Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3607 del 14/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 14/02/2011, (ud. 18/01/2011, dep. 14/02/2011), n.3607

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – rel. Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.D.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

OSLAVIA 14, presso lo studio dell’avvocato DIECI UMBERTO, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati SALVI VINCENZO,

FLORINO LUCIO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

S.I.A.E., – Societa’ Italiana Autori ed Editori – in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIALE DELLA LETTERATURA 30 (UFFICIO AFFARI GIURIDICI E LEGALI

S.I.A.E.), presso lo studio dell’avvocato VULLO LUISA, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 393/2006 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 04/05/2006 R.G.N. 272/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/01/2011 dal Consigliere Dott. GIANFRANCO BANDINI;

udito l’Avvocato VULLO LUISA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per l’inammissibilita’, in subordine

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 4.3.1998 D.D.D., premesso che era stato assunto dalla SIAE – Societa’ italiana Autori ed Editori in data 1.3.1958 e aveva progredito in carriera fino a quando gli era stata attribuita, con decorrenza 1.4.1965, la qualifica di agente di ruolo della SIAE con preposizione alla titolarita’ di varie Agenzie e, poi, la qualifica di titolare di Filiale, in forza della quale gli era stata conferita la titolarita’ della Filiale di (OMISSIS), in costanza della cui preposizione era stato nominato Dirigente in data 1.2.1986, andando poi in pensione il 22.9.1996 per raggiunti limiti di eta’, convenne in giudizio la SIAE dinanzi all’allora Pretore del Lavoro di Pescara per sentirla condannare al pagamento in suo favore di somme asseritamente dovutegli a vario titolo (rivalutazione delle somme riconosciutegli con verbale di conciliazione del 22.11.1995; differenze retributive tra la remunerazione delle ore di accertamento, espletate in regime di straordinario, e lo straordinario, ivi comprese le ore di accertamento remunerate, in misura ancora inferiore, a “diaria” in relazione a servizi di accertamento espletati all’esterno del Comune, ma all’interno della circoscrizione della Filiale; indennita’ sostitutiva di riposi compensativi non goduti per lo svolgimento di attivita’ di accertamento fuori del Comune di capoluogo della Filiale espletata la domenica o in altre festivita’, secondo le risultanze del mod. 209 da lui inviato ogni mese alla Direzione Generale;

integrazione del TFR per mancato computo dello straordinario e voci retributive minori), previa reiterata interruzione della prescrizione e previa dimostrazione che la suddetta attivita’ di accertamento, remunerata sia a tariffa oraria sia a diaria, era riconducibile al rapporto di lavoro subordinato con la SIAE anche prima dell’accordo stipulato in tal senso tra questa e le OO.SS. dei titolari di Filiale in data 12.3.1991.

Il Giudice pronuncio’ sentenza non definitiva di rigetto di tutte le domande attrici, ad eccezione di quella relativa al computo del TFR, rimettendo al riguardo la causa in istruttoria per l’espletamento di CTU. La Corte d’Appello dell’Aquila, con sentenza del 6.4 – 4.5.2006, rigetto’ l’impugnazione proposta dal D.D..

La Corte territoriale effettuo’ la ricognizione degli Accordi sindacali rilevanti in causa osservando che:

– in data 12.3.1991 erano stati stipulati due distinti accordi tra la SIAE e le OO.SS;

– con il primo era stata disciplinata l’attivita’ di accertamento, svolta per conto della SIAE, dai dipendenti, ed accertatori interni;

– con la locuzione “accertamento interno” era stata intesa l’attivita’ svolta facoltativamente dai dipendenti della SIAE, al di fuori del rapporto di impiego, di diretta verifica delle attivita’ di gestione di spettacoli e trattenimenti esercitate nella circoscrizione territoriale dell’attivita’ periferica;

– era stato specificato che l’espletamento di tale attivita’ era del tutto facoltativo, previa presentazione di domanda alla sede di appartenenza, con ammissione rimessa alla Direzione della sede;

i singoli incarichi erano proposti al dipendente per iscritto mediante appositi moduli, senza obbligo di accettazione, con la massima liberta’ per l’accertatore di scegliere l’itinerario, il mezzo di locomozione, di stabilire l’orario, di graduare gli interventi, dandone atto nel modulo da restituire alla Siae;

