debba, desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, giacchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (v.
Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).
Tanto più che nel caso il motivo risulta formulato in violazione del principio di autosufficienza, atteso che la ricorrente fa richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente riprodurli nel ricorso.
Quanto al vizio di motivazione, a completamento della relativa esposizione esso deve indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione: a) del fatto controverso; b) degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione; c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria (art. 366-bis c.p.c.).
Al riguardo, si è precisato che l’art. 366-bis c.p.c. rispetto alla mera illustrazione del motivo impone un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile, ai fini dell’assolvimento del relativo onere essendo pertanto necessario che una parte del medesimo venga a tale indicazione “specificamente destinata” (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002).
Orbene, relativamente ai motivi con i quali si denunzia vizio di motivazione nel caso il ricorso non reca invero la “chiara indicazione” – nei termini più sopra indicati – delle “ragioni” del denunziato vizio di motivazione, tale non potendosi invero considerare il periodo posto a conclusione del 2 motivo, inammissibilmente rimettendosene l’individuazione all’attività esegetica di questa Corte, a fortiori non consentita in presenza di formulazione come sopra rilevato nella specie altresì carente di autosufficienza.
I motivi si palesano pertanto privi dei requisiti a pena di inammissibilità richiesti dai sopra richiamati articoli, nella specie applicantisi nel testo modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, essendo stata l’impugnata sentenza pubblicata successivamente alla data (2 marzo 2006) di entrata in vigore del medesimo”;
atteso che la relazione è stata comunicata al P.G. e notificata ai difensori delle parti costituite;
rilevato che il ricorrente ha presentato memoria;
considerato che il P.G. ha condiviso la relazione;
rilevato che a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio il collegio ha condiviso le osservazioni esposte nella relazione, non infirmate dalle osservazioni dal ricorrente esposte nella memoria, sostanziantesi nella dedotta idoneità dei formulati quesito e motivo;
ritenuto che il ricorso deve essere dichiarato pertanto inammissibile;
considerato che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 600,00, di cui Euro 500,00 per onorari, oltre spese a generali ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2011