– era precisato che l’attivita’ di accertamento non costituiva oggetto del rapporto di impiego ed era prevista l’erogazione di un compenso orario in misura unica, maggiorato nelle ore serali o per i giorni festivi per tutti gli accertatori interni, con un rimborso fisso delle spese di trasporto, mentre non veniva piu’ corrisposto il trattamento di diaria per gli incarichi espletati fuori del Comune;

– era istituito un compenso integrativo di fine rapporto, con l’accantonamento del 6,50% dei compensi corrisposti nell’anno;

– erano definiti l’attivita’ di accertamento svolta fino a tutto il 31.12.1990 e il conseguente contenzioso, anche allo scopo di prevenirlo in futuro, con l’accantonamento di un importo determinato alla data del 31.12.1990 a tacitazione di ogni eventuale pretesa, soggetto a rivalutazione;

– quanto ai titolari di Filiale (punto 7 dell’Accordo), con riferimento al contenzioso in corso e per prevenirne altro, era prevista la stipula di una transazione presso gli Uffici del Lavoro e della Massima Occupazione con riferimento all’attivita’ di accertamento svolta a tutto il 31.12.1990, con richiamo alle gia’ indicate modalita’ per l’importo da accantonare, al quale era aggiunto l’accantonamento di un’integrazione riferita ai compensi percepiti come attivita’ di accertamento nel periodo 1.1.1983 – 31.12.1990. – il secondo accordo del 12.3.1991, richiamato il precedente, era stato effettuato “allo scopo di definire per il futuro un diverso assetto normativo ed economico delle prestazioni dei Titolari di Filiale e degli Agenti di Ruolo all’esterno dell’ufficio dirette ad assicurare la funzione di vigilanza e controllo nella circoscrizione di competenza” le attivita’ esterne erano state fatte rientrare (punto 1) nell’ambito delle mansioni proprie dei Titolari di Filiale e degli Agenti di Ruolo effettivamente preposti alle Filiali, con attribuzione di un’indennita’ mensile utile ai fini del calcolo dell’accantonamento per il TFR (punto 3), mentre era specificato (punto 4) che, per l’espletamento delle attivita’ esterne nei Comuni della Circoscrizione diversi da quello in cui aveva sede l’ufficio, si sarebbe applicato il trattamento di diaria (soppresso per gli accertatori interni dall’altra convenzione) e che di tali servizi esterni sarebbe stata inviata comunicazione alla SIAE a mezzo di relazione mensile.

Osservo’ in fatto la Corte territoriale che, sulla base dei ridetti accordi sindacali, il D.D. aveva sottoscritto con la SIAE, presso la sede dell’ULPMO di Pescara, un verbale di conciliazione, in base al quale le parti avevano definito transattivamente le questioni relative all’attivita’ di accertamento svolta sino al 31.12.1990, con il riconoscimento in favore del D. D. delle somme di L. 16.266.512 e di L. 23.681.026 a titolo, rispettivamente, di accantonamento e di integrazione dei compensi percepiti ai sensi dei punti 7.2 e 7.3 dell’Accordo sindacale del 12.3.1991, e con il riconoscimento, da parte del D. D., di non aver null’altro a pretendere con riferimento all’attivita’ di accertamento in questione.

Con specifico riferimento alle doglianze svolte, la Corte territoriale ritenne quindi quanto segue:

– dovevano essere respinte tutte le pretese relative a differenze retributive afferenti l’attivita’ di accertamento svolta fino al 31.12.1990, in quanto soddisfatte in via transattiva con il verbale di conciliazione de 22.11.1995; doveva infatti ritenersi la omnicomprensivita’ di tale verbale di conciliazione, che aveva recepito l’accordo sindacale del 12.3.1991, poiche’ quest’ultimo era volto, da un lato, alla definizione della pregressa attivita’ di accertamento alla luce del contenzioso creatosi sino ad allora e allo scopo di prevenire contenziosi futuri e, dall’altro, alla indicazione della disciplina dell’attivita’ di accertamento per il futuro, cosicche’ era ovvio che lo stesso facesse riferimento all’attivita’ di accertamento nel suo complesso, senza distinguere tra i servizi retribuiti con tariffa oraria (svolti dagli accertatori interni, dipendenti SIAE o dai titolari di Filiale nell’ambito del Comune capoluogo) e quelli retribuiti a diaria (svolti dai titolari delle 45 Filiali SIAE esistenti in Italia fuori del Capoluogo di Filiale ma nell’ambito della relativa circoscrizione), tanto che al punto 3.8, relativo a tutti i dipendenti SIAE, era stato dato atto, seppure indirettamente, che per gli incarichi espletati fuori del Comune non sarebbe stato piu’ corrisposto il trattamento a diaria;

parimenti nessuna distinzione al riguardo era contenuta nel verbale di conciliazione del 1995, il cui oggetto era stato indicato nella definizione, ad ogni effetto giuridico ed economico, dell’attivita’ di accertamento svolta dal sig. D.D.D. per conto della SIAE fino alla data del 31.12.1990, facendosi ivi riferimento a tale attivita’ senza distinguere tra quella svolta nel Comune in cui era ubicato l’ufficio SIAE (remunerata a tariffa oraria) e quella svolta all’esterno (remunerata a diaria) ed essendo chiaro dal contesto dell’atto che veniva considerata l’attivita’ di accertamento dovunque e comunque svolta, cosicche’ appariva evidente che la definizione del pregresso effettuata nel verbale di conciliazione e, ancora prima, nell’accordo del 12.3.1991, era stata effettuata anche con riferimento a tutti i servizi di accertamento, remunerati a tariffa oraria e a diaria; quindi anche la dichiarazione finale con cui il D.D. “riconosce di non avere null’altro a pretendere, sotto alcun profilo o causa, dalla SIAE in relazione all’attivita’ di accertamento svolta fino a tutto il 31.12.1990, rinunciando comunque a qualunque ulteriore diritto, pretesa o ragione scaturente o in qualsiasi modo connesso con l’attivita’ di accertamento svolta”, la cui portata esaustiva con riferimento alla rinuncia in questione non poteva lasciar adito a dubbi di sorta, doveva considerarsi come riferita a tutta l’attivita’ di accertamento come sopra intesa; ne’ poteva sostenersi, attesa la chiarezza del documento, che il D.D. non fosse consapevole dell’oggetto della sua rinuncia, con conseguente superamento della problematica relativa alla natura autonoma o subordinata dell’attivita’ di accertamento svolta dal medesimo fino al 31.12.1990;

– in ordine alla questione relativo all’intervenuto disconoscimento, in primo grado, della rivalutazione della somma prevista dal punto 7.3 dell’Accordo sindacale e attribuita all’appellante a titolo conciliativo, doveva rilevarsi che il precedente punto 7.2 prevedeva la definizione dell’attivita’ pregressa svolta a tutto il 31.12.1990 dai titolari di Filiale con le modalita’ previste dal punto 6.2, che concerneva l’accantonamento di un importo determinato in base a precisi criteri successivamente indicati, sul quale (punto 6.3) “saranno applicate le rivalutazioni in misura pari alle variazioni dell’indice Istat dal dicembre 1990 al mese di corresponsione”, mentre il punto 7.3 prevedeva, in aggiunta a detto importo, l’accantonamento di un’integrazione riferita ai compensi percepiti come attivita’ di accertamento dall’1.1.1983 al 31.12.1990, senza alcun accenno alla rivalutazione; neppure era significativa la nota del 4.10.1995, laddove riferiva che sull’importo complessivo lordo di L.. 39.947.538 sarebbe stata applicata la maggiorazione Istat, poiche’ cio’ doveva avvenire secondo le disposizioni di cui al punto 6.2 (prevedente solo l’accantonamento di un certo importo), cosicche’ la ridetta maggiorazione doveva ritenersi applicabile soltanto alle somme cosi’ determinate e accantonate e non anche all’integrazione prevista dal punto 7.3;

– quanto alla doglianza inerente alla reiezione da parte del primo giudice della domanda di corresponsione delle differenze retributive fra l’ora di accertamento e la remunerazione dell’ora di straordinario, doveva ritenersi che l’attivita’ di accertamento non aveva nulla a che vedere con la prestazione del lavoro straordinario;

infatti si trattava di attivita’ del tutto diverse e quindi non equiparabili, tenuto conto che l’espletamento della prima da parte dei titolari di filiale era caratterizzata dalla massima discrezionalita’ (nel senso che il lavoratore poteva decidere se effettuarla o meno nell’ambito del limite massimo di 60 ore mensili fissato dalla SIAE e, altresi’, dove, come, quando e quanto effettuarla, senza forme di controllo, non potendo questo ritenersi integrato dalla trasmissione dei modelli 209, effettuata invece a chiaro scopo amministrativo e contabile); si trattava, inoltre, di attivita’ che non ineriva ai compiti istituzionali dell’Ente come delineati dalla L. n. 633 del 1941 (attivita’ di intermediazione implicante la concessione di licenze ed autorizzazioni); tutto cio’ poteva essere agevolmente evinto dalla regolamentazione dell’attivita’ di accertamento come effettuata nei due accordi del 12.3.1991, attivita’ che, nel secondo, era stata ricondotta alle attivita’ esterne svolte dai titolari di filiale nell’ambito delle loro mansioni nella massima liberta’; peraltro, a titolo di retribuzione, nel secondo accordo era altresi’ prevista un’indennita’ mensile forfetaria, ovvero la diaria, se svolta in altri comuni, sostanzialmente sulla base del risultato conseguito e non sulla durata della prestazione, come avviene invece per il lavoro straordinario; era poi significativo anche il massimo consentito di 60 ore mensili, quando per lo straordinario erano previste solo 30 ore mensili, e tale discrepanza si spiegava per la discrezionalita’ e non gravosita’ dell’attivita’ di accertamento, cui era stato fatto peraltro cospicuo ricorso, trattandosi di attivita’ ben retribuita;

doveva infine considerarsi che il D.D. era stato dirigente dal 1986 e, ai sensi dell’accordo sindacale del 1. 1.1988, non aveva neppure diritto a compenso per le eventuali prestazioni di lavoro straordinario, bensi’ ad una indennita’ determinata forfetariamente; – per cio’ che concerneva il mancato riconoscimento dell’indennita’ sostitutiva dei riposi compensativi non goduti, doveva evidenziarsi che, nella specie, veniva in considerazione non l’espletamento di mansioni ordinarie o straordinarie di ufficio imposte dalla societa’ appellata, bensi’ l’attivita’ di accertamento, decisa, organizzata e gestita nella piu’ ampia liberta’ e autonomia dal D.D., dirigente dal 1986, il quale, peraltro, ben poteva delegarla al personale accertatore; in ogni caso, la mancata fruizione del riposo non era dovuta alla societa’, estranea, per quanto sopradetto, all’organizzazione dell’attivita’ di accertamento, che il D.D. aveva ritenuto di svolgere autonomamente anche di domenica, peraltro percependo l’aumento festivo della diaria, e dovendo poi considerarsi che l’attivita’ riguardava poche ore, soprattutto la sera, in occasione degli spettacoli; doveva del resto farsi quindi riferimento all’orientamento giurisprudenziale che non riconosce il diritto all’indennita’ in questione tutte le volte in cui l’espletamento de lavoro festivo non sia richiesto dal datore di lavoro o da imprescindibili esigenze dell’azienda e derivi invece da una scelta personale del lavoratore stesso, cosi’ come avveniva nel caso di specie, in cui la SIAE veniva a conoscenza della prestazione addirittura un mese dopo; peraltro il D.D. neppure aveva chiesto, come era nelle sue facolta’, di usufruire dei riposi compensativi, ne’, sul preteso danno subito, contrariamente a quanto necessario, aveva dedotto e tantomeno provato alcunche’;

– quanto alla doglianza relativa al mancato computo nel TFR dell’indennita’ auto, doveva ritenersi indubbio che si trattava di un rimborso spese, seppur forfetario, con riferimento a quelle necessitate dall’utilizzo dell’autovettura personale per esigenze di servizio esterno, e la circostanza che fosse differenziato con riferimento alla posizione del richiedente (L. 60.000 mensili per i dirigenti, L. 40.000 per gli altri) non appariva significativa, posto che sussisteva anche in passato, allorche’ era richiesto che l’istanza fosse documentata, e quindi non poteva discutersi della natura risarcitoria della medesima;

– quanto alla doglianza riguardante il rigetto delle domande relative alla 13A mensilita’ e alla gratifica annuale dell’anno 1996, doveva rilevarsene, giusta i conteggi allegati dalla parte datoriale, la regolare corresponsione nella misura di complessive L. 2.048.369 indicata nell’ultima busta paga del settembre 1996, somma in cui era compresa anche la gratifica annuale; quest’ultima, peraltro, non aveva nulla a che vedere con i risultati dell’anno precedente e andava riferita all’anno in cui veniva erogata, come evincibile dall’ordine di servizio SIAE richiamato da quest’ultima, nel quale viene svincolata dalle risultanze di bilancio; la gratifica annuale, dunque, era corrisposta nel luglio di ogni anno e, in caso di cessazione del rapporto, andava computata a ratei come la tredicesima mensilita’; in sostanza, quindi, il mancato riconoscimento delle voci retributive minori nella misura reclamata dal D.D. a tali titoli (L. 4.909.765 e L. 12.958.884), detratta la ritenuta previdenziale praticata (L. 1.159.524), si spiegava con la circostanza che egli, a titolo di gratifica annuale per il 1996, aveva percepito la somma di L. 17.278.505, in luogo di quella ridotta pari a L. 12.574.912, che invece gli sarebbe spettata per essersi congedato il 22.9.1996, mentre per la tredicesima mensilita’ egli aveva diritto alla somma di L. 6.751.962, per un totale di L. 19.326.874 (L. 12.574.912 + 6.751.962); pertanto la SIAE si era limitata a sottrarre da detta ultima somma quella gia’ versata di L. 17.278.505, sicche’ residuava come dovuta al D.D., ai titoli indicati, proprio la somma regolarmente corrispostagli nella busta paga del mese di settembre 1996.

Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, D. D.D. ha proposto ricorso per cassazione fondato su cinque motivi.

L’intimata SIAE – Societa’ Italiana Autori ed Editori ha resistito con controricorso, illustrato con memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, denunciando violazione degli artt. 1364, 1365 e 2113 c.c., nonche’ vizio di motivazione, il ricorrente si duole che, alla luce delle acquisite risultanze documentali, la Corte territoriale non abbia ritenuto che il verbale di conciliazione del 22.11.1995 si riferiva alla sola definizione del pregresso riguardante l’attivita’ di accertamento remunerata a tariffa oraria ed abbia malamente valutato la portata della clausola finale contenuta in tale verbale, anche con riferimento alla rivalutazione e agli interessi sulla somma riconosciuta nel verbale medesimo.

1.1 Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’interpretazione degli atti negoziali, anche collettivi, consistendo in un’operazione di accertamento della volonta’ dei contraenti, si risolve in un’indagine di fatto riservata al giudice di merito, il cui accertamento e’ censurabile in cassazione soltanto per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle regole ermeneutiche, con la conseguenza che non puo’ trovare ingresso in sede di legittimita’ la critica della ricostruzione della volonta’ negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto gia’ dallo stesso esaminati (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 7500/2007;

22536/2007).

Con il motivo che ne occupa il ricorrente non ha affatto fornito la dimostrazione del perche’ le argomentazioni contenute nella sentenza impugnata avrebbero deviato dalle regole di ermeneutica contrattuale richiamate, ne’ ha specificato le ragioni per le quali la sentenza impugnata sarebbe viziata per obiettiva deficienza o contraddittorieta’ del ragionamento seguito, essendosi per contro limitato a prospettare un’interpretazione delle clausole patrizie invocate (ivi compresa quella finale abdicativa) diversa da quella accolta dal Giudice a quo ed a lui piu’ favorevole. Per contro deve rilevarsi che la Corte territoriale, come gia’ esposto nello storico di lite, ha compiutamente esaminato le risultanze processuali ritenute decisive al fine della ricostruzione della volonta’ negoziale, svolgendo un iter argomentativo coerente con i dati analizzati e privo di vizi logici. Dal che discende l’infondatezza delle censure svolte.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 2108 c.c., nonche’ vizio di motivazione, osservando che, ai fini del riconoscimento del lavoro straordinario, deve ritenersi bastevole qualsiasi comportamento datoriale che riveli un’accettazione, anche tacita, della prestazione, che l’attivita’ di accertamento era da ritenersi strettamente inerente ai compiti istituzionali della SIAE e che esso ricorrente, nonostante la funzione dirigenziale rivestita, aveva comunque diritto alla remunerazione prestata in regime di lavoro straordinario, trattandosi di prestazioni che, per la loro sistematicita’ e collocazione oraria, superava anche quelle eccedenti l’orario normale di lavoro esigibile da un dirigente in ragione del carattere di subordinazione attenuata che caratterizza tale tipo di rapporto.

2.1 Osserva il Collegio che la Corte territoriale, come gia’ esposto nello storico di lite, ha motivato le sue conclusioni sul punto con una pluralita’ di ragioni, ciascuna delle quali di per se’ idonea a sostenere il decisum.

Le considerazioni del ricorrente secondo cui al fine del riconoscimento dello straordinario e’ sufficiente la presenza di un comportamento datoriale rivelante un’accettazione, anche tacita, della prestazione (cfr, al riguardo, Cass., nn. 1015/1985;

8129/1992), non superano il rilievo della Corte territoriale secondo cui la regolamentazione dell’attivita’ di accertamento, come effettuata nei due accordi del 12.3.1991, prevedeva la sua riconduzione alle attivita’ esterne svolte dai titolari di filiale nell’ambito delle loro mansioni nella massima liberta’, con attribuzione altresi’, a titolo di retribuzione, di un’indennita’ mensile forfetaria, ovvero della diaria, se svolta in altri comuni, sostanzialmente sulla base del risultato conseguito e non sulla durata della prestazione, come avviene invece per il lavoro straordinario.

Quanto poi al rilievo che il D.D., in quanto dirigente, non aveva neppure diritto a compenso per le eventuali prestazioni di lavoro straordinario, l’affermazione del ricorrente secondo cui tali prestazioni, per la loro sistematicita’ e collocazione oraria, superavano anche quelle eccedenti l’orario normale di lavoro esigibile da un dirigente non e’ accompagnata, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, dalla specifica indicazione e riproduzione delle risultanze processuali che dovrebbero sostenere tale assunto.

Deve quindi farsi applicazione del principio, reiteratamente affermato dalla giurisprudenza di legittimita’ (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 12976/2001; 18240/2004; 13956/2005; 20454/2005), secondo cui, qualora la pronuncia impugnata sia sorretta da una pluralita’ di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, il rigetto delle doglianze relative ad una di tali ragioni rende inammissibile, per difetto di interesse, l’esame relativo alle altre, pure se tutte tempestivamente sollevate, in quanto il ricorrente non ha piu’ ragione di avanzare censure che investono una ulteriore ratio decidendi, giacche’, ancorche’ esse fossero fondate, non potrebbero produrre in nessun caso l’annullamento della decisione anzidetta. Ne consegue il rigetto del motivo all’esame.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione di norme di diritto (art. 2109 c.c., comma 1; art. 36 Cost., comma 3), nonche’ vizio di motivazione, dolendosi che la Corte territoriale abbia disatteso la domanda di attribuzione dell’indennita’ sostitutiva dei riposi compensativi non goduti.

Le argomentazioni della Corte territoriale, quali esposte nello storico di lite, non appaiono pienamente esaustive, rientrando le attivita’ di accertamento espletate nelle giornate di domenica nello svolgimento di compiti che la parte datoriale riconosceva come utili, tanto da specificamente remunerarle.

3.1 Le conclusioni a cui la sentenza e’ pervenuta sono tuttavia esatte in diritto, posto che, a mente della L. n. 370 del 1934, art. 1, comma 2, n. 4, le disposizioni inerenti al riposo settimanale di 24 ore consecutive non si applicano, per quanto qui specificamente rileva, al personale preposto alla direzione tecnica od amministrativa di una azienda ed avente diretta responsabilita’ nell’andamento dei servizi. La giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di precisare al riguardo che l’esclusione del diritto del personale direttivo al riposo settimanale e festivo, nonche’ al compenso speciale per lavoro oltre l’orario normale, sancita dalla norma teste’ ricordata, non ha carattere assoluto, essendo soggetta (alla stregua dei principi dettati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 101 del 7 maggio 1975) a limiti di ragionevolezza (con riferimento all’interesse del dipendente alla tutela della propria salute ed integrita’ fisico-psichica e alle obiettive esigenze e caratteristiche dell’attivita’ svolta), verificabili dal giudice, sempreche’ il superamento di essi sia stato dedotto e provato dal dirigente (cfr, Cass., n. 5618/1984); sotto tale ultimo profilo, tuttavia, il ricorrente non ha assolutamente indicato, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, in base a quali risultanze processuali avrebbe dovuto ritenersi che tali limiti di ragionevolezza sarebbero stati nella specie superati, avendo per contro la Corte territoriale evidenziato, con accertamento fattuale intangibile in questa sede, che l’attivita’ in discorso riguardava poche ore, soprattutto la sera, in occasione degli spettacoli.

Anche la censura all’esame deve quindi essere disattesa, previa parziale correzione della motivazione nei termini teste’ indicati.

4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 2120 c.c., nonche’ vizio di motivazione, in relazione alla ritenuta non computabilita’ nel TFR della cosiddetta “indennita’ auto”, assumendone il carattere retribuivo e non risarcitorio.

4.1 Anche in disparte dal rilievo che a censura, investendo la portata di una clausola negoziale, non puo’ ritenersi ammissibile laddove, come nella specie, si limiti a contrapporre una difforme interpretazione della stessa, il motivo si presenta inammissibile per violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non essendo stato ivi compiutamente riportato il contenuto della pattuizione della cui interpretazione si controverte.

5. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione in ordine alla corresponsione della gratifica annuale, essendo a suo avviso erronea l’affermazione della Corte territoriale secondo cui tale emolumento non aveva nulla a che vedere con i risultati dell’anno precedente e andava riferita all’anno in cui veniva erogata; sostiene invece il ricorrente che la stessa avrebbe dovuto essere riferita all’anno precedente, cosi’ dovendosi interpretare la locuzione “anno di competenza” di cui al verbale di accordo del 29.2.1977, e, quindi, corrisposta a suo favore per intero nel 1996, quando era ancora in servizio.

5.1 Devono essere qui richiamate le considerazioni gia’ svolte in ordine al primo motivo di ricorso, evidenziando che il ricorrente neppure ha indicato i canoni di ermeneutica contrattuale da cui la Corte territoriale si sarebbe discostata, ne’ gli eventuali vizi logici in cui sarebbe incorsa, limitandosi a prospettare – inammissibilmente in questa sede di legittimita’ – una diversa interpretazione, favorevole alle sue pretese, della pattuizione contrattuale (che per di piu’, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, viene riportata solo in forma parziale).

6. In definitiva il ricorso va rigettato.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in Euro 43,00, oltre ad Euro 3.000,00 (tremila/00) per onorari, spese generali, Iva e Cpa come per legge.

Cosi’ deciso in Roma, il 18 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2011

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